sabato 11 luglio 2015

La rivolta degli Alpini ad Aosta del 25 e 26 novembre 1915 Quarta e ultima parte

Copertina della rivista Il Mondo del 1916 con una fotografia in cui posano gli Alpini in atteggiamento da combattimento
Da Torino giunge ad Aosta il Commissario di P. S. Odilio Tabusso, invia i risultati dell'inchiesta al Prefetto Verdinois in data 29 novembre. Nel fascicolo conservato presso l'Archivio Centrale dello Stato. Presidenza del Consiglio, il documento è autografo e Tabusso cercando di ricostruire le vere cause dalla rivolta, traccia anche un panorama ampio dell'atteggiamento dell'elite valdostana nei confronti della guerra."...Si era in principio ritenuto che i riprovevoli fatti"scrive Tabusso" fossero il frutto di un preordinato accordo, circostanza questa più assodata dalla considerazione che quasi tutti i dimostranti erano affiliati a partiti manifestamente contrari alla guerra. Sta invece che le cause delle mai abbastanza lamentata violenta dimostrazione sono da ricercare nell'ambiente militare in cui gli alpini hanno passato il tempo dopo il loro ritorno dal fronte per ferite e malattie colà incontrate." Tabusso punta l'indice sul trattamento subito dai reduci dal fronte nelle caserme di Aosta ed esclude l'influenza del socialismo neutralista o del partito clericale, tracciando un quadro della situazione aostana in cui emerge la fragilità delle organizzazioni operaie. "Non l'elemento operaio che anche nei tempi ordinari è ridotto, nella stagione invernale, ai minimi termini; non l'opera deleteria degli affiliati ai partiti estremi che qui non può e non deve essere presa sul serio, giacché il partito popolare e socialista anche prima che scoppiassero le ostilità con l'Austria nel suo giornale di classe Le Mont Blanc non ha mai fatto opera di disgregazione ma tenne una linea di condotta interventista. Non la propaganda privata o pubblica perché qui mancano le leghe, i circoli e le associazioni politiche...". 
Elaborazione fotografica a partire dalla relazione del Commissario Odilio Tabusso
Tabusso analizza la stampa locale che sembra perfettamente allineata con il nuovo clima determinato dall'entrata in guerra dell'Italia. "E neppure la stampa locale, specie in questi ultimi tempi, ha nei suoi articoli scritto vivacemente contro la guerra. I quattro periodici ..., Le Mont Blanc, già nominato, Le Pays d'Aoste, la Doire e Le Duche d'Aoste, che del resto non sono letti dai soldati, specie di altre regioni, e su di essi non possono quindi esercitare influenza alcuna, non hanno mai stigmatizzata o deprecata la nostra guerra. Le Ducheé d'Aoste e Le Pays d'Aoste, organi del partito clericale, notoriamente non interventista, prima che si aprissero le ostilità e anche a guerra dichiarata e combattuta hanno bensì avuto qualche articolo leggermente accentuato in senso pacifista, ma in seguito e specie in questi ultimi tempi hanno modificato la loro linea di condotta dando ampi[...] anche ad articoli e corrispondenze di soldati che stanno combattendo al fronte, articoli di entusiasmo per la guerra." Dopo aver escluso i socialisti e i giornali locali, Tabusso salva anche la cittadinanza di Aosta che "nessuna parte, anche indiretta, ebbe pure negli incresciosi incidenti la popolazione di Aosta: tutta la cittadinanza si è mostrata estranea al fatto, stigmatizzando l'accaduto e non confondendosi e questo è stato constatato de visu anche dallo scrivente[..]. Si hanno quindi solo cause intrinseche all'elemento militare." Tabusso su questo punto sembra molto informato: i soldati parlano con la gente e tra loro, si chiacchiera anche con quelli che sono di stanza ad Aosta e non avrebbero dovuto partire. Tabusso non risparmia il comportamento degli ufficiali che nelle relazioni stilate dai militari era descritto come dettato solo dall'inesperienza. "E' voce comune in città, e ciò è stato confermato nei diversi interrogatori da me fatti a persone che più avvicinarono i soldati, che la dimostrazione ebbe origine innanzitutto dalla mancanza assoluta della disciplina e dalla inettitudine, è doloroso dirlo, del capitano di fanteria Ponti (?) notoriamente contrario alla guerra (egli stesso riuscì ad ottenere di non partire pel fronte) e comandante interinale del presidio e degli ufficiali subalterni di complemento troppo legati da amicizia, e quindi arrendevoli coi loro dipendenti. Ma altre cause più gravi hanno dato luogo alle scenate. Il cattivo trattamento fatto ai soldati in