“La guerra aveva un costo elevato.”
Così scrive lo storico britannico David Stevenson.
“Ogni pallottola e ogni bomba dei milioni sparati aveva un cartellino del prezzo. Ogni soldato doveva essere pagato (anche se molto poco), vestito e nutrito, trasportato avanti e indietro dal fronte e curato se ferito o malato, il suo equipaggiamento doveva essere fabbricato, provato e quindi trasportato con il treno che richiedeva combustibile e manutenzione o da animali che necessitavano di foraggio e riparo…Il costo totale del conflitto è stato valutato in 208.500.000.000 di dollari ai prezzi del tempo di guerra o 82.400.000.000 dollari ai prezzi del 1913 cioè prima che il livello dei prezzi della maggior parte dei Paesi arrivasse quanto meno a raddoppiare.”
(da La Grande Guerra, una storia globale, Ed. Rizzoli 2004, pag. 280)
Il quadro offerto da Stevenson descrive molto bene la Prima Guerra Mondiale come un conflitto che mobilitava per intero le risorse industriali di ogni singola nazione che vi partecipava e che, di conseguenza, agiva come un potente motore di trasformazione della società europea.
L’immagine di questo enorme sforzo industriale è quella degli altiforni e delle migliaia di proiettili prodotti in quegli anni. Sono fotografie che compaiono ripetutamente nelle riviste pubblicate durante la guerra e vogliono essere una dimostrazione di forza, debbono infondere sicurezza.
Le fotografie offrono anche una grande testimonianza sul lavoro all’interno di officine e industrie sempre più grandi e che spesso sorgono in conseguenza della guerra. E’ una condizione di lavoro militarizzata e dura in cui compaiono per la prima volta le donne e questo, nonostante bruschi ritorni indietro negli anni del dopoguerra, è un fatto di enorme importanza nella storia dell’umanità.
In Francia nel 1916, venne pubblicato il primo volume di “La guerre”, una raccolta di fascicoli contenenti fotografie eseguite dalla Sezione Fotografica dell’Esercito Francese. L’editore era la Libreria Armand Colin, Boulevard Saint Michel, 103, Parigi, ed ogni fascicolo, dedicato a diversi aspetti della guerra, era accompagnato da un’introduzione del giornalista Ardouin-Dumazet. Le didascalie, tradotte in inglese, tedesco, spagnolo e portoghese, indicavano che la pubblicazione era indirizzata anche ai paesi neutrali allo scopo di propagandare la lotta contro la barbarie tedesca.
Le fotografie di questo volume si riferiscono al 1915, ma il volume deve esser stato pubblicato nella metà del 1916; Ardouin-Dumazet, come vedremo, fa un esplicito riferimento alla battaglia in corso a Verdun.
Victor-Eugène Ardouin-Dumazet (1852-1940) era un giornalista noto nella Francia dell’epoca per aver pubblicato libri sui viaggi ed aver collaborato alle famose guide turistiche Joanne. Tra il 1893 e il 1907, aveva redatto 70 volumi del “Voyage en France”, una guida non solo turistica delle regioni e delle città francesi grandi e piccole, la cui lettura costituisce oggi una fonte preziosa per la conoscenza della realtà sociale e produttiva di questa nazione.
La Sezione Fotografica dell’Esercito Francese nasce nel maggio 1915 ed è preceduta da quella cinematografica (febbraio 1915). Ha l’obbiettivo di sistematizzare la realizzazione (e la pubblicazione) delle fotografie eseguite sin dai primi mesi della guerra in modo spontaneo dai fotografi richiamati alle armi e pubblicate sulle riviste, sfuggendo spesso al controllo delle censura. La preoccupazione principale dell’Esercito è combattere un eventuale uso a fini spionistici delle fotografie: i fotografi arruolati vengono inquadrati in un’apposita sezione che emana ben precise istruzioni su come, cosa e dove fotografare. Le missioni fotografiche al fronte sono accompagnate da militari del controspionaggio (II° Bureau) e il fotografo deve occuparsi dell’intero processo produttivo, dalla ripresa all’archiviazione. Il compito della Sezione Fotografica è quello di fornire all’Esercito una precisa documentazione per la propaganda, sia all’interno sia verso i paesi neutrali, e una catalogazione dei monumenti distrutti dal nemico. Quest’ultima funzione ha anche un risvolto politico-culturale: l’obbiettivo è la rappresentazione della barbarie del nemico tedesco in funzione delle future riparazioni quando la guerra sarà finita.
