Cosa resta oggi della Prima Guerra Mondiale? I siti storici dei campi di battaglia sparsi per mezza Europa, i cimiteri di guerra, i monumenti ai caduti, i musei, un numero incalcolabile di fotografie e cartoline, riviste e giornali invecchiati dal tempo, ma di grande interesse storico e iconografico, un’immensa bibliografia che comprende la memorialistica di coloro che parteciparono agli avvenimenti e, infine, alcune città divenute simbolo della guerra, tra queste c’è Ypres.
Si dice che non ci sia una pietra di Ypres anteriore al 1920: probabilmente è vero, perché la cittadina delle Fiandre venne completamente rasa al suolo. Importanti monumenti del passato medievale vennero distrutti, tra questi la Alle aux draps. Ypres è stata completamente ricostruita cercando di rispettare l’antico impianto urbano della città.
Ad Ypres, dal 1935, con l’interruzione degli anni della seconda guerra mondiale, alla Porta di Menin ogni sera, alle 20 e 30, viene suonato il silenzio militare e una folla si riunisce per assistere alla cerimonia.
Per lo più si tratta di turisti, ma spesso ci sono delegazioni che giungono da quei quattro angoli della terra che erano parte dell’Impero Britannico all’inizio del Novecento.
Dalla Porta di Menin i soldati partivano per andare in prima linea: inglesi, canadesi, australiani, neozelandesi, indiani, africani. Di fronte a loro c’erano i tedeschi, anche Hitler combatté davanti ad Ypres.
Sul “saliente di Ypres” morirono circa 3 milioni di uomini, dal 1914 al 1918.
Luogo strategico per fermare l’avanzata germanica verso i porti francesi della Manica, un fatto che avrebbe consentito alle armate del kaiser di minacciare l’invasione della Gran Bretagna, sul “saliente di Ypres” si combatterono quattro battaglie: la prima nell’autunno del 1914, la seconda nella primavera del 1915, la terza nell’estate-autunno del 1917, la quarta nell’estate del 1918.
1914: la prima battaglia di Ypres arrestò l’avanzata tedesca e si svolse nel corso della cosiddetta “corsa al mare”.
1915: la seconda fu scatenata dai tedeschi con l’impiego dei gas asfissianti, ma la nuova arma non fu sfruttata in profondità e l’offensiva si esaurì senza risultati.
1917: la terza fu voluta dal generale Douglas Haig, comandante in capo dall’esercito dell’Impero Britannico, e si protrasse sino all’autunno del 1917, con i soldati che combattevano immersi nel fango. Non portò allo sfondamento del fronte tedesco in Belgio e, insieme all’offensiva sulla Somme del 1916, fu uno dei più gravi disastri nella storia militare della Gran Bretagna.
1918: la quarta si svolse durante l’ultima grande (e disperata) offensiva con cui Ludendorf cercò di vincere la guerra: dopo un primo successo iniziale per i tedeschi, l’offensiva esaurì il suo slancio e si trasformò in rotta sino alla sconfitta finale.
Ad Ypres c’è l’In Flanders' Fields Museum che a livello mondiale è una delle più importanti istituzioni per lo studio e la conoscenza della Prima Guerra Mondiale.
Il museo ha riaperto i battenti questa estate dopo due anni di chiusura ed ha subito una profonda revisione dell’immagine della guerra proposta ai visitatori che, nel corso degli anni, hanno superato il milione di persone.
Non è la prima volta che visitiamo l’In Flanders' Fields Museum, ci siamo tornati nel mese di agosto e proponiamo alcune fotografie eseguite lungo un percorso museale che conduce dalla Belle Epoque sino alla Ypres di oggi, definita “città della pace”.
Le fotografie cercano di restituire un’atmosfera cupa, in sintonia con l’immagine che gli organizzatori hanno voluto dare del dramma collettivo che si svolse attorno ad Ypres.
Rispetto alla precedente organizzazione museale, il museo di oggi ci è sembrato un luogo in cui trionfano le tecnologie multimediali sacrificando emozioni provocate da alcuni effetti sonori, ad esempio l’esplosione improvvisa di una granata da 420 mm che ti lascia attonito al solo pensiero di essere esposti per una settimana intera ad un bombardamento di questo tipo.
Non abbiamo udito il grido disperato del poeta inglese Wilfred Owen sul gas asfissiante che avvolge i suoi compagni, non ci ha accolto all’ingresso del museo una frase di H.G. Wells sulla guerra che inconsciamente tutti gli europei attendevano.
Meno emozioni e più video, meno ricostruzioni vecchio stile diorama e più oggetti ritrovati in un immenso parco archeologico nei dintorni della città, nelle trincee cancellate da un secolo fatto di altra storia, di altra guerra e di un faticoso risollevarsi della gente che vive in una terra ancora avvelenata da milioni di bombe.
In Flanders' Fields Museum, archeologia della guerra. Cosa resta della guerra? Ferro ricoperto coperto di ruggine che pure bisogna conservare per ricordare. Fotografia di Stefano Viaggio, agosto 2012 |
Ma al di là di queste impressioni personali, l’In Flanders' Fields Museum è un luogo da visitare per comprendere non solo e non tanto cosa fu la Prima Guerra Mondiale sul Fronte Occidentale, ma anche come si organizza una ricerca di immagine che si traduce in vera e propria didattica della storia al fine di far conoscere un avvenimento fondamentale per l’umanità, presentato ai visitatori in termini moderni e in sintonia con le nuove tecnologie.
In Flanders' Fields Museum. Una visitatrice accanto ad una fotografia in grande formato di soldati tedeschi. Fotografia di Stefano Viaggio, agosto 2012 |
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