lunedì 21 febbraio 2011

La Grande Guerra e l'Unità d'Italia


Le Miroir N° 238 del 16 giugno 1918
Il bacio di una donna italiana alla bandiera

Questa fotografia fu pubblicata in grande formato sul N° 238 del 16 giugno 1918, della rivista francese Le Miroir. L’origine dell’immagine è certamente una fonte ufficiale, forse lo il Servizio Fotografico dell’Esercito Italiano, e si vuole comunicare ai francesi il forte slancio patriottico che anima gli italiani nel corso delle battaglie del Piave.
Nella didascalia leggiamo:
“Si è svolta a Roma, qualche giorno fa, una cerimonia toccante. La consegna dei diplomi d’onore alle vedove dei soldati italiani morti per la patria. Nel corso di questa cerimonia una donna in lutto, a cui era stata appena consegnata la decorazione e il diploma guadagnato da suo figlio caduto sul campo di battaglia, si è precipitata in lacrime sulla bandiera e stringendo tra le mani la seta leggera, l’ha baciata con slancio. Questo nobile gesto è degno di essere ricordato con l’immagine.”
La fotografia sembra autentica. Non sappiamo chi è questa donna, non conosciamo il nome del caduto e non ci è dato sapere come la patria sarà stata riconoscente con la madre del soldato, una delle migliaia di vedove, fidanzate e madri private dei loro affetti nel corso della partecipazione italiana alla Prima Guerra Mondiale. Più di 600.000 morti, un milione di feriti e un trauma che non si cancellerà nella società italiana. Dalla guerra verrà il fascismo, una dittatura durata vent’anni, e una nuova guerra devastante. Dalle ceneri del fascismo e della monarchia sabauda, nascerà la Repubblica che oggi si appresta a celebrare i 150 anni dell’Unità d’Italia. Le celebrazioni avvengono in un clima di scontro alimentato dalla Lega Nord che persegue l’obbiettivo della secessione del Nord d’Italia. L’azione del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e quella della parte più consapevole della società italiana, vogliono far in modo che questo anniversario non sia solo una celebrazione, ma un momento di riflessione critica per andare avanti con una nazione unita dotata di un federalismo solidale. Una secessione in Italia sarebbe un rischio gravissimo per la stabilità nel Mediterraneo e per la stessa Europa. La secessione non sarebbe indolore. Dire questo però non basta. La fotografia che venne pubblicata sulla rivista francese nel 1918 non rappresenta la verità e la realtà della Grande Guerra. Il conflitto a cui l’Italia partecipò tra il 1915 e il 1918 fu occasione di un’altra divisione e provocò altri risentimenti. Certo, ci furono tra gli interventisti esponenti di un ceto politico e intellettuale sinceramente democratico (Gaetano Salvemini, Giovanni Amendola), ma l’egemonia fu conquistata ben presto dalla parte più aggressiva del nazionalismo che vedeva nell’entrata in guerra non il compimento del Risorgimento, ma un modo per regolare i conti con il socialismo e la democrazia che, pur con difficoltà, era avanzata negli anni di Giovanni Giolitti. La storia dell’Italia unita è un susseguirsi di eventi segnati dalla divisione, dalla lotta tra progresso e conservazione, dallo scontro tra il mito di un primato culturale originato dall’Impero Romano e una visione realistica su un paese povero, guidato da una classe imprenditoriale e politica arretrata e reazionaria. Il filosofo ed esponente politico del centrosinistra Massimo Cacciari ha detto di recente che la generazione di chi oggi ha sessanta anni, quando ne aveva venti (più o meno nel 1968) non aveva alcun sentimento patriottico, guardava oltralpe e sentiva estranea l’idea della nazione. E’ vero ed era una reazione, anzi un rifiuto, di quell’Italia della conservazione e clericale ancora in posizione egemone in tanti campi della vita civile. Oggi, ha proseguito Cacciari, si difende l’unità d’Italia perché c’è la Lega che pone il problema della separazione. Questo è un fatto naturale: ad ogni azione c’è una reazione. E’ la reazione di ceti intellettuali e di larghi settori della società civile che vedono nel messaggio leghista lo stesso contenuto conservatore, anzi retrivo, che venne utilizzato in altri momenti della storia nazionale. Ad esempio quando si trattò di decidere se entrare o no nella Grande Guerra. Per questo l’Unità dell’Italia nata dall’antifascismo e presupposto della democrazia, è un bene che bisogna far diventare collettivo. Per farlo non basta appellarsi ai buoni sentimenti o ricordare i padri nobili dell’unità (Garibaldi, Cavour, Mazzini, lo stesso Vittorio Emanuele Secondo), ma anche parlare delle cose che divisero, delle delusioni e dei tradimenti. Carlo Pisacane e i trecento di Sapri non erano certamente monarchici e come loro tanti che diedero la loro vita nelle battaglie risorgimentali. Nel corso della lotta per l’Unità d’Italia ci fu un conflitto di idee e politico che bisogna ricordare. Solo con un’operazione di verità e chiarezza si può far in modo che le giovani generazioni sentano l’unità nazionale come un bene di libertà e di progresso per l’Italia e l’Europa.

