venerdì 30 settembre 2011

Pogrom

Pogrom
Il 14 febbraio del 1915, sul numero 64 di Le Miroir comparve un servizio fotografico su due pagine e riguardante i crimini commessi dai tedeschi nella città polacca di Lodz.
Venivano mostrate quattro fotografie con donne e bambini uccisi (purtroppo al numero della rivista in nostro possesso manca una pagina e abbiamo a disposizione solo due fotografie); dal modo di vestire di coloro che sono accanto alle vittime, s’intuisce che si tratta di ebrei.
Secondo la rivista francese saremmo di fronte ad immagini di un pogrom compiuto dai tedeschi a danno delle popolazioni ebraiche della Polonia, sull’esempio di quelli organizzati nella Russia zarista.

Le Miroir 14 febbraio 1915, N° 64



Così commentava Le Miroir:
“Come in Belgio e in Francia i campioni della kultur hanno dato agli abitanti della Polonia russa un’idea esatta della dominazione tedesca. Questo documenti che vengono dopo quelli già da noi pubblicati sulla Serbia, non hanno bisogno di parole. Le fotografie sono state eseguite a Lodz dopo che il nemico era stato sconfitto e si ritirava. Si può notare, nella seconda fotografia, che gli spettatori della scena atroce, d’istinto si tengono per mano per conservare il sangue freddo e non fuggire.”

Le Miroir 14 febbraio 1915, N° 64



Il pogrom antiebraico mostrato dalle fotografie, c’era stato sul serio, ma non in Polonia, bensì in Russia, ad Odessa nel 1905. Le fotografie erano state eseguite nelle strade del grande porto sul Mar Nero, al termine di un massacro scatenato con l’appoggio della polizia zarista e che aveva provocato più di trecento vittime.
Il servizio fotografico di Le Miroir era quindi un falso teso a convincere, se ce ne fosse stato ancora bisogno, che i tedeschi erano barbari. La verità venne dimostrata dalla rivista tedesca Illustrierter Kriegs-Kurrier che diffuse, anche al di fuori della Germania, le informazioni sulle vere circostanze in cui le fotografie erano state realizzate.
Questa informazione l’abbiamo appresa consultando il catalogo della mostra “Dead lines - orlog, media en propaganda in de 20stee eeuw”, un evento di grande importanza per lo studio del rapporto tra comunicazione e guerra, organizzato dall’ In Flanders Fields Museum di Ypres nel 2002.