caserma, sia i feriti e i convalescenti che non verrebbero trattati coi dovuti riguardi dagli ufficiali medici, sia agli altri soldati che mancherebbero, per la poca esperienza degli ufficiali richiamati, qualche volta del vitto o del caffé o non avrebbero delle coperte o paglia insufficiente per dormirci sopra. Quest'ultima anzitutto è stata la causa occasionale, il pretesto dei fattacci. Alla vigilia della partenza pel fronte erano state tolte ai soldati, per timore che andassero poi perdute o disperse, le coperte di lana da letto. Ne conseguì che gli alpini dopo avere bevuto parecchio e fatte le note peregrinazioni per la città, sapendo di dover tornare ai quartieri, al freddo, e nella notte del 25 al 26[...]questo era intenso, per le cause già accennate ed anche perché malvolentieri ritornavano per la 2° o la 3° volta al fronte, iniziarono, specie qualche soldato ancora non completamente guarito e rimessosi in salute, la turbolenta dimostrazione, prima in pochi e poi in numero considerevole perché i più violenti, fatto ritorno in quartiere erano riusciti a far fare, anche con la minaccia di lesioni e danni personali, causa comune agli altri che già si erano ritirati. Che la cosa non fosse preordinata lo dimostra il fatto che buona parte degli alpini, poche ore prima della dimostrazione avevano scritto lettere alle rispettive famiglie mandando loro notizie dell'imminente partenza; erano andati a salutare le persone di loro conoscenza e qualcuno anche aveva fatto acquisti di generi alimentari di prima necessità e perfino[...]di inchiostro e di carta da lettera perché dicevano essi, difficilmente in trincea ne avrebbero trovata. Le cause dei disordini sono quindi precisamente quelle dianzi accennate per quanto l'autorità militare, e se ne comprende la ragione, non voglia forse accennarle e ammetterle; e poiché mi[...], per averlo appreso da persone degne di fede, che anche fra gli alpini sciatori che attualmente si trovano per l'istruzione a Courmayeur ed in altre località del circondario, e che fra non molto rientreranno in Aosta, serpeggia un vivissimo malumore per i non buoni trattamenti cui devono sottostare da parte dei loro superiori, segnalo la cosa alla[...]per quelle determinazioni rese necessarie dall'importanza del momento attuale. Con il massimo ossequio. Il Commissario di ps Tabusso"*
Elaborazione fotografica a partire dalla relazione Tabusso
In vino veritas! Dicevano i romani. Nel vino allora, questa miscela etilica in grado di eliminare le inibizioni e le paure, si riversa la rabbia a lungo repressa che esplode improvvisamente nella rivolta e nella voglia di spaccare tutto, di distruggere i simboli del potere. L'antico borgo di Aosta, dove sembra che non succeda mai niente se non acerrime beghe tra notabili, vive una notte brava in cui per una volta 400  esseri umani dicono che della guerra ne hanno abbastanza. Ci chiediamo: è possibile che in 400 siano tutti ubriachi? Forse qualcuno è cosciente di quello che sta facendo e per il momento non sa come finirà, a quanti anni di galera verrà condannato, magari dopo la fine della guerra e a vittoria conseguita. Nella relazione scritta e firmata da Odilio Tabusso su questo modesto episodio di insubordinazione nelle lontane retrovie del fronte sembra esplicitarsi un contrasto tra il potere militare e quello civile che si accentuerà sino alla disfatta di Caporetto. A mettere una parola fine a questa vicenda è il Ministro della Guerra Zupelli con una relazione inviata al Presidente del Consiglio Salandra in cui si fa propria la tesi del vino scatenatore dei tumulti, ma entra in campo un elemento nuovo che non avevamo ancora sentito menzionare: una scala. La data del documento è il 12 dicembre 1915. "... una scala rinvenuta al lato esterno del muro di cinta della caserma, lascia supporre che molti, dopo essere rientrati, abbiano di nuovo abbandonata la caserma scalando il muro. Verso la mezzanotte un gruppo di un centinaio circa di soldati alterati dal vino si trovò riunito al centro della città e si dette a schiamazzare, gridando "abbasso la guerra! abbasso la camorra! non vogliamo più partire! vadano un po' gli altri non sempre noi!" volendo alludere ai soldati della milizia territoriale di fanteria che erano sempre rimasti in paese. Non valsero le esortazioni degli ufficiali accorsi a calmarli e a farli tornare in caserma. Una pattuglia dei carabinieri fu aggredita e costretta a ritirarsi. Quindi la turba urlando, fischiando