lunedì 14 febbraio 2011

Una guerra di carta, l'esempio di un prete francese

Nel corso della Prima Guerra Mondiale furono molte le forme di comunicazione scelte da chi combatteva al fronte, da chi stava nelle retrovie ed era coinvolto egualmente nel conflitto : fotografie, diari, lettere, bollettini o giornali spontanei, ecc.

Ecco un singolare esempio di pubblicazione spontanea e popolare di ambito cattolico concernente la Francia.
Durante la Grande Guerra, si registrò in Francia un nuovo fervore religioso e molte persone ripresero a frequentare le chiese.
Al fronte si celebravano messe al campo e i cappellani militari assistevano feriti e morenti.
Un prete trentenne, Joseph Demeilliers, di origine normanna e inabile (per motivi non noti) al servizio in trincea, fu mandato nel giugno 1915 a Bernières-sur-Mer, un piccolo centro della costa della Manica, dove lavorò come infermiere-barelliere all’Ospedale militare provvisorio n. 36, collocato nel grande castello del villaggio.

Bernières-sur-Mer in una fotografia notturna, agosto 2010
Chiesa di Saint-Saveur di Montivilliers

Prima della mobilitazione, Demeilliers dirigeva un’organizzazione parrocchiale, simile ai nostri oratori, il Patronage de Saint-Sauveur, legato alla chiesa di Saint-Saveur di Montivilliers, allora un borgo di notevole importanza nelle vicinanze di Le Havre.
Il Patronage de Saint-Sauveur esisteva dal 1906, raccoglieva ragazzi, giovani e adulti con le loro famiglie e organizzava manifestazioni di vario tipo.
Ma, allo scoppio della guerra, molti giovani furono chiamati alle armi e, con l’arruolamento delle varie classi, il numero dei “montivillons” che combattevano (e morivano) in trincea divenne sempre più grande.
Per mantenere il legame fra i giovani soldati, la Parrocchia, le loro famiglie e lui stesso, Demeilliers “inventò” un Bulletin (Bollettino) di 4 pagine, quindicinale, da lui stesso redatto, ciclostilato in più copie e spedito a chi lo richiedeva ( per i soldati era gratuito).

