domenica 16 dicembre 2012

L'inquietudine del Primo dopoguerra nelle fotografie di Le Miroir e in alcune pagine della letteratura Quarta parte

Francia e Inghilterra, scene di violenza di piazza
Con la pace alla depressione economica e alla nevrosi degli sconfitti si affiancano quelle dei vincitori. Il caso più eclatante e noto è quello italiano di cui parleremo in un prossimo post.
[E’ stato utilizzato per definire i componenti delle squadre d’azione fasciste il termine “spostati”, persone cioè non in grado di trovare una collocazione esatta nella società al termine della guerra. Ad ingrossare le file fasciste andarono piccoli e medi borghesi: nel corso della guerra avevano avuto un ruolo di comando e  nel dopoguerra dovevano riadattarsi ad una vita da eterni subalterni di qualche capoufficio. Per un ulteriore approfondimento vedi “Le origini dell’ideologia fascista. 1918-1925” di Emilio Gentile, Ed. Il Mulino, 2011]  
In Inghilterra e in Francia, apparentemente  grandi vincitori del conflitto mondiale, emergono subito i problemi celati da cinque anni di guerra e che si rivelano nella loro urgenza e drammaticità. Troppo sangue è stato versato. I soldati tornano a casa e trovano i ricchi sempre più ricchi; i ceti meno abbienti debbono fare i conti con la riconversione dell’economia di guerra in quella di pace.
Sono state fatte promesse ai popoli, si attende una maggior giustizia sociale mentre l’esempio bolscevico esercita un fascino molto forte sulle classi popolari che maggiormente hanno pagato il prezzo della guerra.

              Le Miroir N° 340 del 27 giugno 1920

Questa fotografia pubblicata sulla copertina del 340mo numero di Le Miroir sottolinea il fatto che anche oltre Manica è forte il malcontento dei soldati smobilitati alle prese con la ricerca di un posto di lavoro. Il titolo è: “Gli smobilitati inglesi non sono più soddisfatti dei nostri”. Così il commento all’immagine nella didascalia: “Hanno manifestato in modo originale: smobilitati e smobilitate hanno passeggiato nelle strade di Londra in gruppi di cinque con dei cartelli in cui è riassunto lo spirito dei combattenti, diventati ex combattenti, ecco le scritte sui cinque cartelli.-1916, tutti gli uomini debbono partire-1917, bisogna lottare sino in fondo, tutti sono d’accordo-1918, pace?-1919, le stravaganze della smobilitazione-1920, nessuno ci vuole-
                                  Le Miroir N° 340 del 27 giugno 1920



Tra i manifestanti contro la smobilitazione si può notare una donna con il cartello che denuncia le stravaganze della smobilitazione. L’Inghilterra non era nuova a manifestazioni di piazza che avevano visto come protagoniste le donne, il movimento per il suffragio femminile era stato caratterizzato da scontri con la polizia, arresti e violenze. Durante la guerra si era affermata, anche nell’immagine fotografica, un tipo di donna nuova che comprendeva due categorie: l’infermiera e l’operaia. Tutte le riviste avevano pubblicato fotografie che ritraevano donne al lavoro in fabbrica o negli ospedali. Il corpo femminile era stato utilizzato anche per propagandare la violenza e la barbarie del nemico, il corpo della donna insidiato e violato era divenuto il simbolo del focolare domestico da difendere dai nuovi “unni”, distruttori della civiltà occidentale. Alla fine della guerra milioni di donne che avevano sperimentato l’indipendenza derivata dal lavoro, vennero rimandate a casa in seguito alla smobilitazione dell’industria di guerra e anche a causa del ritorno degli uomini nella vita civile. Un cambiamento però si era verificato e le donne non erano più le stesse di prima dell’agosto del 1914. Alcune fotografie pubblicate da Le Miroir presentano un nuovo tipo di donna che si veste diversamente dal passato, le gonne si sono accorciate, i capelli sono più corti e acconciati in modo diverso. La composizione fotografica pubblicata sul numero 290 del 25 giugno 1919, presenta una donna nuova che mostra il suo corpo in modo più libero.
Le Miroir N° 290 del 25 giugno 1919