e scagliando sassi, si diresse verso una delle caserme, ruppe i vetri delle finestre, rovesciò la garitta, sfondò il portone, si scagliò all'interno, infranse le lampade elettriche, aprì le porte delle prigioni per liberare i puniti, salì nelle camerate, svegliò i soldati e minacciando e gridando: fuori i crumiri! fuori i vigliacchi! comandiamo noi! li costrinse fuori della caserma e a seguirla. Poi si recò all'altra caserma  e ripeté lo stesso chiasso, gli stessi tumulti, gli stessi atti di vandalismo. Due ufficiali che tentavano di nuovo di sedare i riottosi furono accolti a fischi, a sassate. Poi i tumultuanti si diressero alla stazione ferroviaria, ruppero vetri e fanali e costruirono delle barricate sui binari per impedire ai treni di partire. Frattanto si erano fatte le quattro e un po' di calma cominciò a entrare in quegli animi esaltati. Alcuni gruppi vennero a miglior consiglio e dando al fine ascolto all'esortazione degli ufficiali rientrarono in caserma. L'esempio fu di mano in mano seguito da altri. Alle 9 risultarono quasi tutti rientrati. Alla chiamata mancavano solo 24 individui. La partenza per la zona di guerra si effettuò poi alle 19, ed avvenne col massimo ordine. Anche il viaggio fino a destinazione non dette luogo ad alcun incidente. Furono trattenuti ad Aosta 24 militari, ai quali, come maggiormente compromessi nei disordini, furono denunciati al tribunale militare di Torino per i reati previsti dagli articoli 115,116, 228 e 230 del Codice Penale Militare. L'inchiesta ha pure accertato che alcuni ufficiali mancavano di previdenza e di prontezza o non usarono tutta l'energia che sarebbe stata necessaria: e questi furono disciplinarmente puniti. Ma non fu possibile assodare se l'opera di sobillatori abbia avuto parte nei disordini. Ma certo deve avervi contribuito l'ambiente in cui i militari tornati da fronte vennero a trovarsi, in mezzo ai parenti e ai compaesani che li commiseravano, lontani da quegli alti incentivi che si acquistano sul campo dell'azione. Il Ministro Zupelli (firma autografa)"
La Stazione di Aosta oggi
Sui motivi di ribellioni come quella di Aosta si è soffermata la riflessione degli storici. In"Soldati e prigionieri italiani nella Grane Guerra, Giuliana Procacci scrive: "Le tre principali ribellioni che si verificarono nell'inverno del 1915, ad Aosta, a Sacile, a Oulx, tra reparti di alpini che stavano per partire per il fronte, dipesero dal fatto che i soldati ritenevano di avere diritto a un più lungo periodo di riposo; sui turni e licenze mancava infatti ogni uniformità di trattamento e poteva anche accadere -come avvenne- che ad alcuni reparti fanteria non fossero concesse licenze per oltre due anni o che restassero in trincea per dieci e più mesi. Tuttavia se il motivo scatenante era la convinzione che fossero stati ingiustamente lesi dei diritti, spesso però la protesta sfociava in esplicite manifestazioni di avversione alla guerra, e di aperta ostilità contro lo Stato e le sue istituzioni...A differenza dei soldati italiani, inglesi e francesi distinguevano gli immediati responsabili dei massacri, che condannavano, dalle istituzioni politiche del paese, che non venivano mai messe in causa, e per difendere le quali essi accettavano di combattere..."
Come reagì lo Stato dinanzi alle ribellioni di Aosta, Sacile, Oulx?
Sempre Giuliana Procacci, dopo aver descritto brevemente i fatti accaduti in particolare ad Aosta, tratteggia l'atteggiamento dei gruppi dirigenti che scelsero una sola strada: "Altri episodi si verificarono nei mesi successivi, senza però raggiungere i livelli di quelli descritti. In seguito agli avvenimenti di Sacile (in cui i rivoltosi avevano esploso in aria colpi di fucile nda.) infatti, Cadorna aveva scritto a Salandra la già ricordata lettera del 14 gennaio 1916, nella quale si era espresso contro le sentenze che contemplavano solo l'ergastolo, e a favore delle condanne a morte: poiché gli elementi di accusa erano spesso solo indiziari (come appunto nel caso di Sacile), Cadorna aveva deplorato che il codice non prevedesse la facoltà della decimazione, all'uso della quale, in seguito agli sbandamenti legati all'offensiva nemica del maggio 1916, come già vedemmo, autorizzò e incitò i comandanti, che la misero spesso in azione, inducendo pertanto i sodati a desistere da atti di protesta."[da Soldati e prigionieri italiani nella Grande Guerra di Giuliana Procacci, pagg. 98-99, Ed. Bollati Boringhieri, 2000]