Dal catalogo della Mostra Dead Lines, pag. 19



La vicenda ha in se qualcosa di atroce.
Quasi 20 anni dopo il 1915, in Polonia e negli altri territori occupati dalle armate di Hitler, i tedeschi organizzarono pogrom dello stesso tipo di quello compiuto ad Odessa nel 1905, ma ancor più sanguinosi. Valga per tutti quello avvenuto a Lvow, antica città della Galizia e importante centro di cultura ebraica, il 2 e 3 luglio del 1941 che provocò 7000 morti in due giorni.
[Esiste un filmato eseguito probabilmente da un cineoperatore dilettante tedesco in cui vengono riprese donne e uomini di razza ebraica che subiscono violenze da parte degli ucraini. Sono scene che inchiodano alle loro responsabilità non solo i nazisti, ma anche gli antisemiti e collaborazionisti ucraini che già in passato avevano compiuto stragi del genere. Questo filmato è stato spesso montato in sequenza con altre immagini riguardanti momenti diversi dello sterminio degli ebrei. Per l’esattezza, le immagini di Lvow si riferiscono alla prima fase sterminio, seguita all’attacco contro l’Unione Sovietica nel 1941. Questo filmato esiste su youtube e se ne consiglia la visione per un pubblico informato sulle diverse fasi dell’assassino di più di 6 milioni di ebrei. Le immagini sono molto crude e vanno osservate come un documento importante per la storia dell’umanità e in particolare per quella del Novecento. ]
Nel 1915 in Polonia gli ambienti ebraici, intellettuali e classi agiate, attendevano i tedeschi quasi come dei liberatori dall’oppressione zarista.
Lo testimoniano questi brani tratti del romanzo “La famiglia Moskat”, di Isaac Bashevis Singer, Premio Nobel per la letteratura nel 1978.
“…era bello passare il tempo in mezzo ai libri, alle carte, ai mappamondi, alle sculture d’arte, parlare con i clienti di Klopstock, di Goethe, di Schiller, di Heine. Fin da quando i tedeschi avevano iniziato la loro avanzata verso Varsavia, in città si respirava una certa atmosfera occidentale…-Bronya, amore mio,-diceva Nyunie,-presto ci troveremo all’estero senza nemmeno scomodarci ad attraversare il confine.-…Al mattino fu svegliato da uno squillo del telefono. Era Nyunie. Balbettava:-Abram, m-m-mmazal tov! I tedeschi sono a-a-arrivati! Siamo in P-P-Prussia adesso? -Urrà! Viva! Potztausens!-gridò gioiosamente Abram.-Dove sei, stupidone mio? Andiamo a festeggiare gli unni!”
(da La famiglia Moskat, di Isaac Bashevis Singer, Ed.Tea Due, 1992, pag. 367)
Siamo di fronte ad un completo e perverso rovesciamento della storia: il falso fotografico di Le Miroir, il fatto che i tedeschi solo pochi anni più tardi avrebbero commesso gli stessi crimini che a loro venivano imputati nel 1915, il diverso atteggiamento nei confronti dei tedeschi delle popolazioni ebraiche nel corso della Prima Guerra Mondiale.
Con la Grande Guerra avviene una mutazione culturale profonda: il nemico è demonizzato in nome della religione della nazione e per questo non ci sono scrupoli nella pubblicazione di fotografie non veritiere, tese a dimostrare l’assoluta disumanità del nemico. Le due fotografie che siamo in grado di mostrare sono terribili, eseguite nel 1905 anticipano il futuro: i cadaveri allineati e distesi in terra, i bambini uccisi, lo sguardo carico di rabbia dei giovani ebrei, ma impotente dinnanzi a una secolare violenza.
C’è in esse non solo un’anticipazione di Auschwitz, ma anche, nel modo in cui sono presentate, quella falsità di tanti cinegiornali nazisti che mostravano il Ghetto di Varsavia con sequenze cinematografiche appositamente ricostruite e tese a far credere che gli ebrei stavano bene e se morivano era a causa della loro sporcizia e del loro modo di vivere.
La falsificazione fa parte della storia della fotografia, dalle immagini di Appert dopo la Comune di Parigi a quelle diffuse nella Russia di Stalin, dalla bandiera a stelle e strisce piantata a Jo Ima a quella con la falce e martello sulla porta di Brandeburgo a Berlino nel 1945. Quest’opera di falsificazione si è accentuata nel corso del tempo, sino a mettere in discussione qualunque immagine riguardante un avvenimento importante e in particolar modo drammatico. Ciò non vuol dire negare l’azione di tanti fotoreporter onesti e coraggiosi che spesso, al prezzo della loro vita, hanno documentato la verità. La celebre frase di Robert Capa, uno che ci ha rimesso la pelle, sul fatto che se una fotografia di guerra non ti è venuta bene è perché non ti sei avvicinato abbastanza al combattimento, è ancora valida. Ma la questione non sta nel coraggio del fotografo (può scegliere se rischiare la vita o meno), ma nel cinismo del mercato e su come si è andata organizzando la visione nella civiltà contemporanea: uno sguardo distratto che non richiede verifiche.

