mercoledì 28 dicembre 2011

Auguri con la Legione Garibaldina delle Argonne

Auguri di buon 2012 a tutti voi che avete l’interesse e il piacere di seguire questo blog sulla fotografia e la prima guerra mondiale. Nel prossimo anno torneremo a pubblicare articoli riguardanti altri aspetti del rapporto tra l’immagine fotografica e l’evento che ha rappresentato un mutamento epocale nella storia dell’umanità.
Vi lasciamo con una fotografia dei fratelli Garibaldi, figli di Ricciotti e nipoti di Giuseppe: organizzarono i volontari italiani che nel 1914 si arruolarono nell’esercito francese e furono inviati nella foresta delle Argonne, dove pagarono un alto contributo di sangue.



Le Miroir N° 61 1914




Le immagini della Legione Garibaldina delle Argonne saranno oggetto di uno dei primi approfondimenti del 2012.

giovedì 15 dicembre 2011

1914-1918: l’immagine e la parola-quinta parte

1918

1-Il mutilato alle gambe e sua moglie. Cartolina.

Questa fotografia non si riferisce al 1918, ma l’abbiamo volutamente inserita per il testo che l’accompagna: dopo i saluti, “souvenir de la guerre 1914-1915”. Il mutilato alle braccia, l’uomo su una carrozzella, lo sfigurato, popoleranno la letteratura che verrà negli anni che seguirono il 1918. Il ricordo della guerra, palpabile, carnale, che ogni giorno si poteva vedere camminando per la strada o salendo su un tram era l’uomo senza una mano, privo di una gamba, cieco di guerra o con il volto difficile da osservare senza dover distogliere gli occhi. Questo l’abbiamo visto anche noi che siamo nati appena dopo la Seconda Guerra Mondiale. La fotografia, con lo sguardo diretto dei protagonisti verso l’obbiettivo, è impietosa. E’ un atto di accusa contro la guerra e allo stesso tempo è il ricordo di un dolore universale pagato da una generazione di europei.
“Parlava con un accento diverso da quello di prima. A Filippo fece anche l’impressione che la sua voce fosse diventata più roca e che il sorriso, forzato e profondo, quasi costruito su uno schema di rughe precoci, rivelasse un decadimento là dove era stata una grazia sicura che agli adulatori era sembrata degna di un semidio. Si sorvegliò per non guardare troppo il troncone e la stampella, e vi riuscì a gran stento. Il mutilato avanzava verso il letto, sempre parlando, preceduto di un passo da Mary, che era quasi nel settimo mese e le ondeggiava un poco il ventre. Quando fu quasi giunto, Filippo si sollevò sul letto per prepararsi a stringergli la mano. Ma il braccio gli ricadde. E, mentre fissava con un lungo sguardo di tra le ciglia l’amico, svenne per la prima volta, rovesciando il capo sui guanciali.”
[da Rubè, di Giovanni Antonio Borghese, 1921, pag. 119, Mondadori, 1980]
2-Soldato americano con uno sparviero nella foresta delle Argonne. Le Miroir. N° 258 del 3 novembre 1918.
Un soldato americano ha catturato uno sparviero nella foresta delle Argonne. Il rapace, per Le Miroir, rappresenta la metafora della Germania che presto o tardi sarà sconfitta. La speranza dei popoli che combattono contro gli Imperi Centrali sono gli americani: soldati strani, gente più ingenua, ma più selvaggia degli europei e che desta curiosità.
“Da qualche tempo, la divisione comprende due reggimenti francesi e un reggimento di neri americani. Li incontriamo nei turni di riposo, occupano un campo vicino al nostro. I poilus fraternizzano con questi nuovi fratelli d’armi. I bianchi e i neri bevono insieme il vino pesante delle cantine, si scambiano pezzi di equipaggiamento. Gli americani sono più generosi, essendo più ricchi. Tengono un settore alla nostra sinistra, ma ho rinunciato a visitarlo perché è pieno di pericoli. Tutte le armi sono cariche: le pistole nelle tasche e i fucili contro le pareti delle trincee. Se una cade parte il colpo. Se uccide, è un incidente inevitabile in guerra, cosa di cui hanno un’idea abbastanza vaga. Sono venuti in Francia come sarebbero andati in Alaska o in Canada, cercatori d’oro o cacciatori di pellicce.”
[da La paura di Gabriel Chevallier, 1930, pag.297, Ed. Librairie Stock, 1930]
3-Teste di bolscevichi. Le pays de france, N° 180 del 21 marzo 1918.
L'uscita della Russia dalla guerra e la pubblicazione dei trattati segreti fra le potenze belligeranti, sono gli atti che rompono l'equilibrio mondiale e che fanno diventare il potere bolscevico il "nuovo nemico". Ora tutti, nell'Intesa, hanno paura per l'offensiva tedesca che prima o poi verrà. I tratti somatici dei capi bolscevichi nella caricatura di Le Pays de France, ricalcano lo stereotipo del tipo asiatico sinistro, rozzo e traditore.
“…noi adottiamo una tattica di ritirata e, lo ripeto ancora una volta: non v’è dubbio che sia il proletariato cosciente sia i contadini coscienti sono con noi, e noi sapremo non solo eroicamente attaccare, ma anche eroicamente ritirarci, e attenderemo finché il proletariato socialista internazionale ci verrà in aiuto; cominceremo allora la seconda rivoluzione socialista ormai su scala mondiale.”
[da Rivoluzione in occidente e infantilismo di sinistra, Rapporto sulla guerra e sulla pace, di Lenin, 1918, pag. 123 , Editori Riuniti, 1969]
4-Giovane soldato francese osserva la tomba di un soldato inglese, caduto nel 1914. Le Miroir, N° 225 del 17 marzo 1918.
Nonostante i diversi tentativi, tutti votati al fallimento, per porre fine alla guerra attraverso una trattativa, gli stati maggiori e i governi pensano che il conflitto durerà almeno sino al 1919. Nuove reclute vengono mandate al fronte e i giovani soldati incontrano le tombe di coloro che li hanno preceduti. Sono i primi cimiteri di guerra, immensi giardini della morte di massa, e luoghi della memoria che ancora oggi vengono visitati da milioni di turisti.
“Il signor Bontemps non avrebbe voluto sentir parlare di pace prima che la Germania non fosse stata ridotta al medesimo smembramento che nel Medioevo, non fosse stata decretata la caduta della Casa di Hohenzollenr, e nella pelle di Guglielmo non fossero state conficcate una dozzina di pallottole.
[da Il tempo ritrovato, di Marcel Proust, pag. 40 , Mondadori, 1973]
5-La paura dei dirigibili e del bombardamento aereo. Cartolina.
