mercoledì 26 settembre 2012

Gallipoli 1915 Prima parte




Sur le vif 1915
“Una nave da trasporto sbarca, come grappoli umani tra i calanchi, le truppe agguerrite che provengono dall’Australia.”






L’idea della spedizione di Gallipoli

La spedizione di Gallipoli fu uno dei più grandi insuccessi dell’Intesa nel corso della Prima Guerra Mondiale.
Seguiremo le diverse fasi di questo avvenimento attraverso alcune fotografie pubblicate nel corso del 1915.
All’inizio del 1915 si fece largo nelle alte sfere politico-militari britanniche l’idea di spostare il teatro di guerra dai fronti occidentale ed orientale e debellare in un colpo l’Impero Ottomano, entrato nel conflitto a fianco degli Imperi Centrali.
In questo modo si sarebbe sbloccato il Mar Nero e minacciata l’Austria-Ungheria dai Balcani.
Il progetto corrispondeva all’ esigenza di aiutare l’Impero zarista che tra la fine del 1914 e l’inizio del 1915, aveva subito dure sconfitte con un alto numero di perdite; i generali dell’Intesa guardavano sconsolati le trincee del fronte occidentale e non vedevano strade per sbloccare la situazione di stallo che si era venuta a creare, inoltre bisognava convincere l’Italia ad entrare in guerra contro Austria e Germania e intimorire la Bulgaria e la Romania. A tutto questo bisogna aggiungere le mire imperialiste di Francia e Inghilterra che guardavano all’Impero Ottomano come una grande torta da spartire, con un occhio particolare alla questione del petrolio in quello che sarebbe diventato l’odierno Irak.
Sulla spedizione di Gallipoli vennero riposte grandi speranze, ma tutto si risolse in un inutile massacro. L’Italia entrò in guerra solo contro l’Austria quando sembrava che l’attacco contro la Turchia avesse possibilità di successo, ma la Bulgaria, nel momento in cui fu chiaro che gli anglo-francesi non riuscivano a conseguire l’obbiettivo di occupare Istambul ed entrare nel Mar Nero, entrò in guerra a fianco degli Imperi Centrali.
L’avventura anglo-francese a Gallipoli fece una vittima illustre: Winston Churchill, a quel tempo Primo Lord dell’Ammiragliato. Churchill aveva sostenuto la spedizione anche quando era chiaro che non avrebbe portato ad alcun risultato e alla fine dovette dimettersi: si arruolò e andò a combattere nelle trincee di Fiandra. La sua idea su Gallipoli era certamente coraggiosa e innovativa, ma ebbe scarso appoggio e la spedizione fu organizzata in modo confuso.
Churchill aveva pensato anche a rudimentali carri armati per sbloccare la guerra di trincea, ma nel 1915 nessuno gli diede ascolto.
Un cattivo inizio
Dopo un primo bombardamento navale contro le vecchie fortezze turche a guardia dello stretto dei Dardanelli, il 19 marzo 1915 una squadra navale anglo-francese tenta di raggiungere il Mar di Marmara, ma incappa in uno sbarramento di mine che in precedenza non era stato eliminato. Due corazzate inglesi e una francese colano a picco con un elevato numero di vittime.
Con una sequenza di due fotografie la rivista francese Sur le vif racconta l’affondamento della corazzata Bouvet.
Nella prima immagine la corazzata ha appena urtato la mina e già si leva il fumo dell’esplosione. In un riquadro, la nave è mostrata in piena efficienza mentre naviga verso i Dardanelli.

Sur le vif 1915
La seconda fotografia, come la prima, ha una crocetta in corrispondenza della linea di costa. La didascalia così commenta la fine del Bouvet:
“La seconda rappresenta la catastrofe, quando la nave cola a picco tra le grida dell’equipaggio che urla -Viva la Francia!-. Se si cerca sulle fotografie la linea della costa (evidenziata dalla crocetta), si constata che le Bouvet ha avuto il tempo di percorrere soltanto la metà della sua lunghezza, prima di affondare. Solo qualche secondo è passato tra l’esplosione della mina e la distruzione della nave gloriosa.”