domenica 18 settembre 2011

La Prima Guerra Mondiale e il falso fotografico Seconda parte

Quelli che dormono
“Carissima Irma,
ti scrivo questa mia nella speranza che ti giunga non a mezzo mio di quello che la troverà. Fra pochi giorni dobbiamo attaccare i tedeschi per prendere loro delle trincee, so che parto all’assalto, ma non so se tornerò[…]Ho fatto il mio possibile per poter andare in Italia, non potuto: pazienza, morrò per una Patria che non è la mia ma morirò per la difesa della libertà nostra e della giustizia[...] Quelli che mi conoscono e che chiederanno di me li salutate da parte mia. Desidero che nessun ufficio religioso sia fatto per me. Sarei contento di potervi mandare la mia fotografia ma non ho i denari per farmela fare. Infine non piangete per me, sappiate soltanto che morirò facendo il mio dovere e questo vi sia di consolazione.
Agnières, 4 maggio 1915. Viva l’Italia.”
Scritta in un incerto italiano questa è l’ultima lettera che un giovane, Vincenzo Perotti, invia a sua sorella nei giorni che precedono l’offensiva francese nel settore di Arras, del maggio 1915. Perotti era nato in Valle d’Aosta, a Chatillon, ed aveva lasciato la famiglia a diciotto anni. Approdato ad Algeri nell’agosto 1914, il ragazzo avventuroso e temerario si arruola volontario nell’esercito francese e viene mandato a combattere sul Fronte Occidentale: è ferito ad una gamba, conosce diversi valdostani emigrati in Francia che si sono arruolati per difendere la Repubblica, soffre il freddo e la fame, muore tra il 10 e l’11 maggio 1915.

Ultima lettera del soldato Vincenzo Perotti






Vincenzo Perotti nella sua ultima lettera, ci lascia un messaggio drammatico sulla condizione dei soldati che sanno già in anticipo della quasi morte certa negli attacchi verso le trincee avversarie.
L’offensiva di Arras e il tentativo di conquistare la cresta di Vimy, luogo strategico in quella parte del fronte, sarà un ennesimo fallimento e la Legion Etragère, di cui fa parte Vincenzo, è quasi sterminata nei primi giorni dell’attacco. Perotti avrebbe voluto ritornare in Italia, ha sentito le notizie di un prossimo intervento italiano, ma non riesce e rimane bloccato in Francia.
Lo storico inglese Martin Gilbert in “La grande storia della Prima Guerra Mondiale” parla della Legione Straniera in quei giorni.
“Fra le truppe francesi c’era un reggimento della Legione straniera di 3000 uomini: durante l’attacco perse l’ufficiale comandante, colpito al petto da un cecchino, e tutti i comandanti dei suoi tre battaglioni, oltre a 1889 soldati.”
[da “La grande storia della Prima Guerra Mondiale” di Martin Gilbert, Ediz. Mondadori 1999, pag. 201]
La falsificazione della verità di cui ci occupiamo fotograficamente riguarda appunto l’offensiva di Arras, del maggio del 1915.
Questa volta non si tratta di una ricostruzione fotografica a posteriori, ma di fotografie autentiche presentate ai lettori della rivista francese “Sur le vif” in modo particolarmente fuorviante.
Su “Sur le vif” del 5 giugno 1915, N°30, apparve un servizio fotografico in cui venivano mostrati soldati distesi nelle trincee e la didascalia così commentava le immagini.
“Non resistiamo al piacere di pubblicare in doppia pagina un aspetto confortante del coraggio dei nostri meravigliosi poilus che, dopo lotte eroiche, si addormentano e si riposano nella calma assoluta sotto il fuoco nemico. Queste fotografie uniche servono alla storia di questa guerra terribile e perpetuano nel futuro l’eroismo delle nostre truppe.”
[traduzione dal francese di S.V.]

Sur le vif, N°30, del 5 giugno 1915



Osservando queste immagini sorge il dubbio che invece di essere addormentati, i soldati siano morenti o già morti: la posizione dei corpi e lo strano modo con cui le divise sono abbottonate induce a pensare che si tratti di una falsificazione.


Sur le vif, N°30, del 5 giugno 1915



Consultando il quarto volume del 1915 di “The great war. The standard History of the All-Europe conflict”, la rivista inglese che pubblica la fotografia con il Colonnello Degrées du Lou, vediamo le fotografie di “Sur le vif” in un servizio sulla “guerra dei gas”, iniziata dai tedeschi sul fronte di Ypres poche settimane prima della battaglia di Arras.