Durante l’ultima offensiva tedesca, Parigi viene bombardata da aerei, dirigibili e cannoni a lunga gittata. L’incubo del bombardamento aereo popolerà i sonni e le notti delle popolazioni urbane nelle capitali dei paesi dell’Intesa. Qui il racconto di un bombardamento su Londra, in un romanzo della scrittrice inglese Virginia Woolf.
“Dopo esser stati in sala da pranzo laggiù faceva freddo. Ora i tedeschi dovevano essere sopra di loro. Eleanor provò un curioso senso di peso sulla testa. - Uno, due, tre, quattro, - contò alzando gli occhi verso le pietre verdastre. A una tratto ci fu un violento scoppio, come quando un lampo squarcia il cielo. La ragnatela oscillò.”
[da Gli anni, di Virginia Woolf, Ed. Garzanti 1982]
6-Cannone britannico a lunga gittata sul Fronte Occidentale. Le Pays de France N° 189 del 30 maggio 1918.
Il fallimento della guerra sottomarina proclamata dalla Germania, il contributo americano e la tenuta economica delle nazioni dell’Intesa consentono di accumulare riserve di armi e munizioni che modificano l’equilibrio delle forze. Cannoni, sempre più cannoni potenti e di grande capacità distruttiva.
“Se l’inglese, e dobbiamo aspettarcelo, domattina presto sferrerà un secondo attacco, potremo forse ancora difenderci, ma probabilmente saremo sbattuti dai flutti come un’isola. E allora potremo tenerci i nostri rifugi ancora per due o tre giorni, fino a che l’acqua abbia raffreddato le mitragliatrici, le munizioni saranno esaurite e la trincea sarà del tutto sfasciata dai lanciafiamme e dai cannoni disposti all’intorno.”
[da Boschetto 125, di Ernest Junger, 1925, pag. 149, Ed. Guanda, Parma 1999]
7-Soldati francesi fotografati accanto a un carro armato distrutto. Fotografia anonima.
Questa piccola fotografia che è giunta sino a noi in condizioni non buone, è il ricordo di un’arrestabile avanzata delle potenze dell’Intesa sul Fronte Occidentale. L’ultima offensiva tedesca, che per un momento è sembrata risolutrice, si sta esaurendo. I francesi si fanno fotografare davanti a uno strumento di guerra poco conosciuto e sin dall’inizio sottovalutato: il carro armato.
“In realtà, dopo lo scacco del 29, l’alto comando tedesco non abbandona completamente la sua “grande idea” di marciare su Calais. Ancora il 1° maggio, in un consiglio di guerra, Ludendorff sostiene il progetto di attirare le forze francesi verso il sud, attaccando lo Chamin des Dames. Dopo la vittoria si sarebbe ripresa la marcia su Hazebrouk e Calais. (Von Kuhl) Ma gli avvenimenti del 1918, l’anno del collasso, precipitano e costringono a cambiare i progetti.”
[da Kemmel 1918, del Luogotenente Adolphe Goutard, 1930, pag. 145, Ed. C. Lauvauzelle & Co., Paris 1930]
8-Ufficiali. Cartolina.
L’Italia reagisce alla disfatta di Caporetto, l’esercito è riorganizzato e la paura del nemico in casa galvanizza le energie di una nazione già duramente provata. L’offensiva austriaca del solstizio è respinta, è questo il momento in cui l’Italia risulta vittoriosa nel conflitto e la battaglia di Vittorio Veneto, voluta per motivi di strategia politico-militare, sancirà questo risultato. Gli ufficiali torneranno a casa e saranno persone che difficilmente sapranno abituarsi alla pace e alla normalità della vita. Le due lettere di uno dei maggiori esponenti dell’antifascismo italiano, Piero Calamandrei, dimostrano quanto l’idea del riscatto, dopo la disfatta di Caporetto, animasse l’impegno di uomini che si dimostrarono sensibili ai valori della democrazia.
“16 giugno 1918, ore 17
Temo che in questi giorni le mie lettere ti giungano in ritardo, ma spero che tu sia tanto saggia da comprendere che qui…non c’è motivo da farti perder la saggezza. Per tutto, del resto, le cose vanno bene: e se l’Austria le piglia questa volta, è finita.
25 giugno 1918, ore 16
Perché non mi hai scritto oggi? E Franco che fa? E la Mamma e il Babbo che dicono della nostra meravigliosa vittoria, la più grande vittoria da quando si è iniziata la guerra; e lo zio Cecco ha ora il morale un po’ più sollevato?”
[due lettere di Pietro Calamandrei, in Zona di guerra, lettere, scritti e discorsi (1915-1924), pag. 188, Laterza 2006]
9-Prigionieri tedeschi al lavoro nei campi. Le Pays de France N° 202 del 29 agosto 1918.
Nell’estate del 1918 i giornali pubblicano fotografie come questa, non è un fatto nuovo. Mostrare i prigionieri dopo una offensiva inutile vuol dire rassicurare l’opinione pubblica, ma questa volta i soldati tedeschi prigionieri hanno un altro significato. La Germania è prossima alla sconfitta definitiva.
“Non c’era giorno in cui non si vedevano i gendarmi trascinare dei disobbedienti che si sedevano per terra e ridevano loro sul naso. Non volevano più marciare. Ne avevano abbastanza e non era possibile fucilarli tutti. L’eccesso di miseria uccideva il patriottismo…Niente più tabacco, niente denaro, neanche la fede al dito, l’anello d’oro del matrimonio. L’avevano dato via per la Germania. Portavano una fede d’acciaio nichelata che stupiva la gente di qui.”
[da Invasion 14, di Maxence Van Der Meerch, 1935, pag. 391,Ed. Albin Michel, 1935]
10-Resa della flotta tedesca. Domenica del Corriere, numero non identificato.
L’11 novembre 1918, alle ore 11, uno strano silenzio si diffonde sul Fronte Occidentale. Sul fronte italo-austriaco la guerra è finita il 4. I tedeschi hanno perso, ma non si sentono sconfitti sul campo, la flotta dei sommergibili deciderà di autoaffondarsi per non consegnarsi alla marina inglese. E’ il segno che la partita non è chiusa.
“I tedeschi s’erano accampati su una collinetta di fronte, si vedevano le loro ombre passare davanti ai fuochi accesi sul declivio, un grappolo di stelle verdognole pendeva sulla collina, come lo scoppio di uno shrapnell ghiacciato, in aria. Disponemmo il servizio di sicurezza, le sentinelle, le pattuglie, e ci buttammo subito a dormire senza mangiare, tanto eravamo rotti dalla fatica e dal sonno. Non riuscivo a chiudere occhio, pensavo che era ormai la fine di quella lunga giornata che durava da quattro anni, e una grande tristezza mi stringeva il cuore. Addio, addio, dicevo tra me: ed era l’ultimo addio a tante cose dolorose e care, a tutti i compagni rimasti indietro distesi nel fango, a tante speranze, a tante sofferenze, a tutte le cose dolci e terribili di quella interminabile giornata.”
[da Fine di una lunga giornata, di Curzio Malaparte, pag. 247, Mondadori 2004]



