Il fascicolo conservato presso l'Archivio Centrale dello Stato. Le immagini dei documenti in esso contenuti non saranno pubblicate in quanto su di esse gravano dei diritti di pubblicazione. |
Un episodio sconosciuto
avvenuto ad Aosta durante la Prima Guerra Mondiale e citato brevemente in studi più generali dedicati
all'Esercito Italiano negli anni 1915-1918, riemerge dal passato esaminando i
documenti conservati presso l'Archivio Centrale dello Stato e contenuti in un
fascicolo dal titolo "Aosta- Ammutinamento degli Alpini del 4°
reggimento". L'analisi della documentazione svela una vicenda che si
inserisce nella protesta contro la
guerra che si manifestò in modi diversi e culminò durante la disfatta di
Caporetto, quando tanti soldati decisero di tornarsene a casa. Ad Aosta nel
novembre del 1915 tra gli alpini serpeggiò il malcontento ed esplose la rivolta
per il trattamento a loro riservato dalle autorità militari e questo fatto, unito
ad altre proteste avvenute nei paesi di Oulx e di Sacile e che ebbero come protagonisti sempre gli
alpini, mise in forte preoccupazione i
comandi militari e il Governo Salandra per la tenuta complessiva dell'Esercito
a pochi mesi dall'entrata in guerra dell'Italia.
Copertina della rivista francese Le Pays de France del 1915 in cui si rappresenta la guerra combattuta dagli Italiani sulle Alpi Orientali |
Che cosa accadde ad
Aosta? In seguito alle prime due sanguinose battaglie dell'Isonzo ad Aosta
vennero inviati numerosi alpini feriti e ammalati per trascorrere un periodo di
riposo in vista di essere inviati nuovamente al fronte. Improvvisamente fu
comunicato ai soldati che la data della partenza era stata fissata per la
mattina del 26 novembre: la sera del 25,
quando fu data agli alpini la libera uscita i soldati si ribellarono
all'ordine di tornare in caserma. Chi era rientrato uscì nuovamente per le
strade, furono infranti vetri e lampioni della caserma, vennero liberati
soldati detenuti e circa 400 uomini invasero le strade di una cittadina
addormentata in una notte fredda di inizio inverno. I ribelli cercarono di
bloccare la partenza dei treni rovesciando qualche carrello sui binari della
stazione, poi lentamente la protesta rientrò e i soldati si lasciarono
convincere dagli appelli degli ufficiali e dalla paura per le conseguenze del
loro gesto. I soldati del 4° Alpini partirono regolarmente per il fronte la sera
del 26, 24 furono i soldati deferiti al Tribunale Militare di Torino, la città
si mantenne calma e i cittadini che si recarono alla stazione assistettero con
un silenzio, definito insolito, alla partenza della tradotta.
La guerra in alta montagna vista in un'illustrazione della rivista francese Le Panorama de la Guerre del 1915 |
Su questo
episodio calò il silenzio e i giornali valdostani del tempo non ne parlarono. La
figura dell'alpino, fedele montanaro e difensore del re e dalla patria, fu
affidata ad una memoria che il fascismo costruì per giustificare se stesso e la
sua andata al potere, ma che non fu rivista e aggiornata nemmeno nei primi
decenni della Repubblica nata dalla Resistenza. Poi il lavoro degli storici
fece luce su cosa era stata realmente la Grande Guerra per la giovane nazione
italiana e oggi, in questo centenario, le cose vengono osservate in modo diverso.
L'analisi dei documenti a nostra disposizione e che riguardano questo episodio
di rivolta, mostra un'altra faccia della Grande Guerra. L'Italia di chi aveva
voluto l'intervento nel conflitto europeo che era già in corso da un anno, sembra
che stesse combattendo due guerre: una contro il secolare nemico austroungarico
e un'altra contro un popolo italiano ritenuto inaffidabile, influenzato dalla
propaganda socialista e che si sentiva estraneo alla guerra liberatrice per le
province irredente, propugnata sulle piazze dalla piccola e media borghesia
interventista. I montanari delle vallate valdostane e piemontesi che
combatterono nel corpo degli alpini non avevano un atteggiamento molto diverso
da quello del vasto mondo contadino italiano per cui il concetto di patria e di
Italia era ancora molto vago. Emerge dalla lettura delle relazioni che vennero
stilate a partire 26 novembre 1915, la preoccupazione delle autorità militari
per la scarsa efficienza del corpo ufficiali e un sospiro di sollievo per il fatto
che tra le cause della rivolta non ci fosse l'agitazione di gruppi politici
contrari alla guerra, i socialisti, i cattolici oppure gli anarchici. La
responsabilità venne affidata al troppo vino bevuto nelle bettole della città e
a qualche esaltato che, sempre nei fumi del vino, aveva corrotto ed eccitato
gli animi. Purtroppo in casi come questi i documenti che ci restano oggi sono
quelli ufficiali e scritti da coloro che nella guerra ci credevano oppure
dovevano farla fare agli altri, cercando con tutti i mezzi di mantenere
l'ordine e la disciplina tra i soldati. Nel fascicolo conservato presso
l'Archivio Centrale dello Stato, di questo episodio non ci restano le
testimonianze dei soldati, non ci sono gli atti del tribunale che processò e
condannò i responsabili. Se si esaminano i documenti ufficiali non si può fare
a meno però di notare come qualcuno, tra le autorità, individuasse anche le
reali cause della rivolta che covava da tempo e il cui esplodere fu addebitato
ai fumi del vino. I documenti a nostra disposizione sono i seguenti: cinque
telegrammi, una relazione del Generale Zupelli, Ministro della Guerra, al
Presidente del Consiglio Salandra, un'altra relazione del Tenente Generale Comandante la Divisione
Territoriale, inviata il 27 novembre, un documento firmato dal Prefetto di
Torino Verdinois e datato 30 novembre, un altro, sempre di Verdinois, in cui si
giustifica l'operato del Sottoprefetto di Aosta Pettinari e un'ultima relazione
del Commissario di Pubblica Sicurezza Tabusso in cui si fa un'analisi, anche
politica, della situazione ad Aosta e che individua le cause precise della
rivolta.
Le Pays de France, autunno del 1915, due fotografie illustrano la guerra degli italiani in montagna. |
Nel post succesivo presenteremo alcuni brani tratti dai testi dei documenti conservati presso l'Archivio Centrale dello Stato.
Nessun commento:
Posta un commento