Sur le vif 1915
A parte l’evidente (e macabra) forzatura sui marinai che gridano “Viva la Francia” mentre vanno incontro all’annegamento, colpisce l’attenzione alla dinamica fotografica dell’evento che la rivista cerca di mostrare in presa diretta, invitando il lettore a constatare la rapidità con cui la nave è affondata. E’ come se si dovesse trovare una giustificazione del disastro nella potenza della mina posata dai turchi con l’aiuto dei tedeschi.
Lo sbarco sulla Penisola di Gallipoli
Il comando della spedizione è affidato ad un generale che ha combattuto nella guerra anglo-boera del 1900, Sir Ian Hamilton, a fronteggiarlo ci sono i turchi diretti da un tedesco, il generale Otto Liman von Sanders. Tra gli ufficiali turchi c’è Mustafà Kemal: ha partecipato al movimento dei Giovani Turchi e sarà l’anima della resistenza. Nel dopoguerra Mustafà Kemal diventerà il capo della nuova Turchia con il nome di Ataturk, “padre di tutti i turchi”.
Tra il 25 e il 26 aprile avviene la prima operazione anfibia in grande stile nella storia della guerra moderna, ma è confusa e mal diretta: si scontra con un’inaspettata resistenza turca.
E’ a questo punto che le fotografie cominciano a mostrare spiagge su cui si accalcano centinaia di soldati che sotto un sole cocente cercano di accamparsi e ripararsi sotto il tiro incrociato di mitragliatrici e fucili turchi.


Sur le vif 1915



Così la rivista commenta l'immagine che presentiamo sopra:
“Massa di prigionieri ottomani portati su una spiaggia della penisola di Gallipoli pronti ad essere imbarcati e trasportati a Tènèdos. Si tratta soltanto di una piccola parte dei soldati turchi catturati nei primi giorni dello sbarco.”
All’inizio e come al solito, vengono mostrati i prigionieri , ma ben presto verranno mostrati i soldati del corpo di spedizione aggrappati a queste spiagge desolate.

Sur le vif 1915
“Cratere prodotto da una grossa mina tedesca nelle nostre linee.”



Di fatto la spedizione di Gallipoli si trasforma in una guerra di trincea con i turchi dall’alto e il corpo di spedizione in basso che, nonostante le continue offensive frontali, non riesce ad andare avanti. Un ruolo importante in questa vicenda lo avranno gli australiani e i neozelandesi, inquadrati nell’ANZAC ( Australian New Zeland Army Corps),

Sur le vif 1915
“Infermieri australiani che trasportano dall’infermeria di campo alla spiaggia per poi imbarcarli sulle navi.”



stefanoviaggio@yahoo.it

giovedì 6 settembre 2012

Ypres: fotografie dall’In Flanders' Fields Museum



In Flanders' Fields Museum, cane di trincea impagliato. Il museo non ha voluto dimenticare i tanti animali che furono vittime della guerra e condivisero con gli uomini i rischi e la morte nelle trincee. Fotografia di Stefano Viaggio, agosto 2012



Cosa resta oggi della Prima Guerra Mondiale? I siti storici dei campi di battaglia sparsi per mezza Europa, i cimiteri di guerra, i monumenti ai caduti, i musei, un numero incalcolabile di fotografie e cartoline, riviste e giornali invecchiati dal tempo, ma di grande interesse storico e iconografico, un’immensa bibliografia che comprende la memorialistica di coloro che parteciparono agli avvenimenti e, infine, alcune città divenute simbolo della guerra, tra queste c’è Ypres.


In Flanders' Fields Museum, soldato del 1914. Questo ritratto in grande formato è uno dei tentativi per cercare di creare un ponte tra i soldati che vissero il dramma del saliente di Ypres e il visitatore. Quest’uomo, forse appena richiamato alle armi, ci guarda da una distanza di quasi cento anni. Fotografia di Stefano Viaggio, agosto 2012



Si dice che non ci sia una pietra di Ypres anteriore al 1920: probabilmente è vero, perché la cittadina delle Fiandre venne completamente rasa al suolo. Importanti monumenti del passato medievale vennero distrutti, tra questi la Alle aux draps. Ypres è stata completamente ricostruita cercando di rispettare l’antico impianto urbano della città.