mercoledì 7 dicembre 2011

1914-1918: l’immagine e la parola-quarta parte

1917


1-Pubblicità dello spumante Feist-Feldgrau con i sommergibili tedeschi in alto mare. Jugend, N°17
La pubblicità ormai utilizza la guerra come veicolo per propagandare i propri prodotti: i sommergibili tedeschi, in agguato nell’Oceano Atlantico, si accompagnano dallo champagne militare. Un segno di incoraggiamento per l'industria tedesca e una popolazione che vive in condizioni alimentari quasi di sopravvivenza. La guerra sottomarina indiscriminata contro il naviglio neutrale per costringere alla resa la Gran Bretagna si rivela non solo inutile, ma anche un grave errore politico.
“Leonora, quasi indifferente di fronte al miracolo e freddissima, almeno alla superficie, dichiarava:-va bene, non mi oppongo, per Capodanno si renda pure pubblica la notizia del fidanzamento.- Sperava con profonda tensione che Bertin potesse venire in licenza. Quando la madre le portò la notizia avuta negli uffici competenti che quella non era allora una ragione sufficiente per ottenere un permesso ai soldati che combattevano nei lontani Balcani, chiuse per un momento le labbra strette strette. E va bene, si sarebbe fidanzata senza la sua presenza.”
[da Giovane donna del 1914, di Arnold Zweig, 1931, pag. 247, Ed. Mondadori, Milano 1933]
2-Nicola II Romanov prigioniero a Tsarkoye Sélo. The great war-1917.
Il quarto anno di guerra si è aperto con una novità senza precedenti: lo Zar Nicola II ha abdicato e la rivoluzione ha proclamato la repubblica. In questa fotografia l’ex zar è già un prigioniero mentre gli eventi incalzano e per la Russia si apre una fase rivoluzionaria di cui nessuno può prevedere gli esiti. Così un autorevole giornalista francese descrive gli ultimi momenti dell’autocrazia dei Romanov.
“Un mattino l’imperatore parve uscire da una sorta di letargo nel quale era stato cacciato dalle parole addormentatici dei suo falsi amici. Espresse il desiderio di tornare a Tsarskoye-Sélo per incontrare Rodzianko, il nuovo astro nascente. L’imperatrice aveva in effetti cambiato il suo linguaggio nella corrispondenza che i due sposi si scambiavano. L’11 marzo telegrafava a suo marito: “La situazione peggiora”. Il 12 scrive: “Ieri, tumulti scandalosi. Gran parte delle truppe sono passate dall’altra parte”, e aggiunge in un secondo messaggio datato lo stesso giorno: “qualche concessione è inevitabile.”
[da Le dernier Romanoff, di Charles Rivet, corrispondente del giornale Temps in Russia, pag. 240 ,Perrin et Co., 1917]
3-Pubblicità delle compresse Jubol contro le malattie intestinali. Le Pays de France N° 139 del 14 giugno 1917.
Il nuovo attacco francese sullo Chamin des Dames si risolve in un ennesimo fallimento e l'offensiva Nivelle provoca il grande ammutinamento sul fronte e scoraggiamento dell'intero paese. Mentre gli operai francesi, e in particolare le donne, scendono in piazza per chiedere condizioni di lavoro meno pesanti, i soldati si ammutinano: chiedono un rancio migliore, licenze più lunghe e soprattutto la fine di inutili offensive. E' una guerra di cui non si comprendono più gli scopi. Nonostante questo, l'immagine del conflitto resta ancorata a quella di uno scontro di civiltà: il nemico è un microbo che va espulso dall'intestino, come il soldato tedesco dalle trincee.
“Quando la paura diventa cronica, fa dell’individuo una sorta di monomane. I soldati chiamano questo stato scoramento. In realtà si tratta di una nevrastenia conseguente al sovraccarico nervoso. Molti uomini, senza saperlo, sono dei malati e il loro stato febbrile li spinge verso il rifiuto dell’obbedienza, all’abbandono delle posizioni, ma anche ad azioni temerarie e funeste. Alcuni atti di coraggio non hanno che questa origine.”
[da La paura di Gabriel Chevallier, 1930, pag. 221, Ed. Librairie Stock, 1930]
4-Paesaggio di guerra nelle Fiandre. Le Miroir, N° 164

Un paesaggio desolato di cui ancor oggi si trovano le tracce. E’ questo lo spettacolo che ogni giorno si presenta agli occhi dei soldati degli eserciti contrapposti sul Fronte Occidentale. Ernest Junger ha descritto un attacco di artiglieria, subito insieme ai suoi compagni. E’ l’artiglieria che rende il paesaggio simile ad un deserto ondulato in cui emergono pochi tronchi d’albero anneriti dal fuoco.
“Alle sei del mattino, la pesante nebbia fiamminga si schiarisce svelando lo spettacolo sinistro che ci circonda. Subito dopo, scrutando il terreno sconvolto, lanciando segnali di sirena, appare uno sciame di aerei nemici. Nel frattempo i fanti smarriti cercano rifugio nei crateri. Mezz’ora più tardi comincia il martellamento che ruggisce attorno alla nostra isola di naufraghi come un mare sconvolto da un tifone. Le esplosioni, simili ad una foresta, prendono l’aspetto di una parete tempestosa. Stretti l’uno contro l’altro, accovacciati attendiamo ad ogni istante il colpo che ci distruggerà, ci spazzerà via insieme alle nostre difese di cemento, e ridurrà il nostro rifugio simile al deserto crivellato di crateri.”
[da Nelle tempeste d’acciaio, di Ernest Jünger, pagg.212-213, Ed. Guanda, Parma 1995]
5- Illustrazione dal titolo "Noi e il mondo". Jugend N° 18, del 25 aprile 1917.
Sulla stessa rivista che sfrutta in modo ottimistico i sommergibili, è pubblicata questa immagine assai significativa dello stato d'animo tedesco nel corso della guerra e che si accentua con il passare del tempo: isolamento e accerchiamento, queste sono le parole per descriverlo. La scesa in campo degli USA come associati alle nazioni dell'Intesa, anche se sottovalutata, è avvertita come un'ulteriore minaccia per un popolo che vive il suo rapporto con gli altri come un continuo assedio.
“Per quanto cercassi lontano nella memoria non avevo proprio fatto nulla, io, ai tedeschi. Ero stato sempre gentile e ben educato con loro. Li conoscevo un po’ i tedeschi, ero persino stato a scuola con loro, quando ero piccolo, nei dintorni di Hannover. Avevo parlato la loro lingua. Erano una massa di piccoli cretini chiacchieroni con gli occhi pallidi e furtivi come quelli dei lupi; s’andava insieme , dopo la scuola, a pacioccare le ragazzine nei boschi dei dintorni, dove si tirava anche alla balestra e alla pistola che s’era comparata per quattro marchi. Si beveva birra zuccherata. Ma da questo a tirarci ora nello stomaco, senza nemmeno venire a parlare prima, e nel bel mezzo della strada, c’era un certo margine, anzi un abisso, troppa differenza.[…]I miei sentimenti non s’erano punto cambiati nei loro riguardi. Ci avevo voglia, malgrado tutto, di tentare di comprendere la loro brutalità, ma più ancora avevo voglia di tagliar la corda, una voglia enorme, assoluta, realmente la cosa m’opprimeva all’improvviso come effetto d’un formidabile orrore.”
[da Viaggio al termine della notte di Louis-Ferdinand Céline, 1932, pagg.8-9, Dall'Oglio, 1966]
6-Servizio fotografico su nuova e ultima offensiva italiana sull'Isonzo. Le Pays de France, 7 giugno 1917.
Mentre falliscono le offensive e si moltiplicano i contatti non ufficiali per giungere ad una qualche soluzione del conflitto, una speranza per l'Intesa potrebbe giungere dal fronte italiano. Cadorna scatena la sua ultima offensiva che provoca un immenso bagno di sangue. I soldati italiani si erano convinti, questa volta, di vincere la guerra e poter tornare a casa. La Battaglia della Bainisizza si conclude con un nulla di fatto e tanti morti. A Caporetto i soldati prenderanno la via di casa: quasi una rivolta generale contro la guerra, pagata con fucilazioni e anni di prigione. Per il momento queste immagini seguono lo schema fisso per tutte le offensive: mostrare i prigionieri nemici.
“Il 20 agosto gli Italiani hanno ripreso l’offensiva sull’Isonzo, da Plava sino al mare. Per riuscire a superare il fiume, con un lavoro gigantesco, avevano deviato una parte delle acque. La battaglia è iniziata su tutto il fronte di 60 chilometri, tutte le armi lavoravano in collegamento. Più di 200 aeroplani operavano sopra le linee nemiche: a sud una squadra navale bombardava la costa dell’Adriatico. La prima linea austriaca è stata conquistata nelle prime ore: i nostri alleati avanzano sul Carso sino in prossimità di Hermada che comanda la strada di Trieste. Gli italiani hanno fatto più di 13.500 prigionieri e hanno preso circa 30 cannoni. Il Generale Cadorna ha dichiarato che la situazione promette grandi speranze.”
[da Le Pays de France, La semaine militare, du 16 au 23 aout, N° 150, giovedì 30 ag0sto 1917]
7-I soldati americani vanno all’assalto al grido di "Lusitania!" The great war-1917.