La prima pagina del Bulletin
Il Bulletin sarebbe stato, secondo quanto scrisse Demeilliers stesso nel primo numero (1 luglio 1915), “un mezzo per riunirci, di tanto in tanto, per chiacchierare insieme, per scambiarci le nostre impressioni, sostenerci reciprocamente, ravvivare in noi lo spirito del Patronage de Saint-Sauveur de Montivilliers, che è soprattutto lo spirito cristiano”.
La seconda pagina del primo numero del Bulletin
con l'elenco dei membri del Patronage mobilitati
Demeilliers riuscì così per circa tre anni e mezzo, sino al novembre 1917 (l’ultimo numero è del 20 novembre) , momento in cui fu trasferito all’ospedale militare temporaneo n. 109 a Le Havre, a tenere uniti, pur fra le difficoltà della dispersione nei vari settori del fronte, i giovani membri del Patronage e a dare notizie della loro sorte anche quando quattro di essi caddero prigionieri dei tedeschi o, peggio, altri furono uccisi in combattimento.
Dalla lastra di marmo posta sotto il portico della Chiesa abbaziale di Montivilliers risulta tra l’altro che i soldati della cittadina caduti in combattimento furono 267.
Portico della chiesa di Saint-Saveur,
i caduti di Montivilliers dal 1914 al 1918
Numero del 1 marzo 1916
Il Bulletin contiene gli argomenti più diversi: consigli per la pratica della fede cattolica anche …sotto il fuoco nemico, aneddoti edificanti, suggerimenti morali (contro l’abuso di alcool o contro il .. cinema!) ecc.
Le ultime pagine sono riservate alle notizie concernenti i soldati e si chiamano “La nostra posta” (“Notre courrier”): si tratta di brani di lettere, testimonianze dalla trincea e dalla prigionia ecc.
Numero del 29 marzo 1916
Alcune pagine recano disegni e schizzi satirici (caricature dei tedeschi, immagini della vita militare), forse eseguiti dallo stesso Demeilliers e dalla penna di altri.
L’esemplare della raccolta completa del Bulletin in mio possesso è rilegato, non reca il nome del proprietario ed è stato acquistato in un mercato delle pulci di Rouen nel 2006: era forse appartenuto allo stesso Demeilliers?
Le ricerche effettuate a Montivilliers da parte del Presidente dell’ Associazione culturale locale “Montivilliers hier, aujourd’hui et demain”, Monsieur Jean Bourienne, sull’eventuale esistenza di discendenti dei soldati citati nel Bulletin, non hanno dato alcun esito: nessuno ha risposto all’appello.

Il Bulletin con un disegno riguardante i bambini e la guerra
La chiesa di Saint-Saveur in un disegno sul Bulletin
Joseph Demeilliers sopravvisse alla guerra e fu nominato nel 1931 parroco del paese di Becqueville, sempre in Normandia. Anche lì egli, evidentemente appassionato di comunicazione, creò un bollettino parrocchiale e organizzò nel 1936 un Congresso Eucaristico. Il 1936 è l’ultima data nota legata alla sua persona: le tracce si perdono quell’anno e, al momento, non sappiamo né quando né dove Demeilliers sia morto.

Il testo completo, in francese, sul Bulletin du Patronage de Saint-Sauveur de Montivilliers è stato pubblicato sul n. 16 del Bulletin annuel de l’Association Montivilliers hier, aujourd’hui et demain” – 2009. L’Association ha sede presso la Mairie de Montiviliers – 76290 Montivilliers (F).

Alida Caligaris

venerdì 11 febbraio 2011

Il caso Beltrame Seconda parte


Che immagine offre Beltrame dell’Italia di quel tempo?
Beltrame racconta le notizie secondo una linea ben precisa, dettata dal direttore del Corriere della Sera e che trae sovente alimento dal libro più letto nell’Italia dell’epoca: “Cuore”, di Edmondo De Amicis.
Nell’immagine costruita da Beltrame c’è spesso l’intervento di qualcuno che compie una buona azione o di qualcun altro che si sacrifica per gli altri: un carabiniere, la moglie di un casellante, un salvataggio in mare in cui il protagonista è un marinaio coraggioso che perde la vita, ecc. In questo modo l’immagine riesce a oscurare, in parte, la realtà più cruda di un’Italia in cui sopravvivono profonde ignoranze ed è attraversata da violenti contrasti di classe.
Nonostante ciò, Achille Beltrame e La Domenica del Corriere hanno lasciato una documentazione eccezionale sulla storia d’Italia e che copre un cinquantennio. Lontana da qualunque forma di sperimentalismo pittorico e di avanguardia (come del resto i suoi colleghi d’oltralpe), l’immagine di Beltrame è l’ossequio del potere costituito. Quello degli industriali che il pittore frequenta grazie all’amicizia con l’imprenditore Magno Magni, dell’esercito che nelle immagini viene rappresentato come il garante dell’ordine e della sicurezza dei cittadini e quello della monarchia, perno dell’unità del paese nei momenti più duri, ad esempio in occasione di grandi catastrofi naturali.
Quando scoppia la Prima Guerra Mondiale, Achille Beltrame ha alle spalle l’esperienza di un disegno di guerra che ha documentato i principali avvenimenti bellici di ogni parte del mondo, senza peraltro essersi mai mosso da Milano. Per l’Italia lo scoppio della guerra è preceduto dal conflitto con la Turchia per il possesso della Libia. Beltrame è il cantore di una falsità che si compie in Libia, presentando ufficiali e soldati italiani sempre vincitori in una guerra di conquista che vuole essere anche di civiltà contro l’islam subdolo e crudele.