Le tensioni e le novità del dopoguerra si scaricano nel conflitto sociale ed esistenziale di ogni singolo individuo; la depressione per la disillusione, la scoperta di aver fatto parte  di una gigantesca macchina di morte in piena sintonia con i progressi dell’organizzazione scientifica del lavoro costruita attraverso la ripetitività e l’alienazione, la sensazione di non senso per il sangue sparso e la sofferenza provata in Francia, sono vissute in modo drammatico anche nelle classi alte delle società dei paesi vincitori.
Clifford, il marito tradito da Connie Chatterly, l’eroina del grande romanzo di D.H. Lawrence che scopre l’amore panico con il suo guardiacaccia e in questo modo si salva dal grande naufragio esistenziale provocato dalla guerra, è un uomo colpito nella sua capacità di esercitare il potere virile. La guerra ha ridotto Sir Clifford su una sedia a rotelle: il ricordo dell’esperienza vissuta sui campi di battaglia si manifesta in lui quando prova a sopravvivere cacciando nei campi che circondano la sua proprietà.
“E sentiva lo strido d’un coniglio preso da una donnola o alla tagliola, il cuore gli si fermava un attimo nel petto, poi rifletteva: - Anche questo è spacciato! Un altro! E io no! -. Ed esultava curiosamente. Non tradiva mai la sua preoccupazione di morire, quando parlava con Constance, ma ella indovinava, ed evitava l’argomento. Ma pure non capiva la strana, quasi inumana, animazione di lui, quando, in autunno, prendeva il fucile e andava a sparare ai fagiani; il misterioso, l’inesplicabile fremito che egli provava quando vedeva l’animale rattrappirsi in aria e piombare giù.”
[da John Thomas e Lady Jane, di D.H. Lawrence, seconda stesura de L’amante di Lady Chatterly, Ed. Sperling Paperback 1993, pagg. 6-7. Nella prima stesura del romanzo pubblicata in Francia nel 1947 dalle Editions des Deux Rives, l'opera s'intitola semplicemente Lady Chatterly. Il rapporto della donna con il suo amante è fortemente condizionato dalla differenza e quindi dal conflitto di classe; il guardiacaccia, che qui si chiama Parkin, ha combattuto in Francia ed è un uomo che non riesce a trovare una collocazione precisa nell'Inghilterra del dopoguerra. Parkin abbandona la tenuta e va a lavorare in una grande acciaieria, qui si iscrive al Partito Comunista Inglese e diventa il capo della cellula della fabbrica.]
Nei commenti che accompagnano i servizi pubblicati da Le Miroir, non troviamo assolutamente nulla di questa inquietudine che agita le classi dominanti britanniche e francesi, di questa paura e fascinazione della morte, dell’incubo rivissuto continuamente, di questo senso di castrazione che è innanzitutto incapacità di accettare lo sconvolgimento prodotto dalla guerra. Troviamo invece le immagini della lotta di piazza provocata dalla disoccupazione e dal malcontento per la delusione di tante speranze accese dalle promesse  ricevute nelle trincee.
Un immagine di guerra vera, combattuta non con cannoni e mitragliatrici, ma con i bastoni, la offre sempre il numero 290 di Le Miroir.
Le Miroir N° 290 del 25 giugno 1919