L'arrivo degli americani è salutato su giornali e riviste come la grande speranza. Qui si mettono in risalto le capacità combattive dei nuovi alleati che vogliono vendicare le vittime del transatlantico Lusitania affondato da un sommergibile tedesco nel 1915. I generali dell'Intesa però sono scettici sull'effettiva capacità di combattere dei nuovi amici e in molti non si fidano del Presidente Wilson che con i suoi 14 punti sostiene principi non graditi a francesi, inglesi e italiani. Lo scrittore John Dos Passos racconta i motivi che lo avevano portato ad arruolarsi come volontario ancor prima dell’entrata in guerra degli USA.
“A dire il vero i miei motivi erano complessi. Condividevo questa complessità di motivazioni con la maggior parte degli studenti della mia generazione. Eravamo pieni di indignazione virtuosa, ma nello stesso tempo eravamo pieni di curiosità verso il mondo in guerra. Avevamo passato la nostra adolescenza in mezzo agli ultimi bagliori pacifici del Diciannovesimo secolo. A cosa somigliava la guerra? Volevamo vederla con i nostri occhi. Ci arruolammo nel branco dei volontari, rispettavo gli obiettori di coscienza, a tratti mi veniva l'idea di seguire la loro strada, ma volevo assistere allo spettacolo.”
[da L’initiation d’un homme : 1917, di John Dos Passos, pag. 27,Gallimard, 2000]
8-Soldati canadesi durante la Terza battaglia di Ypres. Le Miroir-1917
Ancor oggi, ogni giorno, alle 20, sotto la Porta di Menin ad Ypres, viene suonato il silenzio di ordinanza e la folla si raccoglie per ricordare tutti i soldati caduti nelle tre battaglie combattute sul saliente di Ypres. Nella terza, e in particolare nei combattimenti sulla strada di Menin, la devastazione del terreno e violente piogge estive fanno sprofondare i soldati in un universo di fango.
“La battaglia sul fronte dell’Yser è proseguita con una serie di contrattacchi tedeschi finalizzati, senza dubbio, a disorientare i nostri alleati durante la preparazione della nuova offensiva[…]Il 27 sono state attaccate le posizioni di Zonnebeke. Nella mattinata del 30 altri tre attacchi: uno a sud di Reuteldeck, gli altri due da entrambi i lati della strada di Menin. Il 1° ottobre c’è stata un’offensiva ancora più violenta su un fronte di 1.600 metri, a nord della strada di Ypres a Comines e a est del Poligono. Gli assalti sono stati effettuati con tre ondate successive e per due volte, con forze considerevoli, durante le tre ore seguenti. Nella sera e durante la notte altri due attacchi hanno avuto luogo sullo stesso terreno e un sesto a sud della linea ferroviaria che collega Ypres a Roulers. A dispetto di questo accanimento, i tedeschi non hanno ottenuto nessun risultato rilevante.”
[da L’Illustration del 6 ottobre 1917, N° 3892, La Guerre 165° semaine (27 septembre-3 octobre 1917)]
9-Affondamento di un barcone austriaco sul Piave. La Domenica del Corriere, numero non identificato.
La disfatta di Caporetto viene arrestata sul Piave, Beltrame mostra i soldati italiani sempre all'offensiva e gli austriaci impotenti ad attraversare il fiume che diventerà "sacro". Nonostante immagini come queste, l'Italia sta correndo un pericolo mortale. Le implicazioni politico-culturali di Caporetto e della resistenza sul Piave, conteranno non poco dopo la fine delle ostilità.
“Napoleone avrebbe battuto gli Austriaci in pianura; non avrebbe dato battaglia sui monti. Li avrebbe lasciati avanzare e li avrebbe battuti verso Verona. Sul fronte francese nessuno dei due avversari aveva potuto battere l’altro. Forse le guerre non si vincono mai. Forse era un’altra guerra dei Cento Anni.”
[da Addio alle armi, di Ernest Hemingway, 1929, pag. 170,Mondadori, 1969]
10-Signora Margherita Del Nero al soldato Giuseppe Mizzoni, il 23 dicembre 1917. Cartolina.
Questa cartolina, nonostante la bandiera tricolore e i nastrini, ha poco di eroico. Una giovane donna prega affinché la guerra finisca e il suo uomo torni dal fronte. C’è la paura nel volto della donna. In tanti pensano, nel Natale del 1917, che la guerra possa durare almeno per tutto il 1919.
“…Se io, sopra questa misera carta potessi rappresentare lo spavento con la pena; accoppiati, che sento nel fondo dell’animo mio, sarebbero cose da non potersi descrivere…”
[da una lettera di Margherita del Nero, 10 ottobre 1917. La signora Margherita del Nero, nonna di Stefano Viaggio, morì l'11 ottobre 1918 nel corso dell'epidemia di febbre spagnola.]

domenica 27 novembre 2011

1914-1918: l’immagine e la parola- terza parte

1916

1-Evacuazione delle truppe britanniche da Gallipoli sotto un bombardamento dei turchi. Le Miroir, N° 118 del 27 febbraio 1916.