Le immagini di Beltrame sulla Libia accreditano l’idea che sul serio gli italiani stiano conquistando la quarta sponda: la realtà è molto lontana da ciò che vorrebbero far credere il disegnatore e La Domenica del Corriere.
Coloro che vengono presentati come banditi, sono guerriglieri di un esercito che terrà in scacco per anni le truppe italiane.

Nell’agosto del 1914, le tavole di Beltrame iniziano a raccontare la nuova guerra cercando di far comprendere come questo conflitto sia diverso, nuovo per tanti aspetti e crudele. Le sue immagini riflettono il momento di attesa che il paese sta vivendo e l’incertezza su con chi schierarsi. Anche i tedeschi hanno uno spazio importante nelle illustrazioni e gli eserciti dell’Intesa non sono sempre vincenti.

E’ possibile cogliere momenti di umana pietà verso tutte le vittime del grande massacro che si annuncia come un avvenimento inedito.

La didascalia che accompagna la rappresentazione del lancio dei gas asfissianti sul saliente di Ypres nel 1915, parla di guerra cattiva e la stessa immagine occulta, in parte, la responsabilità tedesca per aver impiegato un’arma vietata dalle convenzioni internazionali.

La guerra di trincea viene documentata in maniera abbastanza onesta, ma gradualmente l’attenzione e la simpatia si spostano sui combattenti francesi e inglesi. Luigi Albertini diventa uno dei maggiori propugnatori dell’intervento a fianco dell’Intesa e quando l’Italia entra in guerra le cose cambiano.


Beltrame presenta il soldato italiano con una serie infinita di istantanee da cui emerge l’impeto offensivo sulle montagne e l’incapacità del nemico austriaco di contenerlo. Se mettessimo in sequenza queste immagini non avremmo mai un momento di pausa, un attimo di sosta per riflettere: quello che conta è l’assoluta dinamicità della guerra e del movimento nelle figure. E’ stato rilevato da tutti gli studiosi che si sono occupati del personaggio, come l’opera di Beltrame sulla guerra sia un lungo film di propaganda per dimostrare che il conflitto è necessario e si concluderà sicuramente con la vittoria finale.

Beltrame non era un pittore, ma un giornalista. Fu un buon giornalista?
Non fu certamente un giornalista libero e indipendente, raccontò la guerra nella maniera in cui volevano che fosse raccontata i suoi editori, ma anche i lettori che andavano convinti su una vittoria immancabile che però non arrivava.
C’è una differenza tra l’operazione compiuta con La Domenica del Corriere e quella di altre riviste che utilizzavano illustratori per raccontare momenti della guerra?
Il pensiero corre subito alla rivista francese L’Illustration e alla grandi tavole di Scott, Jonas, Flameng. L’Illustration raccontava la guerra con fotografie e tavole pittoriche. Quando si apriva la rivista, la prima immagine era quasi sempre una fotografia e non in tutti i numeri comparivano illustrazioni. La Domenica del Corriere è assolutamente seriale: il lettore si trova davanti agli occhi innanzitutto una tavola di Beltrame, apre la rivista, la sfoglia, osserva le diverse fotografie che contiene, la chiude e trova una seconda tavola che pone termine al numero della settimana. Ciò che rimane negli occhi e nella mente non sono le fotografie, ma le due illustrazioni, a volte commentate con didascalie tratte direttamente dai comunicati dello Stato Maggiore dell’Esercito Italiano.
Nelle illustrazioni di Beltrame non c’è il paesaggio di guerra, ma l’uomo che fa la guerra immerso in un paesaggio che è la montagna alpina in cui avviene uno scontro titanico e paragonabile all’altezza delle montagne, anch’esse di dimensione titanica.
In questo senso i disegni di Beltrame volgarizzano il messaggio dei futuristi: la guerra, anche se fa male, è un fatto straordinario e dotato di un fascino avvincente. E infine un altro aspetto di non poca importanza in queste immagini: la violenza. Il combattimento e spesso lo scontro corpo a corpo, è presente quasi nel 90 per cento delle illustrazioni.
Questo tipo di messaggio visivo ha un funzione ben precisa e da non sottovalutare, esso costruisce l’immagine dell’italiano che è capace di combattere e di essere cattivo nella lotta. Queste immagini sono una sorta di riscatto morale per le prove assai scadenti di virtù militari che l’Italia post unitaria aveva dato di se.
L’immagine dell’uomo combattente, in particolare del soldato alpino, su un territorio difficile non solo serve a dimostrare che l’Italia la guerra la sta facendo sul serio, ma che qualcosa è cambiato. E sarà anche la costruzione di questo cambiamento che contribuirà alla formazione del clima di violenza del primo dopoguerra, da cui scaturiranno le squadre fasciste all’inizio degli anni Venti.