La polizia a cavallo londinese viene attaccata e costretta a fuggire  da un  gruppo di manifestanti in borghese. Nell’istantanea, pubblicata in grande formato, il centro dell’immagine si focalizza su un uomo che vibra un colpo di bastone contro un poliziotto a cavallo. Lo stupore del redattore si accompagna all’intenzione di accreditare una versione falsa degli avvenimenti.
“Questa curiosa istantanea non si riferisce alle sommosse di cui la Germania, l’Austria o la Russia sono giornalmente teatro. Questa manifestazione che ha avuto luogo a Londra, fu rapida e senza fatti grvi. Ma la fotografia merita di essere pubblicata a causa della sua mobilità e della posizione dei protagonisti. In occasione di un raduno di soldati e marinai britannici smobilitati, molti curiosi si erano ammassati davanti all’Hyde Park. La polizia ha voluto disperderli, forse un po’ brutalmente. Furiosi i manifestanti l’hanno caricata a colpi di bastone, obbligandola a battere velocemente in ritirata. ”
I manifestanti non sono dei curiosi attardati casualmente davanti al più famoso parco di Londra, ma ex combattenti esasperati dalla mancanza di lavoro e dall’agiatezza in cui vivono gli arricchiti di guerra, imboscati mentre loro andavano al fronte. I disordini e le scene di lotta di piazza, una vera e propria ripresa della lotta di classe da parte di chi ha imparato a combattere in ben altre situazioni, si estendono in tutta l’Inghilterra. Le celebrazioni del Giorno della Vittoria sono segnate da incidenti in diverse città inglesi con decine di vittime nella città di Lutton.
[Vedi “Terra di nessuno” di E.J. Leed, Ed. Il Mulino  pag. 268]
In Francia la lotta di classe riprende all’indomani della fine della guerra, si rompe così l’equilibrio assicurato dall’Union Sacrée e che ha assunto sempre più una connotazione autoritaria e di destra. Il Partito Socialista Francese è travagliato da lacerazioni interne a causa dell’orientamento filobolscevico di una parte dei suoi iscritti e dirigenti. Il Primo Maggio a Parigi, una festa che avrebbe dovuto essere celebrata all’insegna dell’unità nazionale di una Francia vittoriosa, si trasforma in una battaglia di strada. Agli incidenti del Primo Maggio segue un crescendo di agitazioni sociali e di insofferenza che contano anche l’ammutinamento di alcuni contingenti inviati in Russia a sostegno delle armate bianche. La voglia di non fare più la guerra è una delle componenti importanti della protesta dei soldati.
Così lo storico J.J. Beker descrive la situazione francese nel 1919.
Agitazione interna, con importanti manifestazioni di protesta dopo l’assoluzione di Raoul Villain, l’assassino di Jourès, il 29 marzo 1919. Agitazioni ugualmente forti il 1° maggio 1919 […]Durante l’estate , scioperi si verificano sporadicamnte, in particolare tra i metallurgici della regione parigina.”
[da La France en guerre-1914-1918 - La grande mutation, di J.-J. Becker, Editions Complexe, pagg. 183-184]
Le Miroir N°285, 11maggio 1919



Sul numero 285 di Le Miroir vengono pubblicate tre fotografie degli incidenti del Primo Maggio. Accanto a quella con i tradizionali mughetti, una con uomini mentre costruiscono una barricata e un’immagine interessante eseguita in un boulevard. Al centro, il protagonista della nuova informazione visuale cerca di mettersi al riparo dalle cariche di esercito e polizia: è un fotografo in bombetta e armato di una pesante fotocamera a lastre. Un soldato a cavallo avanza verso la folla.
Aggiungi didascalia
     Le Miroir N°285, 11maggio 1919



Questa immagine e quella degli incidenti di Londra, mostrano un tipo di fotografia nuova: il fotografo scende nelle strade delle grandi città in cui fervono vita e conflitti, fissa così momenti significativi che diventano documenti per ricostruire un’epoca. Siamo alla vigilia di una pagina nuova nella storia della fotografia che si rivelerà negli anni Trenta, quando con la crisi economica del 1929 alcuni fotografi, e tra questi Robert Capa, Gerda Taro e Cartier Bresson, entreranno nei miti del Ventesimo secolo.  

sabato 1 dicembre 2012

Il dopoguerra, l’inquietudine nelle fotografie e in alcune pagine della letteratura Terza Parte

Germania: la danza macabra



Soldati tedeschi che lasciano il Belgio dopo la rivoluzione del novembre 1918, disegno di E. Renard, in L’epopée belge dans la Grande Guerre, Ed. Librairie Aristide Quillet, 1923




Soldati tedeschi che lasciano il Belgio dopo la rivoluzione del novembre 1918, disegno di E. Renard, in L’epopée belge dans la Grande Guerre, Ed. Librairie Aristide Quillet, 1923