Chissà se è falsa o autentica questa fotografia pubblicata da una rivista che più delle altre utilizza il “sensazionale” per raccontare la guerra? L’effetto, comunque, è di grande impatto. Qui, non è facile distinguerlo, c’è un uomo che corre in mezzo al fumo delle esplosioni. A Gallipoli o altrove, l’uomo-soldato il più delle volte è solo ad affrontare la macchina enorme della guerra industriale che lo sovrasta e lo stupisce. L’italiano Ricciotto Canudo, amico di D’Annunzio e volontario nel 1914 con i garibaldini delle Argonne*, partecipa come ufficiale dell’esercito francese alla spedizione di Gallipoli e lascia a tutti noi una visione della guerra cruda, ma temperata dalla finezza di un intellettuale che ha partecipato alla stagione delle avanguardie artistiche di inizio secolo. A Gallipoli si muore e si vive sotto un sole implacabile.
“Un mattino, all’alba, turchi vennero a deporre davanti alle nostre trincee dei nostri feriti. Gravi, taciturni, sembravano vestiti di fatalismo…La luce del sole nascente dava loro qualcosa di immateriale, li ingrandiva in modo strano…Avevano radunato i loro feriti tra le due linee. Li abbiamo lasciati fare nella speranza che seppellissero i loro morti; questi atroci focolai di morte con un aspetto umano che sono i cadaveri tra le linee, si dissolvono con un fetore intollerabile al calore del sole…Il contatto tra le loro e le nostre mani sullo stesso corpo ferito, loro per offrire e noi per ricevere, è stato il nostro solo linguaggio. Siamo nemici, non dobbiamo parlarci.”
[da Combats d'Orient-Dardanelli e Salonicco (1915-1916), di Ricciotto Canudo, Hachette & Co. 1917]
*Prevediamo in futuro di dedicare uno o più post all’immagine fotografica dei volontari garibaldini che nel 1914 combatterono nella foresta delle Argonne.
2- Ragazza con in capo il nuovo casco Adrian. Cartolina spedita il 16 gennaio 1916.
Questa cartolina, spedita a poco più di un mese dell'attacco tedesco a Verdun, evoca l'immagine della Marianna. Questa volta al posto del cappello frigio c'è il nuovo casco Adrian. Prima di adeguare le divise e la protezione dei soldati in trincea, gli alti comandi francesi hanno perso molto tempo. Il kepì e i pantaloni rossi hanno provocato un numero sterminato di vittime, sacrificate all'assurdo attaccamento a una tradizione che mitragliatrici, artiglierie e fucili a lunga gittata hanno fatto a pezzi già dall’agosto del 1914. Jules Romains ha raccontato la Grande Guerra dei francesi in un’opera dalle dimensioni enormi: qui il primo giorno dell’attacco tedesco, quando, dopo un bombardamento mai visto nella storia della guerra, pochi e dispersi soldati francesi difendono le loro posizioni e contribuiscono al fallimento dell’offensiva contro Verdun.
“Ognuno dei sopravvissuti era convinto di essere solo, o almeno di essere rimasto insieme a due o tre compagni soltanto. Tutti soli in prima linea, nel veder venire avanti un po’ lentamente i visitatori, come grigie cavallette. Che poteva fare da solo? Cosa potevano fare in due o in tre nelle macerie delle loro trincee? Tuttavia si misero a sparare scostando il corpo del compagno morto che impediva di appoggiarsi al parapetto, come tre ore prima ne avevano spostato un altro...E quando rimaneva una mitragliatrice che il bombardamento non aveva distrutto, qualcuno dei sopravvissuti puntava la mitragliatrice e un altro passava le cartucciere. Ed erano tutti sorpresi di intendere che lungo la prima linea, altri fucili sparavano, e che altre mitragliatrici facevano tac-tac-tac-tac…”Guarda! Non sono mica tutti morti”si dicevano e aggiungevano” Ma cosa fanno nelle retrovie? Cosa attendono per venirci ad aiutare? Cosa aspettano per chiedere l’artiglieria?”
[da Gli uomini di buona volontà, XVI° volume: Verdun, di Jules Romains, pag. 58, Ed. Flammarion,1938]
3-Morte di un tenente colonnello in trentino, nel corso della Spedizione Punitiva. Domenica del Corriere, 16-23 luglio 1916.
L'ufficiale prima di morire raccomanda di tenere la postazione;la rappresentazione che Beltrame offre di questo episodio, avvenuto nel corso dell’offensiva austriaca in Trentino, è cinica. In mezzo a combattimenti che giornalisti come Luigi Barzini, definiscono “titanici scontri tra macchine mortali”, mostrare soldati obbligati a rendere omaggio ai caduti sotto un fuoco intenso di granate nemiche, significa abituare i lettori ad una guerra in cui si è costretti ad ubbidire ad ordini incomprensibili.
Assisto la notte violentata
L’aria è crivellata/come una latrina/dalle schioppettate/degli uomini/ritratti/nelle trincee/come lumache nel loro guscio
Mi pare/che un affannato/nugolo di scalpellini/batta il lastricato/di pietra di lava/delle mie strade/e io l’ascolti/non vedendo/in dormiveglia
[di Giuseppe Ungaretti, Immagini di guerra, agosto 1916, da Il porto sepolto, pag. 218 in Le notti chiare erano tutte un'alba, antologia dei poeti italiani nella Prima Guerra Mondiale, a cura di A. Cortellessa, Ed. Bruno Mondadori, 1998]
4-Lo Zar, Nicola II, si congratula per il successo dell'offensiva in Galizia del generale Brussilov. Sur le Vif N° 88, 15-7-1916.
Questa è una delle ultime fotografie in cui compare Nicola II in veste di zar di tutte le Russie. Per ora è un momento di soddisfazione: il suo esercito ha battuto gli austroungarici grazie all’abilità del generale Brussilov. Ma è anche l’ultima scintilla. Nicola II fra pochi mesi sarà travolto dalla rivolta del suo esercito che non vuole più combattere in condizioni disastrose. Nonostante le cattive e preoccupanti notizie che giungono dalla Russia, l'immagine dello zar diffusa in occidente è rassicurante e non si discosta mai dall'ufficialità. Brussilov negli anni della rivoluzione si metterà al servizio del Governo Sovietico.
“Da qualche giorno i giornali austriaci segnalavano un'intensa attività dell'artiglieria russa nel settore sud di questa parte del teatro di guerra, in particolare nella regione del medio Styr. La censura non permetteva di scrivere che i russi erano così minacciosi, tanto da far disporre l'evacuazione della città di Luotsk. Tuttavia niente faceva prevedere che i nostri alleati intendessero lanciare realmente un'offensiva, ma nella notte del 5 un dispaccio annunciava che la lotta era iniziata dal Pripet al Dniester e che l'armata del generale Brussilov aveva catturato 13.000 prigionieri, insieme a cannoni e mitragliatrici. I giorni seguenti il successo russo appariva più netto: più di 40.000 soldati 900 ufficiali, 77 cannoni, più di 120 mitragliatrici sono cadute nelle mani dei nostri alleati. Il successo non è più limitato ad un solo settore. La battaglia si è estesa su un largo fronte compreso tra il Pripet e la frontiera rumena, e cioè ai confini della Bukovina, su circa 400 chilometri.”
[da L'Illustration del 10 giugno 1916, N° 3823, pag. 543, rubrica settimanale La Guerre (96° settimana, 2-9 giugno): L'offensive russe.]
5-L’artiglieria britannica nel corso della fase preparatoria della Battaglia della Somme.“Illustrierte Geschichte des Weltkrieges 1914-1916”.
Forse tratta da una fotografia o da uno spezzone cinematografico, l’immagine degli artiglieri britannici sulla Somme è entrata a far parte del ricordo della Grande Guerra. Il bombardamento preparatorio durò sei giorni, poi scattò l’attacco della fanteria, ma le difese tedesche non erano state distrutte, anzi tra i crateri e la terra sconvolta si appostarono le mitragliatrici. Per i giovani volontari britannici fu un massacro: la giornata del 1° giugno è ricordata come uno dei più gravi disastri in tutta la storia militare dell’Impero Britannico. Un aristocratico tedesco, Arnold Vieth von Golssenau (Dresda 1889 - Berlino 1979), che cambiò il suo nome in Ludwig Renn, ha raccontato la sua esperienza tra il 1914 e il 1918 in modo memorabile in un libro autobiografico dal titolo “Guerra”. Lduwig Renn, iscritto al Partito Comunista Tedesco, fu organizzatore e comandante delle Brigate Internazionali in Spagna contro il fascismo.
“Immaginate, diceva il colonnello, cento pezzi d’artiglieria su un fronte di un chilometro! Immaginate l’effetto che tutto questo può produrre su di noi! I nostri uomini non potranno mai resistere a questo fuoco battente!”
[da Guerra di Ludwig Renn, pag. 158, Ed. Flammarion, 1928 ]
6-La battaglia dello Jutland. Le Miroir N° 135, del 25 giugno 1916.
