sabato 2 ottobre 2010

Memoria familiare in alcune fotografie anonime della Grande Guerra-Terza e ultima parte

Interi archivi fotografici familiari e che riguardano la Prima Guerra Mondiale, giungono sino a noi anonimi. E’ l’estinzione delle famiglie e la loro dispersione che genera questo anonimato fotografico.
Si inviano fotografie come quella che abbiamo appena descritto per un bisogno di farsi vedere, ma anche perché c’è la richiesta di conoscere com’è fatto il nemico.


Cartolina francese con truppe tedesche che
occupano una città
 In una cartolina francese, inviata il 16 gennaio 1915, possiamo leggere:
“Mio caro piccolo Marcel, ecco l’ultima cartolina dei boches…Aspetterò che ritorni a Parigi per inviartene una più bella…Qui diluvi, tuoni, lampi, grandine, colpi di cannone, manca solo il terremoto, come in Italia…”
Gli anni che precedono la Prima Guerra Mondiale vedono un vero e proprio boom della fotografia; l’abbassamento dei costi rende possibile l’acquisto di macchine fotografiche più maneggevoli da parte della piccola e media borghesia.
Per questo motivo ufficiali, sottufficiali, ma anche semplici soldati che possiedono una macchina fotografica e se la portano al fronte, eseguono fotografie di gruppo con paesani e amici delle stesse compagnia e, più raramente, fotografano le trincee e momenti di guerra vera. L’opera di questi “reporter inconsapevoli”, sta uscendo dall’anonimato dopo quasi un secolo e su questo oblio ha influito anche il desiderio degli ex combattenti di dimenticare e tacere su ciò che avevano visto e vissuto.
Fotografare al fronte è un atto proibito ufficialmente, ma spesso tollerato dalle autorità militari.
Una testimonianza è riportata da Jaques-Henri Lefebvre, ha raccolto le memorie di chi combatté la Battaglia di Verdun. Un cappellano militare, l’abbé Bergey, nel corso di una delle fasi più acute dell’attacco scatenato dal generale Mangin nel tentativo di riconquistare il forte di Douamont, vagando tra i crateri allo scopo di confortare i feriti, prende in mano non un fucile, ma una macchina fotografica. L’episodio è raccontato da un altro combattente, l’aspirante Lasparre.
"A un certo momento lo vidi in piedi, con una macchina fotografica puntata sulla scena del bombardamento. Le esplosioni lo circondavano da ogni parte.
Dal mio buco gli chiedo:
-Cosa fate, Cappellano?-
-Lo vedi, faccio qualche foto, non c'è niente di banale e sarebbe un peccato lasciar perdere-."
L’anonimo autore di un gruppo di stereoscopie che raccontano momenti della guerra italiana, doveva essere un ufficiale dell'esercito che si era sposato alla vigilia della guerra.
Ci sono alcune fotografie del suo matrimonio, una di sua moglie in viaggio di nozze e un tranquillo interno borghese in cui la giovane donna è seduta al pianoforte con accanto la madre o la suocera.
Interno borghese di una famiglia torinese
Questo mondo che lo scrittore austriaco Stefan Zweig definirà “di ieri”, sarà cambiato dalla guerra.
Chi eseguì le stereoscopie doveva essere un ufficiale di carriera, e quindi portato a riprendere situazioni della vita militare nella Torino alla vigilia della Guerra. Quando viene inviato al fronte, l’ufficiale continua a fotografare.
Insieme alle fotografie dei suoi commilitoni, la sua attenzione si rivolge ad alcuni aspetti della guerra moderna. Dalle didascalie scritte a matita sul retro, apprendiamo che le stereoscopie sono eseguite nella Val Monastero e, molto probabilmente, nei pressi di Gorizia.
La morte della maggioranza degli uomini uccisi nel corso della Prima Guerra Mondiale, è provocata da armi come quelle fotografate dall’ufficiale italiano. 

Foto ricordo con cannone
Sono cannoni molto potenti che contribuiscono in modo determinate all'immobilità del fronte. L'immagine potrebbe essere definita “foto ricordo con cannone”: gli ufficiali sembrano posare compiaciuti accanto alla macchina che li sovrasta.
In un’altra stereoscopia, il Capitano Ceccarin appare come un elemento di contorno: il protagonista della fotografia è il cannone, con la sua struttura metallica e geometrica.

Il capitano Ceccarin
Arma nuova è l'aviazione. Nelle stereoscopie non ci sono aerei in volo o piloti pronti a compiere missioni di guerra, ma due relitti di aeroplani.