*Nel 1922, il giorno dopo la marcia su Roma, il Commissario Odilio Tabusso, diventato nel frattempo vice-questore di Torino, assiste compiacente alla devastazione della sede del giornale comunista "L'Ordine nuovo" da parte delle squadre fasciste. Era presente anche il commissario Mariano Norcia che era al comando di reparti del 91° fanteria. Nessuno intervenne in difesa della sede del giornale fondato da Antonio Gramsci. [Informazioni tratte da: http://www.anppia.it/news/2013/12/18/novantuno-anni-fa-a-torino-la-strage-del-XVIII-dicembre/] 

La rivolta degli Alpini ad Aosta del 25 e 26 novembre 1915 Terza parte


Elaborazione fotografica a partire da un documento inviato il 27 novembre 1915
Le relazioni stilate in seguito alle indagini compiute sulla rivolta degli Alpini ad Aosta del 25-26 novembre 1915, rendono evidente l'attenzione delle autorità militari e civili per la tenuta dell'esercito a pochi mesi dalla dichiarazione di guerra all'Impero Austroungarico e per quello che un settore ritenuto importantissimo nel quadro più generale dalla guerra: il fronte interno. Ricordiamo che Il Regno d'Italia era entrato in guerra non in un clima di concordia nazionale, ma dopo mesi attraversati da divisioni e scontri di piazza che alcuni studiosi ritengono essere l'anticipazione di un intero ciclo storico che solo in parte si concluderà con la fine della Seconda Guerra Mondiale e del fascismo. 
Artiglieri italiani sotto il fuoco nemico, illustrazione tratta da Le Pays de France 1915