Il settimanale Le Miroir pubblica una rappresentazione fotografica, ma con un ritocco molto forte, dello scontro navale nel Mare del Nord. Al posto di immagini eseguite prima o dopo la battaglia, oppure illustrazioni ispirate all'oleografia tradizionale, queste due fotografie cercano di fornire in modo veritiero l'immagine di una battaglia navale in cui gli avversari non si sono mai visti.
“…D’un tratto, e per quello che mi riguarda, con molta sorpresa - sapevamo che il combattimento tra gli incrociatori si spostava verso il Nord- sentimmo un violento cannoneggiamento molto ravvicinato e scorgemmo i nostri incrociatori da battaglia uscire dalle nebbia molto velocemente e sparando a tiro rapido. Grandi colonne d’acqua sollevate dai proiettili nemici si innalzavano attorno ad essi. Per me fu questa l’impressione più viva che provai nel corso della battaglia, senza dubbio per il fatto che si trattava del primo spettacolo di un combattimento navale a cui assistevo. Erano circa le 6 del mattino. Sulle torpediniere non avevamo alcun ruolo attivo nel combattimento della flotta da battaglia. Non c’erano nemici alla portata dei nostri cannoncini. Eravamo semplici spettatori con tutto il tempo necessario per immaginare l’avventura della battaglia. La mia prima impressione fu che i nostri incrociatori fossero completamente crivellati: i proiettili cadevano numerosi attorno ad essi e non si vedeva alcuna traccia del nemico. Non potevo rendermi conto che i tedeschi incassavano colpi come e più di noi. Presto questi pensieri mi abbandonarono, volsi la testa e vidi la nostra flotta nella sua formazione di navigazione: uno spettacolo magnifico che dava una fiducia assoluta.”
[Dalle note scritte subito dopo gli avvenimenti da un ufficiale della torpediniera Manead della 12° flottiglia, in La Battaille du Jutland racontée par les combattants, 1927, pagg.175-176 Ed. Payot, Parigi 1927]
7-Un combattente francese a Verdun. La Guerre documentée, 1916.
Lucien Jonas fu uno dei maggiori illustratori francesi della Grande Guerra e questa immagine vuole celebrare il coraggio del poilus che va all’assalto all’arma bianca in un paesaggio di rovine. Nella lettera che pubblichiamo, lo spettacolo offerto dai combattimenti a Verdun è definito “fantastico” ed eccita l’immaginario della violenza. L’ombra della violenza scatenata in luoghi come Verdun, si proietterà su gran parte del Ventesimo secolo.
“Già da due giorni mi trovo in un settore del fronte di V…La vista del terreno mostra quanto furono violenti i combattimenti. Non un pollice di terreno che non sia sconvolto. La côte è un colabrodo. Non c'è riposo. Lavoriamo giorno e notte alla realizzazione di parecchie linee di difesa. Di notte aumenta il lavoro: le tenebre favoriscono i soldati…Giorno e notte la nostra artiglieria non smette di battere sulle trincee nemiche. Abbiamo delle perdite, ma sono minime a confronto di quelle dei boches. La notte intorno a V…non ci sono che un cerchio di fuoco e un frastuono terribile. Non si può immaginare. E' fantastico.”
[da una lettera del seminarista-soldato Maurice Leleu, dell'82° reggimento Fanteria, indirizzata all'abate Joseph Demeillers e pubblicata con il titolo "Prima della presa di Douaumont" sul giornale Le Patronage de Saint-Saveur aux armes, redatto dall'abate Demeillers con il contributo dei membri della Confraternita dell'Abazia di Saint-Saveur di Montvillers, presso Le Havre]
8-Illustrazione di Achille Beltrame sul primo impiego dei carri armati nelle fasi conclusive dell’offensiva britannica sulla Somme. La Domenica del Corriere, 8-15 ottobre 1916.
I carri armati, arma che dovrebbe sbloccare la situazione di stallo sul Fronte Occidentale, vengono impiegati dagli inglesi nel settembre del 1916 sulla Somme. L'illustrazione di Beltrame coglie la sproporzione tra gli uomini e le macchine che ormai stanno dominando questa guerra.
“Nel settembre 1916, gli inglesi impiegarono sui campi di battaglia i primi tanks usciti dalle loro fabbriche: grave imprudenza, perché i tedeschi, abili e pronti a copiare, avrebbero potuto impadronirsi dell’idea e, grazie alle superiori risorse della loro meccanica, utilizzarla in grande stile. Fortunatamente non compresero il vantaggio che avrebbero potuto trarre da queste nuove armi e ne costruirono un numero molto limitato e di qualità mediocre; negli ultimi mesi di guerra si accorsero dell’errore e cercarono di recuperare il tempo perduto, ma era troppo tardi. Alla fine della guerra, avevamo a disposizione 3.400 carri pesanti e leggeri, raggruppati in 8 reggimenti (artiglieria d’assalto). Il loro ruolo negli ultimi sei mesi di guerra fu così importante che il popolo li onorò con il nome di “carri della vittoria”.
[da Histoire de la Grande Guerre racontée a la jeunesse de France, di L. Mirman, 1925, pag.228 Albin Michel, 1925]
9-Infermiere accolgono i soldati feriti sulla Somme per caricarli su un treno ospedale. The great war- 1916.
Nel corso della Grande Guerra, l’immagine fotografica e di derivazione pittorica, e forse più ancora quella della cartolina postale, è caratterizzata da una diffusa presenza femminile. Le donne sono ritratte mentre attendono, pregano, educano i figli. Le donne in queste immagini, sono anche il riposo del guerriero e curano le ferite del corpo e dell’anima. Le infermiere, giovani spesso provenienti da famiglie agiate e che devono abituarsi al dolore e alla disperazione, iniziano a popolare le riviste che illustrano la guerra. L’infermiera assume il ruolo di un personaggio che illumina lo scenario oscuro di sofferenza. Questa illustrazione britannica ne è un esempio, come anche la pagina dello scrittore tedesco Arnold Zweig che in un romanzo ambientato sul fronte orientale, racconta l’abitudine alla morte di due ragazze tedesche di buona famiglia.
“I cattivi odori dei tifosi bosniaci la circondavano tutta e pareva che lei non se ne accorgesse nemmeno. Con la pazienza e l’esperienza che le venivano da due anni di servizio metteva a ogni malato il termometro, togliendolo quando era il momento e scrivendo poi i gradi sulla tabella a capo di ogni letto; faceva scendere il mercurio con un colpo e poi andava avanti. Il mercurio in quel tempo diventava sempre più prezioso e cominciava ad essere sostituito dall’alcool. Barbe appena ebbe salito le scale, nascosta in angolo dell’anima la gioia intima della sua femminilità, si lavò e si cambiò, pronta per sostituire l’amica. Si salutarono con un ciao. Non si diedero la mano perché erano già disinfettate. Ormai l’assistenza agli ammalati era fatta con indifferenza e senza dar peso alla vita umana, ma appunto per questo le due amiche ceravano di mettere ogni impegno nel lavoro. Anche nel loro vocabolario però due partenze significava due decessi. La morte era divenuta un flagello di tutti i giorni e la volgarità delle espressioni in proposito dilagava sempre più. Ma fino a che i loro pazienti erano in vita , le due ragazze non si risparmiavano e prodigavano loro, insieme alle cure, anche sorrisi affettuosi.”
[da La questione del tenente Griscia di Arnold Zweig, pag. 159, Mondadori 1961]
10- Fotografia eseguita dopo la riconquista del Forte di Douaumont. Le Miroir, N° 157 del 26 novembre 1916,
L'anno si conclude in questo modo: un'immagine come questa non ha bisogno di molte parole. Forse il mondo è veramente impazzito nel 1916. La fotografia è chiaramente un falso, qualcuno ha sollevato il cadavere del soldato tedesco e l'ha messo in posa per spedire e pubblicare una fotografia d'effetto e consolatoria: la speranza è che la riconquista di Douaumont avvicini la fine della guerra e la sconfitta della Germania.
"….O France, sol béni, nation adorable,/ Où le soleil du ciel est moins chaud que le cœur,/ De grâce continue en ta voie admirable,/ Arrète, brise, écrase avec tact et vigueur,/ L'allemand effronté, l'ennemi formidable,/ Etonne encor le monde avec ton bras vainqueur!..."
[da Chants d'Amour et de Haine di Joseph Perron, humble hommage d'un italien aux frères français, 1916: A l'occasion des hauts faits de Verdun. Raccolta di versi scritta in omaggio alla memoria del nipote di Joseph Perron, Joseph Cèlestin Gorret, sottotenente degli Alpini, caduto nella conquista di una trincea nemica nei pressi del Col di Lana, il 16 dicembre 1915. O Francia, terra benedetta, nazione adorabile/ dove il sole del cielo è meno caldo che il cuore/ di grazia continua nel tuo cammino ammirevole/ arresta, colpisci, distruggi con vigore e tatto il nemico formidabile/ stupisci ancora il mondo con il tuo braccio vincitore! Si è volutamente lasciato il testo in francese perché l'autore era un valdostano, italiano che parlava e scriveva in lingua francese.]