The great war. The standard History of the All-Europe conflict, vol 4°, 1915



Così la rivista britannica commenta le stesse fotografie.
“Trapped victims of the teutons’ poison gas. The two photographies given above show French soldiers suffering from the initial effects of the poison gas introduced by Germany in to “civilized” warfare”
[Vittime colpite dai gas velenosi teutonici. Le due fotografie offrono lo spettacolo di soldati francesi sofferenti per gli iniziali effetti dei gas tossici introdotti dalla Germania nella guerra di civiltà.]
Se non sono morti questi uomini stanno soffrendo e forse moriranno a causa di un’arma nuova, vietata dalle convenzioni internazionali e dalla quale in un primo tempo è molto difficile difendersi. Se non moriranno come resteranno in vita questi soldati?
Le fotografie dei soldati morenti, spacciati per gente che si riposa, sono tra le poche mostrate ai francesi da una rivista che per essere autorizzata a farlo ha dovuto inventare una menzogna.
Il commento di “Sur le vif” alle fotografie infatti non è causale e corrisponde a un’indicazione della censura militare.
Nel momento in cui si viene in possesso di immagini realistiche sulla morte nel campo di battaglia e non si può dire che si tratta di francesi (i soldati uccisi debbono essere solo quelli nemici), bisogna dire che dormono dopo ore di aspri combattimenti. D’altra parte dei gas è meglio non parlare: anche se l’uso di quest’arma dimostra la malvagità dei tedeschi non bisogna diffondere il panico sull’esistenza di armi letali da cui per ora è difficile difendersi.

La copertina di Sur le vif, N°30, del 5 giugno 1915



“Sur le vif” ha un ruolo minore nel panorama delle pubblicazioni francesi nel corso della Grande Guerra, ma un messaggio di questo tipo risponde ad una logica che sfrutta la grande ambiguità della fotografia. Se commentata in un certo modo, qualunque fotografia può inviare all’osservatore un messaggio completamente diverso dalla situazione che ha documentato.
Sono stati gasati? Bene, questi uomini che respirano a fatica e forse fra poche ore moriranno per soffocamento, non sono delle vittime di una strategia offensiva che giorno dopo giorno si rivela inutile, ma solo eroici soldati che si riposano dopo una giornata di lunghi combattimenti vittoriosi. Gli inglesi vengono in possesso delle fotografie e danno una versione diversa: anche in Inghilterra c’è la censura, ma trattandosi di francesi forse si può chiudere un occhio e offrire una testimonianza drammatica sulla morte in guerra che, in ogni caso, riguarda altri.