La prima relazione sugli avvenimenti di Aosta è del  Tenente Generale Comandante la Divisione Territoriale, Generale Saverio Nasalli. Il documento, definito "riservatissimo", è inviato da Novara il 27 novembre 1915; l'alto ufficiale è giunto ad Aosta verso le 15 del 26. "Smontato alla caserma Alpina (piazza d'Armi)" scrive "trovai il servizio alla porta regolarmente ristabilito, la guardia si schierò com'era prescritto ecc. ecc., solo indizio del disordine parecchi vetri infranti nella facciata della Caserma e la lampadina elettrica dell'ingresso abbattuta...Alle 15, dei 405 designati a partire, mancavano circa un centinaio, ma ancora se ne andavano presentando alla spicciolata, lasciando in bianco il numero finché avessi cifrato tutto il lungo telegramma, al momento di spedirlo avrei notificato che i mancanti erano 18 (dei quali una piccola parte, dell'alta Valle d'Aosta, si sapeva che erano partiti con l'automobile postale e ordine era stato telegrafato ai Carabinieri di arrestarli)." Apprendiamo qui che tra i coinvolti nell'ammutinamento, ci sono anche dei  valdostani che forse hanno cercato di raggiungere le loro case nei villaggi dell'alta Valle. Coloro che sono rientrati in caserma sono calmi, alcuni intontiti dall'effetto "ritardatario del vino", altri, tristi e spaventati dopo un eccesso, scrive l'ufficiale, di cui si cominciano a capire le conseguenze.  Il comportamento degli ufficiali è stato nel complesso buono, ma di alcuni si sottolinea l'inesperienza. "Il Tenente Colonnello Conti Comandante del Deposito fu all'altezza della situazione. Partì con Maggiore, appena promosso, Gagliardi, convalescente a Ivrea e recante ancora i distintivi di capitano (noto nel reggimento per due medaglie al valore) e coi due migliori sottotenenti che aveva disponibili, e appena giunto rimise l'ordine nelle due caserme...coordinò l'opera degli ufficiali di Aosta, che non era stata deficiente ma disordinata e non molto efficace per mancanza ancor più di pratica e di autorevolezza per impulso centrale." Viene escluso il complotto."Occorre premettere che gran parte dei 400 partenti erano già stati al fronte e ne erano tornati feriti, alcuni anche due volte e V.E. probabilmente sa come sia intimo pensiero, non solo degli alpini, ma, a quel che dicono i medici e la Croce Rossa, di tutti i militari feriti, che un soldato ferito ha pagato il suo tributo e che quindi egli non è più tenuto ad altro. (Constato naturalmente, comprendo anche, ma non approvo)." 
Aosta, Piazza della Repubblica. Nel 1915 questo luogo, posto fuori dalla cittadina, si chiamava Piazza d'armi e qui sorgevano le caserme da cui partì la rivolta degli Alpini
La constatazione, la comprensione e la dovuta disapprovazione dell'ufficiale rientrano in un atteggiamento mentale prudente di chi ormai ha capito che la guerra non sarà così breve come è stato promesso e come in molti continueranno a sostenere. L'accenno alla Croce Rossa è interessante perché si cerca di entrare nella psicologia del soldato, un essere pensante che invece dovrebbe essere spogliato del tutto della sua personalità. Ci riferiamo alle idee di Cadorna su come dovesse essere organizzato l'esercito e alle riflessioni di Padre Agostino Gemelli, analizzate dallo storico Antonio Gibelli in "L'officina della guerra", Ed. Bollati-Boringhieri. Il vino gioca parte importante nella rivolta. "Pochi avvinazzati, poco buoni soldati e più malcontenti, manifestarono ad alta voce questo sentimento che trovò un'eco facile e consentaneo negli altri non meno avvinazzati e in breve tempo la collera del vino si sviluppò ad alta tensione." Al di là del vino, c'è sicuramente qualcosa che cova nell'animo dei soldati; l'ufficiale descrive le misure preventive che però non evitano il malcontento."La truppa, come pratica sempre il 4° Alpini, per evitare il prolungarsi di una situazione che si risolve nelle grandi bevute e nelle ubriacature negli alpini e in Piemonte, era stata avvisata della partenza il giorno stesso dopo una marcia. La partenza doveva avvenire alle ore 6 del mattino del 26 e la sveglia alle ore 3. Alla ritirata mancavano 150 individui." E' questo il momento in cui scatta la rivolta."L'ufficiale di servizio che andava e veniva fra le due Caserme, un Ufficiale del Battaglione di M.T. che notò dei gruppi, il Maresciallo dei R.R. C.C.  con qualche milite, avviarono con qualche difficoltà circa 100 alle caserme. Verso la mezzanotte un gruppo di circa 50 aveva cominciato a gridare abbasso la guerra e che era composto dai più avvinazzati, affrontati da pattuglia all'arma (per la quale gli alpini hanno marcata antipatia) si ribellò alle ingiunzioni e qualcuno estrasse anche la sciabola baionetta con minacce che ieri si dicevano verbali ma che non stupirei risultassero poi anche materiali. L'ufficiale di servizio accorso, tentò anch'egli di vincere i riottosi ma questi abbandonato l'Ufficiale si portarono in gruppo alla caserma alpina e si precipitarono in massa urlando, ed impadronitisi degli alpenstock, bastonando i meno pronti, obbligarono gli altri ad alzarsi e uscirono con loro. Una volta usciti si sviluppò questa follia inevitabile in una massa di 400 individui ubriachi di cui alcuni ubriachi fradici. Ruppero i vetri della facciata, nell'uscire in frotta rovesciarono la garitta della sentinella e portatisi in città ruppero un lastrone di un negozio e due vetri della Sotto prefettura (questo lo seppi dopo spedito il telegramma) e tentarono, ma invano, di far riaprire le osterie battendo violentemente a quelle porte e a quelle anche di cittadini più disgustati che impauriti. Mentre il chiasso svegliava gli ufficiali alloggiati alla "Corona", ufficiale di servizio vistosi impotente da solo era corso a svegliare il capitano di fanteria Ponti Consegnatario del Magazzino che primo affrontò gli ammutinati senza alcun risultato ma senza ricevere alcuna offesa. Gli altri ufficiali intervennero pure, ma l'impressione mia è che al primo momento tutti persero alquanto la testa compreso il sottoprefetto e ciò produsse i telegrammi allarmanti ricevuti, pei quali la città pareva preda di rivoltosi. L'inchiesta potrebbe ancora rivelare qualche parziale deficienza negli ufficiali, ma la mia impressione è che vi fu inesperienza da parte loro e inefficacia dovuta alla poca autorevolezza, necessaria per tutte le truppe ma più per queste, speciali per carattere e abitudini locali." L'ammutinamento assume così i caratteri di una rivolta spontanea che non sembra avere alcuna testa politica furochè l'idea di non voler più tornare in trincea. I soldati sanno cosa li aspetta e la rabbia si manifesta nel solo modo possibile: la disobbedienza a giovani ufficiali mal addestrati e freschi di nomina, l'astio nei confronti dei carabinieri, la devastazione dei simboli di tutto ciò che è militare e, in primo luogo, la caserma. 
Elaborazione fotografica a partire dal documento inviato il 27 novembre 1915
Le ultime righe del rapporto contengono una constatazione di tipo militare sulla guerra in corso e un'altra di carattere politico. "Credo per ultimo far osservare che il 4° Alpini passa in paese e fra i soldati per il reggimento che ha avuto le maggiori perdite fra tutti i reggimenti alpini. Si dice insistentemente che il Reggimento abbia avuto 8.000 fra morti, feriti, dispersi (non credo sia la cifra esatta, ma so che la cifra vera è molto elevata). Le perdite essendo locali come i soldati... questo discorso ripetuto in ogni conversazione ribadisce nei soldati e anche famiglie il falso concetto che il ferito abbia pagato un contributo non rinnovabile. Malgrado ciò l'elemento Valdostano non avrebbe fatto nulla se ad esso non fossero mescolati operai del Biellese di cattivo spirito militare e anche quelli di Aosta. Questa è convinzione degli ufficiali, di cui nessuno è valdostano, e mia.". *
Nella quarta e ultima parte di questa serie di post dedicati agli avvenimenti aostani del novembre 1915, esamineremo la relazione stilata dal Commissario di P.S. Tabusso in cui sono esaminate la situazione politica ad Aosta e il trattamento degli Alpini nelle caserme.
*Archvio Centrale dello Stato Presidenza del Consiglio dei ministri "Aosta-Ammutinamento del 4° reggimento"