Le fotografie che presentiamo sono accompagnate da brani tratti dal commento scritto da Ardouin-Dumazet e provengono da un fascicolo intitolato “Armes et munitions”, dedicato alla produzione bellica in Francia.
Ardouin-Dumazet nell’introduzione al primo fascicolo, descrive la situazione nuova prodotta da questa guerra di lunga durata.
“La creazione di trincee, l’intervento di una nuova artiglieria, di macchine terrificanti, gas asfissianti, aerei, hanno da tempo trasformato le condizioni di vita del soldato al fronte. Coloro che pensavano alla guerra sulla base della loro partecipazione a grandi manovre, si trovano dinnanzi a un abisso tra la loro concezione e la realtà”
da “La vie du soldat”
Ardouin-Dumazet aprendo il suo commento al fascicolo “Armes set munitions”, rileva l’insufficienza dell’esercito francese in una guerra in cui l’arma decisiva è l’artiglieria.
“Quando è scoppiata la guerra, nessuno poteva supporre che il consumo di munizioni sarebbe stato così pesante, che l’artiglieria, recentemente in crescita, sarebbe stata comunque insufficiente per il numero di pezzi. Tuttavia era stato fatto un grande sforzo; il nostro Stato Maggiore di fronte ad una richiesta ogni giorno crescente, aveva accumulato proiettili e aumentato la produzione di esplosivi. Erano nati reggimenti di artiglieria da campagna e di artiglieria pesante. Ma se le munizioni erano stimate in quantità sufficiente, le nuove formazioni esistevano solo sulla carta. Le batterie pesanti non erano equipaggiate in modo adeguato e quelle previste non erano state organizzate.”
Non mancano nell’articolo le lodi a cannone calibro 75 a tiro rapido, vanto dell’esercito francese.
“Il 75 non tradiva le speranze, in numero eguale, se non inferiore, aveva la netta supremazia sul 77 tedesco: i suoi effetti furono terrificanti, terribili e lo sono ancora. Ma il nemico era equipaggiato con un numero infinitamente maggiore di 77; aveva una quantità enorme di pezzi pesanti la cui portata superava di molto quella dei nostri cannoni. Era un materiale d’assedio che poteva avere ragione del cemento più spesso e delle corazze meglio temperate...”
Questo riferimento al cemento ed alle corazze d’acciaio è dovuto alla facilità con cui l’artiglieria pesante tedesca aveva distrutto le fortezze belghe di Namur e Liegi. A quasi due anni dallo scoppio della guerra, la situazione economica della Francia si stava risollevando dal disastro subito con l’occupazione delle regioni più ricche di materie prime.
“Dai primi giorni dalla guerra i nostri migliori centri metallurgici erano caduti nelle mani dei tedeschi. I bacini minerari di Briey e di Longwy, i più ricchi al mondo di ferro, erano occupati: fornivano a Essen e alle grandi fabbriche tedesche il materiale necessario per fabbricare cannoni e proiettili. E insieme al minerale c’erano gli stessi alti forni e le fucine. Le gigantesche fucine di Longwy, Mont Saint-martin, Gorcy e di Villerupt, la gloria delle nostre industrie , erano occupate…”
”Venne il turno delle grandi officine di ferro e acciaio nel Nord: Maubege, Hautmont, Denain, Anzin, Valenciennes, Douai, Albert. Insomma l’industria metallurgica francese era stata quasi interamente conquistata, anche perché le fabbriche del Centro: Saint-Dizier (ancora nell’Est), Le Creusot, Montluçon, Saint Etienne, Saint Chammond, nel corso del tempo erano diventate tributarie di Briey, da cui si approvvigionavano esclusivamente di minerale estratto dalle miniere…”
Questa situazione esigeva un grande sforzo e capacità inventiva. Ardouin-Demauzet descrive questo processo di mutazione economica e culturale con efficacia, anche se il suo stile non è esente dall’enfasi che contrassegnò il giornalismo impegnato nella difesa degli interessi nazionali. E’ chiaro che in questo scritto ogni riferimento alla durezza degli orari di lavoro e alla limitazione dei diritti sindacali e democratici è del tutto assente.