martedì 8 febbraio 2011

Il caso Beltrame Prima parte

Nei decenni che seguirono la Grande Guerra, gli italiani continuarono a ricordarla non con fotografie o con documentari di ricostruzione storica, ma con le illustrazioni di Achille Beltrame (Arzignano 1871-Milano 1945).
Beltrame lavorava per La Domenica del Corriere, settimanale illustrato del Corriere della Sera. Il quotidiano milanese divenne con la direzione e proprietà di Luigi Albertini, il maggior organo d’informazione in Italia.
Il Corriere fu, e in qualche misura è ancora, uno dei grandi strumenti di formazione del consenso (o del dissenso) attorno a scelte politiche fondamentali per la vita nazionale.
E Corriere della Sera fu molto importante quando si trattò di decidere se l’Italia dovesse o meno entrare nella guerra mondiale e dalla parte di quale schieramento.
Se nel luglio del 1914, una serie di cause contingenti e di scelte giocate sull’azzardo dell’ora, portarono gli europei a rivelare un contrasto che aveva origine nella storia dei decenni precedenti, gli italiani entrarono in guerra in modo assai diverso. Ci fu un processo politico che durò quasi un anno e che ebbe momenti di tale tensione da influire sulla futura storia nazionale.
Achille Beltrame come raccontò tutto questo?
Innanzitutto occorre precisare che l’opera di Achille Beltrame non si limita all’illustrazione della Grande Guerra degli italiani, ma abbraccia un periodo molto lungo che comprende epoche diverse e differenti fasi nella vita del giornale per il quale disegnava.

Che rapporto c’è tra le tavole a colori di Beltrame e la fotografia?
Quando Beltrame iniziò il suo lavoro e ancora per alcuni decenni che seguirono, non fu possibile per i fotografi realizzare istantanee e molto spesso avvenimenti politici, militari e fatti di costume vennero fotograficamente ricostruiti allestendo veri e propri set fotografici.
Al posto della macchina fotografica, Beltrame utilizzava il disegno, il colore, la grande tavola di copertina e retrocopertina.
Ogni immagine era una storia, come ogni fotografia eseguita da un vero professionista del fotoreportage dovrebbe essere.
Beltrame racconta l’Italia di tutti i giorni con una serie di storie racchiuse nella cornice del disegno illustrato che settimana dopo settimana, costruiscono un immaginario in cui si rispecchiano tutti coloro che vogliono avere notizie di prima mano. In questo senso, l’opera del disegnatore di La Domenica del Corriere è anticipatrice del giornalismo popolare che si svilupperà dopo la fine della seconda guerra mondiale e troverà larga applicazione nell’informazione radiotelevisiva.

Su La Domenica del Corriere, Beltrame non disegna paesaggi, non ci sono tramonti e albe romantiche, donne affascinanti. Se appaiono scene di vita elegante, agreste o momenti di tensione sociale, Beltrame li disegna per raccontare avvenimenti: dall’elemosina ai poveri ad un volo aereo su Milano.

Nelle tavole di Beltrame ci sono i fatti: la donna che salva i suoi figli durante un incendio, lo sbarco delle truppe italiane in Tripolitania, il volo di Chavez sulle Alpi, gli assalti degli alpini sulle vette del Trentino.