Resti di aeroplano sorvegliati da un carabiniere
La possibilità di poter fissare sulle lastre qualcosa di queste nuove macchine, stimola la curiosità del fotografo dilettante. I rottami sono sorvegliati da un carabiniere, forse per evitare che qualcuno scopra i segreti della nuova arma destinata a diventare una sorta di culto nazionale dopo il raid di Gabriele D'Annunzio su Vienna e le imprese di Francesco Baracca. La didascalie non specificano se i resti dell'aeroplano appartengano all'aviazione italiana o austriaca.
Cannoni potenti, macchine per volare ed uccidere che il caso fa ritrarre soltanto distrutte e automobili.
Un altro mito della modernità è l’esplorazione sottomarina. Ciò che si agita sotto la superficie dei mari, quella vita ancora sconosciuta è, alla vigilia della Grande Guerra, un mondo tutto da esplorare e la figura del palombaro è apparsa sulle riviste illustrate come quella di un uomo che sfida i misteri degli abissi in nome della scienza e per la salvezza di altre vite umane. La Grande Guerra non è combattuta sul mare: la battaglia dello Jutland nel 1916 ha un esito incerto e resta un episodio marginale.
La guerra vede l'impiego dell'arma marina per altri usi: il posizionamento delle mine per il blocco navale contro la Germania, la risposta tedesca con i sommergibili e l'affondamento indiscriminato di naviglio appartenente ai paesi neutrali, l'organizzazione dei convogli per la scorta alle navi americane che trasportano in Europa merci e soldati, rapide azioni di motosiluranti per seminare morte e terrore nell'avversario. La figura del palombaro rientra in questo tipo di guerra marina, assai più insidiosa delle grandi battaglie sul mare.
La stereoscopia del nostro ufficiale torinese non è di grande qualità, ma questa immagine, forse più delle altre, sembra esprimere la mitologia di cui si è nutrita la borghesia prima dello scoppio della guerra. Il possesso dell'Adriatico è diventato un mito e il palombaro è un uomo audace che sfida forze oscure e potenti. L'idea del coraggio e della forza verrà costruita attorno alla Beffa di Buccari, all’impresa di Premuda e agli uomini che vi parteciparono. Il palombaro e i significati simbolici che questa figura riassume, rientrano nella modernità che ha generato la guerra industriale.


Palombaro del Battaglione Mongiardini
 Un elemento di riflessione che questo fondo fotografico suggerisce è la presenza nello stesso gruppo di stereoscopie di immagini che riguardano il tempo di pace, il matrimonio, la famiglia ed il periodo della guerra. E’ come se i proprietari avessero voluto ricostituire un’unità che era stata messa in pericolo.
La borsetta che contiene la maschera antigas del soldato francese, i cannoni fotografati dall’ufficiale italiano, il disegno sul retro della fotografia con la bambina, sono i tanti segni di una crisi che in modo inconsapevole viene registrata all’interno di documenti familiari.
Due esempi provenienti da un album francese e da uno tedesco, aggiungono altri elementi
L’album francese è composto da fotografie tutte datate 1913, al suo interno però ci sono una decina di fotografie sfuse riguardanti la stessa famiglia.
Due di esse mostrano un giovane, presente anche nelle foto incollate sull’album: nella prima un gruppo di ragazzi appartenenti ad un’associazione patriottica, posano armati di lunghi fucili e forse hanno terminato un’esercitazione. Sul retro c’è solo una data: 1915. Quanti di essi torneranno vivi alle loro case?


1915-Giovani di un'associazione patriottica francese
 Uno dei ragazzi presente nel gruppo del 1915 è sopravvissuto alla guerra, nel 1919 invia una cartolina ad un amico e scrive questa frase: “au soviet des decorations”.


"au soviet des decorations"
 Cosa significa? Qualunque ipotesi sarebbe un azzardo, ma nessuno avrebbe mai impiegato la parola “soviet” nel 1915, anche solo per definire in modo ironico un gruppo di combattenti particolarmente decorato.
Molte cose sono avvenute in Europa e l’uso della parola “soviet” ne è il segno.
In un album di una famiglia tedesca, composto negli anni compresi tra il 1890 e la Grande Guerra, troviamo una fotografia in cui la guerra irrompe in modo drammatico nel tranquillo ordine borghese.


Germania 1914, nonna con nipote
 Una nonna o una zia, stringe la mano al soldatino che veste l’uniforme addobbata con i fiori e sembra dare un ultimo commiato a questo nipote.
Forse la fotografia venne eseguita nell’autunno del 1914 e il ragazzo ci guarda da una lontananza di quasi un secolo per dirci che anche lui è pronto a combattere. Negli anni seguenti, l’anziana signora forse si piegherà a piangere sulla tomba di questo adolescente dal volto angelico. Lui dalla tomba potrà rimproverare i suoi professori di non avergli insegnato ad accendere una sigaretta controvento: come dirà il protagonista di “Niente di nuovo sul Fronte Occidentale” quando ricorderà, prossimo alla morte, quella kultur conformista appresa su banchi di scuola e che indicava in un’uniforme perfetta il modello di ordine morale e di civiltà.
E’ andata veramente così? Non lo sapremo mai.