sabato 19 novembre 2011

1914-1918: l’immagine e la parola- seconda parte


1915

1-Cratere scavato da una mina e soldati in prima linea. Cartolina.


Questa cartolina è datata 17 ottobre 1915 e il testo è di difficile lettura, a causa del tempo e della grafia non chiara. Louis scrive alla moglie, Blanche, e dice che sta bene. Nonostante le rassicurazioni, l’immagine è desolante: in quello che sembra uno scenario di distruzione c’è un naufrago. Chi si aspettava una guerra breve si è sbagliato e il conflitto alla fine del 1915 è in una fase di stallo: nessuno può prevedere quale sarà il futuro.
“Anche ora, a tredici anni di distanza non posso che ripetere le stesse parole. Il sentimento di superiorità che non ci ha mai abbandonato per un solo giorno, nei confronti del pensiero politico ufficiale (compreso il socialismo patriottico), non era il frutto di una ingiustificata presunzione. In tale sentimento non c’era niente di personale. Era la conseguenza della posizione di principio che avevamo adottato: eravamo sopra un’altra vetta. L’impostazione critica ci dava la possibilità di cogliere con maggiore chiarezza le prospettive della guerra. Le parti belligeranti, come è noto, contavano su una vittoria rapida. Si potrebbero citare innumerevoli prove di questo ottimismo sconsiderato. “Il mio collega francese” scrive Buchanan nelle sue memorie “per un certo periodo fu così ottimista da scommettere con me cinque sterline che la guerra sarebbe finita prima di Natale.” Per parte sua Buchanan era intimamente convinto che la guerra si sarebbe conclusa al più tardi per Pasqua.”
[da La mia vita di Leone Trotskij, pag. 247, 1929, Mondadori 1976]
2-Vignetta satirica. “La Baionette”, numero speciale dedicato ai mutilati
Il settimanale satirico francese “La Baionette” fa il suo mestiere e scherza sulle cose serie. Il soldato decorato e mutilato dice alla sua madrina di guerra: “Ciò che mi consola, bella madrina, è che ora la mia caviglia è più sottile della sua.” Il messaggio rivolto al fronte interno, alle signore di Parigi e a tutti quelli che si stanno abituando alla guerra é: “sostenete i mutilati e i soldati che hanno ancora voglia di scherzare sulle loro disgrazie.” La realtà della trincea è cosa ben diversa e le inutili offensive del 1915 sul Fronte Occidentale, producono solo vittime. Ormai la guerra conta milioni di morti.
“Sembra che gli zappatori vengano questa notte, per preparare le scale d’attacco. Si devono piazzare dei cannoncini da 37 e dei lancia-bombe. La prima compagnia manderà fuori una grossa pattuglia. Tutto comincia a scuotermi; tuttavia, mentre divido il mio formaggio con Gilberto, cerco di convincerlo che non attaccheremo. Sulphart brontola, con la bocca piena. Non pensa più all’attacco, ma solamente alle ingiustizie che lo circondano. Mentre pulisce il suo piatto con un pugno d’erba, denunzia l’infamia del Gran Quartier Generale che favorisce indegnamente “i pelandroni del terzo battaglione che sono sempre imboscati” e che non da ai combattenti neanche la grappa, alla quale hanno diritto. Egli grida le sue proteste fin sotto il naso di Bréval, solo graduato presente, che non ha responsabilità in tutto questo ammasso di ingiustizie; finalmente il sergente Berthier si alza e lo fa tacere.”
[da Le croci di legno di Roland Dorgelès, pagg. 81-82, 1919, La Nuova Italia, 1930]
3-Grande cartina panoramica dei Dardanelli. Le Panorama de la guerre, 1915.

Una grande cartina a colori evoca il sogno di alcuni generali e di qualche politico, Wiston Churchill, che non vedono vie d'uscita ad una situazione immobilizzante nel 1915. La spedizione di Gallipoli si rivelerà un fallimento, per lo scarso appoggio politico e la presunzione nei confronti dell’esercito turco. A posteriori, fu giudicata dagli storici un'idea non sbagliata per sbloccare la guerra. Muovere un attacco agli Imperi Centrali dal sud, liberare la Russia dal blocco tedesco nel Mar Nero, sostenere la Serbia e piegare l’Impero Austroungarico minacciandolo alle sue frontiere, poteva essere una strategia vincente per accorciare la durata della guerra.
“Ai primi di settembre”, ricordò Vera Brittain, “ricevemmo la notizia della prima perdita nella nostra famiglia. Un cugino irlandese era morto in seguito alle ferite riportare dopo lo sbarco nella baia di Suvla. In realtà la sua ferita dietro l’orecchio non era grave, ma era rimasto senza cure per una settimana a Mudros, e quando venne operato da un chirurgo esausto sull’affollata nave Aquitania, l’infezione aveva già raggiunto il cervello. Conoscevo appena quel mio cugino, ma fui sconvolta dal constatare che vite umane andavano perdute per l’inadeguatezza del servizio sanitario nel Mediterraneo.”
[da La grande storia della Prima Guerra Mondiale di Martin Gilbert,pag.239,Mondadori 1999.La citazione di Gilbert, è tratta da Testament of Youth, an autobiographical study of the years, 1900-1925 di Vera Brittain]
4-I tedeschi respingono un assalto frontale dei francesi a Le Mesnil in Champagne, marzo 1915. “Illustrierte Geschichte des Weltkrieges 1914-1915”

Questa illustrazione sembra riprodurre in modo abbastanza realistico ciò che alcuni film sulla Grande ci hanno abituato a vedere: un assalto frontale con ingenti perdite per gli attaccanti. I film e i romanzi degli anni 20 e 30, mostrando e descrivendo la sofferenza dei soldati hanno un’ intonazione pacifista. Ma durante il conflitto furono in molti ad avere un atteggiamento diverso, e in particolar modo gli intellettuali. Il brano che riproduciamo è di Robert Hertz, giovane promessa dell’etnologia francese. Questo intellettuale di origine israelita, sembra dare alla guerra un valore mistico e di purificazione.
6 aprile 1915…Se non ritorneremo, voi avrete, senza di noi, il compito di condurre la giusta lotta, forse più rude di quella che ci è toccata, perché tutto qui è semplice e chiaro: noi sappiamo dove e chi è il nemico. In tempo di pace, bisogna sceglierlo, smascherarlo, indicarlo alla folla di coloro che credono che si possa vivere ed essere in pace. Non è così, mia amata? Mai pagheremo troppo cara la salvezza del paese dove il nostro figliolo crescerà, lavorerà, lotterà. Non daremo mai abbastanza per la liberazione esterna e interna della Francia(…)Depongo sulla tua fronte, moglie teneramente amata, un bacio grave e devoto - per sempre. Robert.
[Da una lettera di Robert Hertz a sua moglie Alice in “Un ethnologue dans les tranchées”, pag. 252, CNRS 2002. Robert Hertz, allievo e collaboratore di Emile Durkeim, muore il 13 aprile 1915 nel corso di un offensiva nella Woevre.]
5-Occupazione della piazzaforte di Prezemysl da parte dei russi. Sur le vif N° 26 del 8 maggio 1915.
Mentre le cose vanno male su tutti i fronti per gli eserciti dell'Intesa, giunge un risultato dai russi. Le immagini di questa sperduta città, faranno il giro d'Europa sulla stampa internazionale. E' un episodio che non avrà alcun peso sull'andamento della guerra. Ma su tutti i fronti, è attorno ad episodi come questo che si continuano a costruire le speranze di rapide e conclusive vittorie.
“La resistenza di Przemysl è stata eroica, soprattutto se si pensa che le truppe della guarnigione erano composte da elementi eterogenei, simpatizzanti piuttosto per gli assedianti che per gli Asburgo. Il compito dell'armata russa accampata attorno a Przemysl, durante un inverno rigido, è stato dei più difficili. Il terreno non permetteva il trasporto di artiglieria pesante e gli assedianti dovevano far fronte a costanti attacchi degli austro-tedeschi che, da est e da ovest, provavano a soccorrere la piazzaforte.”
[da Le panorama de la guerre 1914-1915, Vol. II, pag.166]
6-Verifica dopo un’esercitazione sui gas asfissianti. The great war- 1915