I disegni pubblicati su un libro ben rilegato, ricco di fotografie e illustrazioni, “L’epopée belge dans la Grande Guerre”, mostrano il ritorno a casa dei soldati tedeschi che hanno sulle divise un nastrino rosso. In Germania c’è la rivoluzione e i socialisti, guidati dal moderato Ebert, il “sellaio” come lo dipinge la propaganda reazionaria e nazionalista, sono al governo della nazione. Non è però la rivoluzione: nonostante le speranze che si accendono in Germania per un rinnovamento profondo della società, prevale invece un sentimento di sconforto e di disadattamento dei reduci dal fronte. Nella letteratura del Novecento questo sentimento è stato descritto da Eric Maria Remarque nel suo secondo romanzo, “La via del ritorno”, pubblicato nel 1932. Non ebbe lo stesso successo di “Niente di nuovo sul fronte occidentale”, ma non è privo di interesse, sia letterario che storico. Questa è la riflessione di Ernesto, il protagonista, quando si accorge che lui e i suoi compagni non sono compresi da chi è rimasto a casa e non ha vissuto l’esperienza della guerra di trincea.
“Per troppo tempo si è avuta compagna la morte: era una giocatrice svelta, lei, e ad ogni momento ne andava tutta la posta. Questo ci ha messo nel sangue un che di sconnesso, di frettoloso, di calcolato per l’attimo che fugge, quindi ci sentiamo vuoti, perché non è cosa adatta a queste circostanze. E questo vuoto ci rende inquieti, perché sentiamo che non siamo compresi e nemmeno l’amore ci può giovare. Un abisso insormontabile è spalancato tra i soldati e i non soldati. Ci si deve aiutare da noi.”
[Da “La via del ritorno” di Eric Maria Remarque, pag. 139, Ed Mondadori 1972, prima edizione 1932.]
I giovani che sono andati al fronte sono cresciuti nella Germania guglielmina, nazionalista, militarista e in cui si è insediato un irrazionalismo evocatore di una catastrofe imminente per il tramonto di alcuni valori che la modernità tecnologica mette in discussione. La guerra è stata la medicina contro questa angoscia esistenziale. Nel corso del conflitto, soprattutto all’inizio, i tedeschi si sono fidati delle classi dirigenti, dei generali e principi che promettevano la vittoria. Poi sono affiorati i dubbi, le incertezze e infine sono emersi il disincanto e l’aperta protesta contro il massacro. In “La via del ritorno” Remaque ambienta in una caserma desolata, il congedo di un ufficiale dai suoi soldati e lo fa con un dialogo tra un soldato pacifista e il suo comandante.
“Heel passa da uno all’altro e stringe a tutti la mano. Giunto da Max Weill, dice con le labbra sottili: -Adesso comincia la sua epoca, Weill-
-Sarà meno sanguinosa- risponde Max con calma.
-E meno eroica- dice Heel di rimando.
-Non è la cosa suprema della vita- dice Weil.
-Ma la migliore- obietta Heel –Che altro sarebbe?-
Weil ha un momento di esitazione. Poi dice: -Una cosa che oggi suona male, signor tenente: bontà e amore. Anche in questi c’è l’eroismo-
-No- risponde Heel rapidamente, come se ci avesse pensato da tanto, e aggrottando la fronte –così non c’è altro che martirio, una cosa ben diversa. L’eroismo comincia dove la ragione fa sciopero: col disprezzo della vita. E’ parente dell’ebbrezza, del rischio, delle cose insensate, perché lei lo sappia. Ben poco, invece, dello scopo. Lo scopo, ecco il vostro mondo –Perché? A qual fne? Per quale ragione? – chi fa queste domande, non ne sa nulla.-
Parla con violenza, come se volesse persuadere se stesso.”
[Da “La via del ritorno” di Eric Maria Remarque, pag. 50, Ed Mondadori 1972, prima edizione 1932.]
E inutile dire che il dialogo mette in scena le due Germanie che si fronteggiano alla fine della guerra: prevarrà, negli anni Trenta, quella dell’ufficiale ed Eric Maria Remarque dovrà abbandonare il suo paese.
Una fotografia formato cartolina rappresenta questa fiducia che i tedeschi avevano riposto nelle loro classi dirigenti. E’ inviata da un soldato a sua moglie o fidanzata. Nel testo sul retro, non c’è alcun riferimento all’immagine in cui il figlio del Kaiser Guglielmo II, il Kronprinz Guglielmo di Prussia (1882-1951) stringe la mano a un soldato. Foto-cartoline di questo tipo evidentemente erano stampate e diffuse per alimentare la fiducia. Fu inviata nell’aprile del 1916, mentre era in corso la battaglia di Verdun.