“Non soltanto era necessario rimpiazzare il materiale perduto o danneggiato, le munizioni impiegate al di là delle previsioni: bisognava rispondere numero per numero, superarlo anche... Voci ardenti si fecero sentire stimolando le lentezze dell’amministrazione, l’inerzia, trionfando su routine e pregiudizi...Ciò che restava delle fabbriche fu militarizzato, se ne crearono altre…”
“Gli arsenali, Bourges, Tarbes, Lyon, Puteaux e tanti altri crebbero enormemente. Gli arsenali della marina furono utilizzati per i bisogni dell’armata di terra. Ma tutto questo non è niente al paragone delle risorse fornite dall’industria privata. I grandi stabilimenti furono ingranditi, a volte in modo prodigioso, altri sorsero dal niente per impiegare migliaia di braccia. Fabbriche specializzate in lavorazioni speciali per automobili, edilizia, macchinari, chincaglieria si sono messe a fabbricare proiettili…”
“Nella periferia di Parigi una fabbrica occupava 3000 operai per le automobili, ora ne impiega 15.000 per fare proiettili. Un’altra, sorta in pochi giorni, occupa 5000 operai…Lungo i fiumi e i torrenti, nelle lontane valli delle Alpi, dell’Auvergne, dei Pirenei, dove la forza motrice abbonda, s’incontrano tante piccole fabbriche che lavorano per la difesa nazionale…”
“Lyon, la città della seta, dove l’industria metallurgica era, è vero, in pieno sviluppo, è diventata uno dei grandi centri per la difesa nazionale. Le sue fabbriche di prodotti chimici, in competizione con quelle tedesche, sono utilizzate per alimentare la produzione di esplosivi. La grande città, posta tra il Rodano e la Saone, è si è trasformata in un gigantesco arsenale. Alla stessa opera lavorarono i centri classici della metallurgia…La loro principale attività è indirizzata alla produzione di armi: cannoni e mortai, di cui il calibro, la portata e la forza distruttrice è stata prodigiosamente accresciuta. Da qui escono in gran numero mitragliatrici di cui all’inizio avevamo un numero apparentemente rispettabile, ma ridicolo a paragone di quello di cui disponevano i tedeschi…”
“Si è potuto vedere nel corso della battaglia di Verdun il ruolo considerevole giocato da queste armi nel famoso tiro di sbarramento in cui sono state spezzate le ondate degli assalti tedeschi e sono state coperte di migliaia di cadaveri le colline dell’Argonne orientale, le pendici della Cote du Poivre, di Douaumont, di Vaux…”
“Lo sforzo compiuto va al di là dell’immaginazione e tuttavia è insufficiente: sono necessari sempre più cannoni, mitragliatrici fucili, cartucce...La mano d’opera maschile è diminuita, soprattutto negli elementi più resistenti alla fatica fisica, si sono fatti ritornare dal fronte gli operai indispensabili, ad esempio i minatori di carbone…ma ciò non è stato sufficiente. E’ stato necessario fare appello alla mano d’opera femminile che si è mostrata adatta al rude lavoro dell’industria meccanica, soprattutto quando si esige precisione e destrezza. Più di centomila donne e ragazze sono oggi impiegate in lavori che sembravano da sempre interdetti al sesso femminile…”
“Queste fabbriche, queste lavorazioni che richiedono decine e decine di milioni non sono previste senza profitto per l’avvenire, continueranno a lavorare dopo la guerra, abbandonando evidentemente la produzione di strumenti di morte per opere di pace.”
“Le fotografie di questo fascicolo permettono ai lettori di rendersi conto di uno dei settori principali di questo formidabile lavoro delle fabbriche di guerra…sfogliando queste pagine ci si renderà conto della varietà e dell’intensità dello sforzo necessario per alimentari i tiri di sbarramento, le concentrazioni di fuoco, le raffiche di cui i comunicati segnalano ogni giorno l’impiego.”
Ardouin-Dumazet
dal Capitolo VII “Armes et munitions“
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