In Flanders' Fields Museum, archelogia della guerra. Coltelli, forchette, forbici, chiavi…come in una moderna Pompei, ad Ypres sono stati ritrovati gli utensili con cui i soldati cercavano di sopravvivere. E’ un’importante testimonianza di cultura materiale che la guerra ci ha lasciato in eredità. Fotografia di Stefano Viaggio, agosto 2012



Ad Ypres, dal 1935, con l’interruzione degli anni della seconda guerra mondiale, alla Porta di Menin ogni sera, alle 20 e 30, viene suonato il silenzio militare e una folla si riunisce per assistere alla cerimonia.
Per lo più si tratta di turisti, ma spesso ci sono delegazioni che giungono da quei quattro angoli della terra che erano parte dell’Impero Britannico all’inizio del Novecento.
Dalla Porta di Menin i soldati partivano per andare in prima linea: inglesi, canadesi, australiani, neozelandesi, indiani, africani. Di fronte a loro c’erano i tedeschi, anche Hitler combatté davanti ad Ypres.

In Flanders' Fields Museum, divise ed equipaggiamento dell’esercito britannico. La nuova impostazione del museo non presenta ricostruzioni con manichini e scene nel vecchio stile del diorama, ma una serie di divise appartenenti agli eserciti che combatterono attorno ad Ypres. Colpisce lo sguardo l’assenza del corpo, quasi come un grande catalogo di spettri. Fotografia di Stefano Viaggio, agosto 2012



Sul “saliente di Ypres” morirono circa 3 milioni di uomini, dal 1914 al 1918.
Luogo strategico per fermare l’avanzata germanica verso i porti francesi della Manica, un fatto che avrebbe consentito alle armate del kaiser di minacciare l’invasione della Gran Bretagna, sul “saliente di Ypres” si combatterono quattro battaglie: la prima nell’autunno del 1914, la seconda nella primavera del 1915, la terza nell’estate-autunno del 1917, la quarta nell’estate del 1918.

In Flanders' Fields Museum, arto artificiale e quaderno da disegno. Un soldato soccorre un suo compagno ferito, in questo semplice schizzo a carboncino si esprime il profondo legame che si creò fra i combattenti della prima guerra mondiale, fra i vivi e i morti, tra coloro che si salvarono e quelli che tornarono a casa profondamente segnati nel loro corpo. Fotografia di Stefano Viaggio, agosto 2012



1914: la prima battaglia di Ypres arrestò l’avanzata tedesca e si svolse nel corso della cosiddetta “corsa al mare”.
1915: la seconda fu scatenata dai tedeschi con l’impiego dei gas asfissianti, ma la nuova arma non fu sfruttata in profondità e l’offensiva si esaurì senza risultati.
1917: la terza fu voluta dal generale Douglas Haig, comandante in capo dall’esercito dell’Impero Britannico, e si protrasse sino all’autunno del 1917, con i soldati che combattevano immersi nel fango. Non portò allo sfondamento del fronte tedesco in Belgio e, insieme all’offensiva sulla Somme del 1916, fu uno dei più gravi disastri nella storia militare della Gran Bretagna.
1918: la quarta si svolse durante l’ultima grande (e disperata) offensiva con cui Ludendorf cercò di vincere la guerra: dopo un primo successo iniziale per i tedeschi, l’offensiva esaurì il suo slancio e si trasformò in rotta sino alla sconfitta finale.

In Flanders' Fields Museum. Una fotografia in grande formato campeggia su un pannello luminoso: i soldati britannici stanno combattendo la Terza Battaglia di Ypres, sotto la pioggia e nel fango. Fotografia di Stefano Viaggio, agosto 2012



Ad Ypres c’è l’In Flanders' Fields Museum che a livello mondiale è una delle più importanti istituzioni per lo studio e la conoscenza della Prima Guerra Mondiale.