Foto-cartolina inviata il 23 aprile 1916 da un soldato di nome Karl che ringrazia per le buone sigarette che gli sono arrivate



Il vincolo che si è formato tra i soldati al fronte è molto forte, ma ancor più forte è quello che si è stabilito con chi è rimasto nelle terre che i tedeschi hanno dovuto abbandonare, i milioni di compagni caduti. Il ricordo di quella sofferenza comune cementa la sensazione di appartenere ad un altro mondo, quello di chi ha fatto la guerra e non trova nemmeno le parole giuste per raccontarla.
“Il cortile ampio e grigio è troppo grande per noi. Lo spazza un tetro vento di novembre che sa di partenza e di morte. Stiamo fra la cantina e il posto di guardia, spazio sufficiente per noi. La vasta superficie vuota intorno a noi ci richiama memorie sconsolate. Lì sono allineati, su molte file, invisibili, i morti.”
[Da “La via del ritorno” di Eric Maria Remarque, pag. 49, Ed Mondadori 1972, prima edizione 1932.]
Un’altra cartolina tedesca, questa volta non una fotografia, ma un’illustrazione, racconta il legame profondo che si è creato fra i soldati. Il titolo è “Kameraden”.

Kameraden, autore ignoto



Sul numero 308 del 19 ottobre del 1919, la rivista Le Miroir pubblica una fotografia che meglio e più di altre, esprime il dramma tedesco e l’inquietudine di questa nazione.

Le Miroir N° 308 del 19 ottobre 1919



Osserviamo il volto di questo mutilato di guerra che mostra al Presidente della Repubblica Ebert, come funziona alla perfezione un arto artificiale con cui potrà compiere i movimenti di una gamba naturale.
E’ un viso in cui la tensione si concentra nello sguardo diretto verso l’obiettivo della macchina fotografica: sulle labbra c’è una piega di tristezza e insieme di sfida. L’uomo solleva il ginocchio in atteggiamento marziale, volge le spalle ai signori che lo circondano e lo osservano con aria quasi compiaciuta per i progressi tecnologici dell’eterna Germania, oggi oppressa dalla miseria e la sconfitta. Come una tragica marionetta, quest’uomo è il rappresentate delle migliaia di mutilati ritratti da Georg Groz e Otto Dix: vagano nelle strade e attendono agli angoli, porgono la mano per domandare l'elemosina ed hanno sul petto le Croci di Guerra guadagnate al fronte. Quest’uomo potrebbe marciare sul palcoscenico di una rappresentazione del teatro espressionista. E’ l’immagine della guerra spogliata da ogni orpello retorico, è la guerra che danza con la morte. La morte si stampa sul volto del mutilato e ci guarda, ci scruta da questa fotografia per scorgere un nuovo segnale che le restituisca il ruolo di prima donna della compagnia.
Nella didascalia di Le Miroir non è possibile rintracciare nulla di ciò che questa immagine, alla luce degli avvenimenti successivi, suggerisce.
La dimostrazione del nuovo arto artificiale avviene alla Fiera di Francoforte che riapre i battenti.
“Il presidente Ebert, venuto ad inaugurare l’esposizione, si è vivamente interessato agli amputati di guerra che gli hanno presentato. Uno di essi manovra la sua gamba artificiale perfezionata, con cui riesce a fare esattamente gli stessi movimenti di una gamba naturale”
L’immagine della Germania è quella di un uomo mutilato che prova a marciare come un soldato.