mercoledì 8 luglio 2015

La rivolta degli Alpini ad Aosta 25 e 26 novembre 1915 Seconda Parte

I documenti  che riguardano la rivolta degli Alpini ad Aosta nella notte tra il 25 e il 26 novembre del 1915, ci consentono di ripercorrere le fasi dell'avvenimento e in questo secondo capitolo del nostro racconto, iniziamo ad esaminarli a partire dalle prime notizie.
Elaborazione grafica a partire da uno dei telegrammi inviati al Ministero degli Interni il 26 novembre 1915
Il primo telegramma è del 26 novembre ed è ricevuto al Gabinetto del Ministro dell'Interno alle ore 18,15, giunge da Aosta ed è inviato alle ore 15,15.
"Circa 300 sodati 4° reggimento Alpini ivi distaccati destinati partire stamane per ignota direzione ammutinatisi rimasero sera fuori caserma dopo ritirata - Ore 24 improvvisamente formossi tra loro dimostrazione al grido: abbasso la guerra! -   percorsero vie città commettendo atti teppistici - Intervenuta arma diretta sottoscritto - stante eccessivo numero dimostranti armati fu conveniente ritirarsi per evitare gravi conseguenze - rimandata partenza prese disposizioni per effettuarla garantendo ordine pubblico - al momento calma perfetta - sottotenente Pierantoni".  
Il grido, "politico", di "abbasso la guerra!" urlato dai dimostranti e il fatto che vengano definiti armati sottolineano la gravità della situazione.
Il secondo telegramma è inviato dal Prefetto di Torino Verdinois sempre al Gabinetto del Ministro dell'Interno alle ore 19,25 del 26.
"Di circa quattrocento alpini che d'Aosta dovevano ripartire all'alba per il fronte e che questa notte si sono ribellati attualmente rimangono fuori caserma solo una trentina - Tutti gli altri essendo rientrati - Alcuni alpini recaronsi questa notte nella stazione ferroviaria rovesciando materiale sui binari - Danni lievissimi non perturbarono servizio - Ad ogni buon fine ho provveduto per la partenza di altro rinforzo di carabinieri - Città Aosta mantiensi calma insano tentativo Prefetto Verdinois".
Elaborazione grafica a partire dal secondo telegramma inviato dal Prefetto di Torino Verdinois
Un terzo telegramma, sempre di Verdinois, é inviato il 26 alle ore 20,30 e ricevuto alle 22,35.  "alpini  con forte scorta dei carabinieri sono partiti poco fa da Aosta con treno speciale per la zona di guerra Al momento della partenza sono stati trattenuti in arresto una quindicina di alpini ritenuti caporioni della ribellione -  sono stati pure trattenuti in arresto altri due o tre che hanno emesso grida di -viva l'Austria-".
Ancora un telegramma di Verdinois del  27, inviato alle ore 15,45 e ricevuto alle 19,15.
"i primi accertamenti tenderebbero ad escludere l'ipotesi di opera di estranei nell'ammutinamento del reparto degli alpini- Costoro appartenenti ai circondari di Biella é vero erano dolenti di dover tornare in guerra senza aver riveduto le loro famiglie ed irritati che i soldati di fanteria rimanessero ad Aosta  cui le proteste che forse anche per le copiose libazioni fatte dagli alpini durante la sera di giovedì...non rientrarono in caserma all'ora della ritirata degenerarono poi in aperta e grave ribellione -  La popolazione valdostana è dolente del fatto che può menomare la sua reputazione mentre gli ammutinati appartengono ad altra provincia". 
L'informazione del Prefetto contiene un dato importante: gli alpini non vogliono essere i soli a fare la guerra, chiedono che anche quelli di stanza territoriale ad Aosta vadano al fronte. E' un elemento di divisione e di guerra fra poveri che si inserisce tra i soldati. Il fatto che i soldati siano per la maggior parte del biellese verrà sottolineato anche altre relazioni. 
Il Presidente del Consiglio Antonio Salandra