In Flanders' Fields Museum, reperti dell’assistenza sanitaria. L’organizzazione sanitaria spesso si rivelò insufficiente e la medicina del tempo a fatica comprese le nuove esigenze imposte dalla guerra industriale. Oggi molti studi sono stati pubblicati sulla sanità nel corso della Grande Guerra. Fotografia di Stefano Viaggio, agosto 2012



Il museo ha riaperto i battenti questa estate dopo due anni di chiusura ed ha subito una profonda revisione dell’immagine della guerra proposta ai visitatori che, nel corso degli anni, hanno superato il milione di persone.

In Flanders' Fields Museum, ricostruzione filmica di una testimonianza sulla guerra. Nel museo rinnovato, diversi filmati con attori in divisa raccontano al visitatore la guerra quotidiana. Abbiamo colto questa immagine riflessa nell’arco gotico di una grande finestra dell’Alle aoux draps. Fotografia di Stefano Viaggio, agosto 2012



Non è la prima volta che visitiamo l’In Flanders' Fields Museum, ci siamo tornati nel mese di agosto e proponiamo alcune fotografie eseguite lungo un percorso museale che conduce dalla Belle Epoque sino alla Ypres di oggi, definita “città della pace”.

In Flanders' Fields Museum, fotografie di uomini sfigurati. Questi volti ci osservano dall’alto di una piccola sezione distinta e appartata. Gli uomini sfigurati nel volto oggi vengono ricordati come una delle eredità più drammatiche della guerra. Il loro trauma fu vissuto nell’isolamento da una società europea che cercava di dimenticare la guerra. Fotografia di Stefano Viaggio, agosto 2012



Le fotografie cercano di restituire un’atmosfera cupa, in sintonia con l’immagine che gli organizzatori hanno voluto dare del dramma collettivo che si svolse attorno ad Ypres.

In Flanders' Fields Museum, la sezione dedicata alle maschere antigas. La maschera antigas è presente in tutti i musei della prima guerra mondiale, nel museo di Ypres occupano un posto importante e il gioco di luci le fa apparire come uno strumento sinistro di un mondo fantastico. Fotografia di Stefano Viaggio, agosto 2012



Rispetto alla precedente organizzazione museale, il museo di oggi ci è sembrato un luogo in cui trionfano le tecnologie multimediali sacrificando emozioni provocate da alcuni effetti sonori, ad esempio l’esplosione improvvisa di una granata da 420 mm che ti lascia attonito al solo pensiero di essere esposti per una settimana intera ad un bombardamento di questo tipo.
Non abbiamo udito il grido disperato del poeta inglese Wilfred Owen sul gas asfissiante che avvolge i suoi compagni, non ci ha accolto all’ingresso del museo una frase di H.G. Wells sulla guerra che inconsciamente tutti gli europei attendevano.

In Flanders' Fields Museum, resti umani ritrovati in un cratere o in una trincea. Attorno ad Ypres ancora si continua a scavare, ancora emergono corpi di uomini a cui si tenta faticosamente di dare un nome. Fotografia di Stefano Viaggio, agosto 2012



Meno emozioni e più video, meno ricostruzioni vecchio stile diorama e più oggetti ritrovati in un immenso parco archeologico nei dintorni della città, nelle trincee cancellate da un secolo fatto di altra storia, di altra guerra e di un faticoso risollevarsi della gente che vive in una terra ancora avvelenata da milioni di bombe.

In Flanders' Fields Museum, archeologia della guerra. Cosa resta della guerra? Ferro ricoperto coperto di ruggine che pure bisogna conservare per ricordare. Fotografia di Stefano Viaggio, agosto 2012



Ma al di là di queste impressioni personali, l’In Flanders' Fields Museum è un luogo da visitare per comprendere non solo e non tanto cosa fu la Prima Guerra Mondiale sul Fronte Occidentale, ma anche come si organizza una ricerca di immagine che si traduce in vera e propria didattica della storia al fine di far conoscere un avvenimento fondamentale per l’umanità, presentato ai visitatori in termini moderni e in sintonia con le nuove tecnologie.

In Flanders' Fields Museum. Una visitatrice accanto ad una fotografia in grande formato di soldati tedeschi. Fotografia di Stefano Viaggio, agosto 2012