mercoledì 7 settembre 2011

La Prima Guerra Mondiale e il falso fotografico Prima Parte

Il caso Desgreés du Loü
“Una falsa notizia nasce sempre da rappresentazioni collettive che preesistono alla sua nascita; questa, solo apparentemente è fortuita, o, più precisamente, tutto ciò che in essa vi è di fortuito è l’incidente iniziale, assolutamente insignificante, che fa scattare il lavoro dell’immaginazione; ma questa messa in moto ha luogo soltanto perché le immaginazioni sono già preparate e in silenzioso fermento. Ad esempio, un avvenimento, una cattiva percezione che non andasse verso cui già tendono le menti di tutti, potrebbe al massimo costituire l’origine di un errore individuale. Ma non di una falsa notizia popolare e largamente diffusa. Se posso servirmi di un termine a cui i sociologi hanno spesso dato, a mio parere, un valore troppo metafisico, ma che è comodo e, dopo tutto, ricco di senso, la falsa notizia è lo specchio in cui –la coscienza collettiva- contempla i propri lineamenti.”
Da “Riflessioni di uno storico sulle false notizie della guerra” di Marc Bloch, Unversale Donzelli, 2005, pagg. 110-111.
Il brano con cui apriamo questo post dedicato al falso fotografico nel corso della Grande Guerra è tratto da “Riflessioni di uno storico sulle false notizie della guerra”, un saggio molto importante del grande storico francese Marc Bloch sulla nascita e la diffusione di falsità e dicerie nel corso del conflitto. Un fatto che lui stesso, in quanto soldato al fronte, poté constatare in prima persona. Marc Bloch non parla delle fotografie pubblicate sulle riviste e la sua analisi si concentra sulla diffusione di informazioni non veritiere e vere e proprie leggende nate nelle immediate retrovie del fronte. L’arrivo, ad esempio, sia a Marsiglia che a Londra di importanti contingenti russi nel 1914, a sostegno degli eserciti anglofrancesi nel corso della ritirata di fine agosto che precedette la Prima Battaglia della Marna.
Notizie false e dicerie circolarono in tutte le nazioni in lotta e vennero utilizzate per tenere continuamente sotto pressione le popolazioni che vivevano lontane dai fronti.
Che ruolo ebbe l’immagine in tutto questo? La fotografia sino alla Grande Guerra era stata ritenuta la prova reale e visibile che un avvenimento era accaduto. Un gesto eroico dipinto poteva essere frutto della capacità del pittore di raccontare a posteriori un particolare avvenimento denso di significati patriottici. La fotografia doveva invece costituire la prova che un gesto, un atto di coraggio o di sacrificio era realmente accaduto.
Non fu così e nel corso del primo conflitto mondiale vennero pubblicate migliaia di fotografie che non raccontavano la verità.
Il massiccio impiego della fotografia e del cinematografo a fini propagandistici durante la Prima Guerra Mondiale, fu conseguenza dello sviluppo dell'editoria e dell'espansione del mercato per magazine illustrati che sempre più pubblicavano fotografie.
Alla vigilia del conflitto si affermarono riviste quasi esclusivamente fotografiche, ma nonostante questa novità l'illustrazione di derivazione pittorica venne ritenuta ancora la forma più elegante per raccontare un avvenimento e, visti i limiti tecnologici che ancora gravavano sulle fotocamere dell’epoca, ad essa fu assegnato il compito di testimoniare il combattimento.
Gli studiosi francesi Yves Le Maner e Alain Jaques, curatori della mostra “Combattants de la Grande Guerre-Photographies de l’Enfer et du Chaos”, tenuta nel centro internazionale di studi La Cupole e dedicata all’immagine della Grande Guerra nella regione francese del Nord-Pas de Calais, nel capitolo introduttivo cercano di chiarire sino a che punto corrisponda a veridicità l’ingente mole di fotografie (e riprese cinematografiche) che mostrano combattimenti, assalti e gesti eroici.
“…durante le offensive, se alcune fotografie registrano l’uscita dei combattenti dalle trincee, nessuna è stata realizzata durante l’attraversamento della terra di nessuno o al momento dell’assalto delle linee nemiche…Le immagini di assalto riprodotte nei magazine illustrati sono nella stragrande maggioranza ricostruzioni realizzate nelle retrovie.”
Dal catalogo della mostra Combattans de la Grande Guerre-Photographies de l’Enfer et du Chaos, curato da Yves Le Maner e Alain Jaques, pag 20, Ed. Ouest France 2009

Copertina del catalogo della mostra in cui è riprodotta una delle fotografie pubblicate nelle pagine 155-156-157







I due studiosi indicano come eccezionalmente veritiere una serie di 5 fotografie che mostrano l’uscita dalle trincee dei soldati britannici il 24 marzo 1917 nel corso dell’offensiva davanti ad Arras. Si trattò di un’azione tesa a comprendere la reazione tedesca ad un attacco più massiccio e a raccogliere informazioni.
Una fotografia pubblicata su L’Illustration N° 3794 di sabato 20 novembre 1915 , è divenuta una delle icone con cui non solo si ricordò la Grande Guerra e la guerra di trincea, ma fu presa a modello per la costruzione di numerosi monumenti ai caduti.
L’immagine mostra il gesto eroico compiuto pochi secondi prima della morte dal Colonnello Desgrées du Loü (1860-1915) che il 25 settembre 1915, nel corso dell’assalto nel settore di Mesnil-les-Hurlus, in Champagne, afferrò la bandiera del 65° reggimento di fanteria che il portabandiera Lebert, ferito a morte, stava per lasciar cadere e si lanciò contro il fuoco nemico. Desgrées du Loü venne subito ucciso insieme agli uomini che gli erano accanto. A distanza di quasi un mese L’Illustration pubblicò in copertina una fotografia di intensa carica emotiva che esaltava il gesto eroico compiuto da Desgrées du Loü e dai soldati del 65° fanteria che non avevano voluto lasciare la loro bandiera nelle mani del nemico.
L’Illustration N° 3794 di sabato 20 novembre 1915