In seguito ai fatti di Aosta si muove il Presidente del Consiglio Salandra che invia un telegramma a Verdinois. Il fascicolo conservato presso l'Archivio Cebtrale dello Stato (Presidenza del Consiglio dei Ministri) contiene la copia autografa del messaggio di Salandra e viene spedito il 27 novembre alle ore 10,22. "Verrà da Lei tenente Bellomia sostituto avvocato fiscale incaricato costà di un'importatane istruttoria militare. La prego trasmettermi le comunicazioni che egli le farà. La consegna agire assoluta riserva e non ammette ... diretta ingerenza autorità di polizia. Salandra". Dalla calligrafia, non sempre chiara, di Salandra scaturisce il contrasto tra i differenti corpi dello stato: assoluta riservatezza da parte dei militari e niente ingerenze delle autorità di polizia. 

lunedì 6 luglio 2015

La rivolta degli Alpini ad Aosta 25 e 26 novembre 1915 Prima parte

Il fascicolo conservato presso l'Archivio Centrale dello Stato. Le immagini dei documenti in esso contenuti non saranno pubblicate in quanto su di esse gravano dei diritti di pubblicazione.

Un episodio sconosciuto avvenuto ad Aosta durante la Prima Guerra Mondiale e citato  brevemente in studi più generali dedicati all'Esercito Italiano negli anni 1915-1918, riemerge dal passato esaminando i documenti conservati presso l'Archivio Centrale dello Stato e contenuti in un fascicolo dal titolo "Aosta- Ammutinamento degli Alpini del 4° reggimento". L'analisi della documentazione svela una vicenda che si inserisce nella   protesta contro la guerra che si manifestò in modi diversi e culminò durante la disfatta di Caporetto, quando tanti soldati decisero di tornarsene a casa. Ad Aosta nel novembre del 1915 tra gli alpini serpeggiò il malcontento ed esplose la rivolta per il trattamento a loro riservato dalle autorità militari e questo fatto, unito ad altre proteste avvenute nei paesi di Oulx e di Sacile e  che ebbero come protagonisti sempre gli alpini,  mise in forte preoccupazione i comandi militari e il Governo Salandra per la tenuta complessiva dell'Esercito a pochi mesi dall'entrata in guerra dell'Italia.
Copertina della rivista francese Le Pays de France del 1915 in cui si rappresenta la guerra combattuta dagli Italiani sulle Alpi  Orientali 
Che cosa accadde ad Aosta? In seguito alle prime due sanguinose battaglie dell'Isonzo ad Aosta vennero inviati numerosi alpini feriti e ammalati per trascorrere un periodo di riposo in vista di essere inviati nuovamente al fronte. Improvvisamente fu comunicato ai soldati che la data della partenza era stata fissata per la mattina del 26 novembre: la sera del 25,  quando fu data agli alpini la libera uscita i soldati si ribellarono all'ordine di tornare in caserma. Chi era rientrato uscì nuovamente per le strade, furono infranti vetri e lampioni della caserma, vennero liberati soldati detenuti e circa 400 uomini invasero le strade di una cittadina addormentata in una notte fredda di inizio inverno. I ribelli cercarono di bloccare la partenza dei treni rovesciando qualche carrello sui binari della stazione, poi lentamente la protesta rientrò e i soldati si lasciarono convincere dagli appelli degli ufficiali e dalla paura per le conseguenze del loro gesto. I soldati del 4° Alpini partirono regolarmente per il fronte la sera del 26, 24 furono i soldati deferiti al Tribunale Militare di Torino, la città si mantenne calma e i cittadini che si recarono alla stazione assistettero con un silenzio, definito insolito, alla partenza della tradotta. 
La guerra in alta montagna vista in un'illustrazione della rivista francese Le Panorama de la Guerre del 1915