“Il ritorno da una camera a gas. Il medico militare esamina un uomo al suo ritorno dalla camera a gas. Il sacchetto di gomma sul davanti della maschera del soldato conteneva ossigeno, chi la indossava poteva aprire la valvola con un colpetto.” Così la rivista inglese descrive la fotografia che mostra un volto nuovo della guerra. L’esercito francese. dopo il lancio dei gas asfissianti da parte dei tedeschi nel corso della seconda battaglia di Ypres, organizza prove ed esperimenti per verificare l’efficacia delle maschere. La guerra dei gas s’intensificherà con il procedere della guerra e questi esperimenti non salveranno la vita a migliaia di soldati colpiti da questa nuova arma, vietata dalle convenzioni internazionali. L’incubo e la paura dei gas asfissianti si protrarrà ben oltre la fine della Prima Guerra Mondiale.
“La voce risuonò così cavernosa, che allarmata Gise si volse. Nel cortile, l’aveva sì colpita l’aspetto di Antoine, ma su quella prima impressione non aveva avuto agio di soffermarsi. Come poteva del resto non trovarlo cambiato? Lo rivedeva dopo cinque anni e in divisa. Ora, però, questa tosse…Che fosse più seriamente colpito di quanto lei lo credeva? Su quell’intossicazione, Antoine, non aveva mai dato particolari; lo si sapeva in cura nel mezzogiorno; “in via di guarigione” dicevano le lettere…
-L’iprite?- fece eco Chasle, con l’aria compiaciuta del competente in materia.
-Perfettamente: il gas d’Ypres. Che chiamano anche mostarda- e seguitando a fissare Antoine come un fenomeno raro: -L’ha ridotta ben male, quel gas…In compenso s’è buscata una croce di guerra…E con due palme, se mal non m’appongo…E’ lusinghiero!”
[Da I Thibault di Roger Martin du Gard,pag.1258,1936,Omnibus Mondadori 1951]
7-Affondamento del Lusitania, illustrazione di Achille Beltrame. La Domenica del Corriere N° 20, maggio 1915

Achille Beltrame non si discosta dall'immagine classica del bastimento che affonda con i naufraghi che disperatamente cercano di mettersi in salvo. Dal punto di vista iconografico, la vicenda del Lusitania sembra un replay del Titanic, ma la situazione è diversa. Siamo alla vigilia dell'intervento italiano; la copertina della Domenica, settimanale popolare dell'interventista Il Corriere della Sera, è un buon messaggio per un paese diviso che sta per entrare in una guerra, veicolo di cambiamenti epocali.
“…I sopravvissuti furono unanimi nel rendere omaggio al sangue freddo di cui diedero prova i passeggeri e i marinai che salendo sulle scialuppe, lasciarono donne e bambini passare per primi. Tuttavia, il transatlantico, inabissandosi, causò un risucchio enorme che inghiottì cinque imbarcazioni. Affondò nel momento in cui centinaia di passeggeri saltavano in mare; la maggior parte furono trascinati dal risucchio, molte delle vittime si aggrapparono a pezzi di legno frantumanti dall' l'esplosione. Qualcuno, scampando in modo quasi miracoloso, poté essere raccolto solo dopo molte ore trascorse in mezzo ai flutti…”
[da una didascalia a commento di un’altra illustrazione comparsa su Le Panorama de la Guerre, vol. II, 1914-1915, pag. 309]
8- Attraversamento del confine austriaco da parte dell'esercito italiano. La Domenica del Corriere N° 23, giugno 1915

E finalmente si attraversa il confine ingiusto per sconfiggere una volta per tutte il secolare nemico: i soldati italiani muovono all'assalto con spirito offensivo. Da questa immagine in poi le illustrazioni di Achille Beltrame perdono quell'umanità che avevano espresso quando la guerra la combattevano gli altri.
“Si avanzava cantando, senza aver quasi la coscienza esatta della guerra che si andava ad affrontare, ed anche quando si dovettero superare i primi ostacoli ed attaccare le prime linee di difesa avversarie ci si buttò avanti così, un po’ alla garibaldina; le batterie giungevano al galoppo fin sotto le posizioni e si piazzavano allo scoperto; i battaglioni andavano all’assalto con gli ufficiali in testa, a sciabola sguainata; tutte le baionette scintillavano al sole ed i trombettieri suonavano la carica, in piedi, sugli spalti. Poi…le linee di trincee abilmente scavate lungo il ciglio di ben munite alture ed il ferrugineo reticolato richiamarono a ben diversa realtà. Lungo tutta la fronte ogni giorno si scoprivano opere possenti di fortificazione e di sbarramento, e l’Austria precipitosamente vi faceva accorrere nuove forze dai campi di Serbia e di Galizia; la guerra si annunciava in tutta la sua asprezza.”
[Da La gesta e gli eroi, del Capitano Amedeo Tosti, 1928, pag. 26, Ed. Libreria Littorio,1928]
9-Donna armena che ha denunciato le atrocità dell'esercito turco. Le Panorama de la guerre, 1915.

Non vengono pubblicate mote immagini del primo genocidio del XX° secolo, questa donna armena lo sta denunciando. La rivista Le Panorama de la guerre è l'unica a mostrare alcune immagini di ciò che stanno facendo i turchi agli armeni. Donne come questa forse si salveranno, ma migliaia di armene saranno uccise, stuprate e i loro figli venduti come schiavi a famiglie di turchi.
“Della nostra famiglia eravamo in sette: io, mio marito, mia suocera, il fratello di mia suocera che era vescovo della nostra città e tre cognati. Abbiamo portato con noi una levatrice perché ero incinta e il medico turco che mi aveva visitata aveva detto che non era ancora tempo del parto e dovevo partire lo stesso. C’era anche una ragazza muta che ci ha seguiti per tutto il viaggio. Quando siamo arrivati a Erzincan ci hanno detto di lasciare i carri perché le strade erano brutte. Camminavamo tutto il giorno sotto il sole e non vedevamo l’ora che venisse la sera per riposare. Andavamo avanti tutti in fila. Quelli che non potevano proseguire li ammazzavano. In tutte le strade per cui sono passata c’erano cadaveri dappertutto. Dicevano che era colpa delle piogge se tanti erano morti. Dicevano che era meglio non rimanere indietro, altrimenti ti ammazzavano. In tutto eravamo diecimila persone. Abbiamo marciato costeggiando il fiume Eufrate. Il fiume era pieno di cadaveri. Erano i corpi degli armeni. Una parte era morta di stenti, gli altri erano stati ammazzati.”
[Dalla testimonianza di Hripsimé Amrighian Condakgian, pag. 60,in Hushér la memoria-Voci italiane di sopravvissuti armeni, di Atonia Arslan e Laura Pisanello, Ed. Guerini e associati, Milano 2005]
10-Ritirata ed esodo dell’esercito serbo. Le Panorama de la guerre, 1915.


L'iconografia ufficiale della disfatta dell'esercito serbo e della fuga del suo re, mostra un ponte attraversato da un popolo in fuga con alla testa un sovrano che si sorregge con il suo bastone. E', tutto sommato, un'immagine classica e antica. L'attentato di Sarajevo è stato organizzato dai serbi, ma per la propaganda ufficiale dell'Intesa essi sono le vittime di un'aggressione barbara.
“Da quei dieci giorni di bombardamento il ponte non ebbe a subire alcun grave danno. Le granate colpivano i pilastri lisci e le volte ricurve, ne rimbalzavano ed esplodevano in aria lasciando sui muri di pietra come sola traccia leggere graffiature bianche, appena visibili. E le schegge degli shrapnel schizzavano via come dei chicchi di grandine dai muri lisci e solidi. Soltanto i proiettili che raggiungevano proprio la carreggiata formavano nella ghiaia battuta piccole buchette e incavi, ma questo non si poteva notare finché non si arrivava proprio sul ponte. E così, in mezzo a tutta quella nuova tempesta che si riversò sulla città, scuotendo dalle fondamenta e rovesciando antiche abitudini, uomini vivi e cose morte, il ponte continuò a stare in piedi, bianco, duro e invulnerabile, come era stato da sempre.”
[da Il ponte sulla Drina di Ivo Andric, pag. 382, Mondadori, 1975]

stefanoviaggio@yahoo.it