Questa immagine è ritenuta frutto di una ricostruzione e ha dato luogo a recenti polemiche dopo la comparsa sul numero 23 della rivista “14-18 le magazine de la Grande Guerre” di un articolo firmato da Michael Bourlet, un ufficiale del Servizio Storico dell’Armé de Terre.
Bourlet, raccontando la storia di Desgrées du Loü, del 65° fanteria e sottolineando l’importanza simbolica della bandiera, afferma chiaramente che la fotografia è falsa.
I discendenti di Desgrées du Loü hanno contestato l’articolo fornendo prove sull’autenticità della fotografia, tutto questo si è svolto su internet.
( chi vuole approfondire consulti il sito forum 14-18 digitando Desgrées du Loü )
La fotografia venne diffusa anche sulle riviste illustrate delle nazioni dell’Intesa e presentata come veritiera. L’abbiamo trovata sul sesto volume di “The great war. The standard History of the All-Europe conflict”, una pubblicazione britannica edita nel corso della Grande Guerra da H.W. Wilson e J. A. Hammerton e, all’epoca, di livello pari alla più famosa L’Illustration.

The Great War The standard History of the All-Europe conflict, Vol. 6°, 1916



La fotografia è vera o falsa? E’ difficile pensare che durante un assalto così sanguinoso e in cui le mitragliatrici tedesche facevano strage (tra morti, feriti e dispersi i francesi ebbero 700 perdite) un altro soldato abbia potuto fotografare utilizzando le macchinose fotocamere dell’epoca. Un altro elemento non convince: il soldato in primo piano non solo ha la baionetta innestata, ma tiene il fucile in posizione di attacco. Sul margine di sinistra un altro soldato porta il fucile in spalla ed anche lui è esposto al fuoco avversario. E’ un po’ strano. Inoltre il protagonista dell’immagine volge il capo all’opposto dell’obbiettivo e Desgrées du Loü non si vede in volto. Tutto può accadere in momenti simili, ma è un dubbio in più che si aggiunge.

The Great War The standard History of the All-Europe conflict, Vol. 6°, 1916, pag. 95






La didascalia pubblicata su “The great war. The standard History of the All-Europe conflict” chiarisce le motivazioni che spinsero L’Illustration a compiere questa operazione mediatica.
“Uno scultore che desiderasse realizzare un monumento di guerra francese difficilmente troverebbe una composizione più efficace del compatto gruppo colto dalla macchina fotografica in questa notevole fotografia. I soldati stavano balzando fuori dalla trincea per un attacco. L’ ufficiale comandante teneva alta la bandiera con i colori del reggimento: il colonnello Desgrées du Loü cadde mortalmente ferito dopo aver condotto i suoi uomini all’assalto. I soldati della -garde du drapeau- furono tutti uccisi o feriti, sebbene il vessillo venisse salvato.”
Questa fotografia è la base per costruire un’immagine che si espliciterà nella pietra e nel bronzo dei monumenti ai caduti: l’impeto dei soldati e soprattutto il gesto di salvare la bandiera del reggimento sono atti che risiedono nell’inconscio collettivo e che rendono credibile un’immagine sulla quale possono essere espressi molti dubbi. Il momento in cui fu pubblicata poi non deve essere sottovalutato: le offensive del 1915 stavano costando alla Francia migliaia e migliaia di caduti. Non servivano a sbloccare la situazione, ma venivano scatenate ugualmente in una logica offensiva votata la fallimento. Se la fotografia è falsa essa racchiude però due elementi fondamentali: il coraggio dei soldati e il gesto che salva l’onore. Due idee che potevano essere accettate e far divenire questa fotografia un punto di riferimento per l’intera collettività.