Su questo episodio calò il silenzio e i giornali valdostani del tempo non ne parlarono. La figura dell'alpino, fedele montanaro e difensore del re e dalla patria, fu affidata ad una memoria che il fascismo costruì per giustificare se stesso e la sua andata al potere, ma che non fu rivista e aggiornata nemmeno nei primi decenni della Repubblica nata dalla Resistenza. Poi il lavoro degli storici fece luce su cosa era stata realmente la Grande Guerra per la giovane nazione italiana e oggi, in questo centenario, le cose vengono osservate in modo diverso. L'analisi dei documenti a nostra disposizione e che riguardano questo episodio di rivolta, mostra un'altra faccia della Grande Guerra. L'Italia di chi aveva voluto l'intervento nel conflitto europeo che era già in corso da un anno, sembra che stesse combattendo due guerre: una contro il secolare nemico austroungarico e un'altra contro un popolo italiano ritenuto inaffidabile, influenzato dalla propaganda socialista e che si sentiva estraneo alla guerra liberatrice per le province irredente, propugnata sulle piazze dalla piccola e media borghesia interventista. I montanari delle vallate valdostane e piemontesi che combatterono nel corpo degli alpini non avevano un atteggiamento molto diverso da quello del vasto mondo contadino italiano per cui il concetto di patria e di Italia era ancora molto vago. Emerge dalla lettura delle relazioni che vennero stilate a partire 26 novembre 1915, la preoccupazione delle autorità militari per la scarsa efficienza del corpo ufficiali e un sospiro di sollievo per il fatto che tra le cause della rivolta non ci fosse l'agitazione di gruppi politici contrari alla guerra, i socialisti, i cattolici oppure gli anarchici. La responsabilità venne affidata al troppo vino bevuto nelle bettole della città e a qualche esaltato che, sempre nei fumi del vino, aveva corrotto ed eccitato gli animi. Purtroppo in casi come questi i documenti che ci restano oggi sono quelli ufficiali e scritti da coloro che nella guerra ci credevano oppure dovevano farla fare agli altri, cercando con tutti i mezzi di mantenere l'ordine e la disciplina tra i soldati. Nel fascicolo conservato presso l'Archivio Centrale dello Stato, di questo episodio non ci restano le testimonianze dei soldati, non ci sono gli atti del tribunale che processò e condannò i responsabili. Se si esaminano i documenti ufficiali non si può fare a meno però di notare come qualcuno, tra le autorità, individuasse anche le reali cause della rivolta che covava da tempo e il cui esplodere fu addebitato ai fumi del vino. I documenti a nostra disposizione sono i seguenti: cinque telegrammi, una relazione del Generale Zupelli, Ministro della Guerra, al Presidente del Consiglio Salandra, un'altra relazione del  Tenente Generale Comandante la Divisione Territoriale, inviata il 27 novembre, un documento firmato dal Prefetto di Torino Verdinois e datato 30 novembre, un altro, sempre di Verdinois, in cui si giustifica l'operato del Sottoprefetto di Aosta Pettinari e un'ultima relazione del Commissario di Pubblica Sicurezza Tabusso in cui si fa un'analisi, anche politica, della situazione ad Aosta e che individua le cause precise della rivolta. 
Le Pays de France, autunno del 1915, due fotografie illustrano la guerra degli italiani in montagna. 
Nel post succesivo presenteremo alcuni brani tratti dai testi dei documenti conservati presso l'Archivio Centrale dello Stato.