domenica 20 marzo 2011

1916-La guerra industriale-Immagini della Sezione Fotografica dell’Esercito francese

“La guerra aveva un costo elevato.”
Così scrive lo storico britannico David Stevenson.
“Ogni pallottola e ogni bomba dei milioni sparati aveva un cartellino del prezzo. Ogni soldato doveva essere pagato (anche se molto poco), vestito e nutrito, trasportato avanti e indietro dal fronte e curato se ferito o malato, il suo equipaggiamento doveva essere fabbricato, provato e quindi trasportato con il treno che richiedeva combustibile e manutenzione o da animali che necessitavano di foraggio e riparo…Il costo totale del conflitto è stato valutato in 208.500.000.000 di dollari ai prezzi del tempo di guerra o 82.400.000.000 dollari ai prezzi del 1913 cioè prima che il livello dei prezzi della maggior parte dei Paesi arrivasse quanto meno a raddoppiare.”
(da La Grande Guerra, una storia globale, Ed. Rizzoli 2004, pag. 280)
Il quadro offerto da Stevenson descrive molto bene la Prima Guerra Mondiale come un conflitto che mobilitava per intero le risorse industriali di ogni singola nazione che vi partecipava e che, di conseguenza, agiva come un potente motore di trasformazione della società europea.

L’immagine di questo enorme sforzo industriale è quella degli altiforni e delle migliaia di proiettili prodotti in quegli anni. Sono fotografie che compaiono ripetutamente nelle riviste pubblicate durante la guerra e vogliono essere una dimostrazione di forza, debbono infondere sicurezza.

Le fotografie offrono anche una grande testimonianza sul lavoro all’interno di officine e industrie sempre più grandi e che spesso sorgono in conseguenza della guerra. E’ una condizione di lavoro militarizzata e dura in cui compaiono per la prima volta le donne e questo, nonostante bruschi ritorni indietro negli anni del dopoguerra, è un fatto di enorme importanza nella storia dell’umanità.

In Francia nel 1916, venne pubblicato il primo volume di “La guerre”, una raccolta di fascicoli contenenti fotografie eseguite dalla Sezione Fotografica dell’Esercito Francese. L’editore era la Libreria Armand Colin, Boulevard Saint Michel, 103, Parigi, ed ogni fascicolo, dedicato a diversi aspetti della guerra, era accompagnato da un’introduzione del giornalista Ardouin-Dumazet. Le didascalie, tradotte in inglese, tedesco, spagnolo e portoghese, indicavano che la pubblicazione era indirizzata anche ai paesi neutrali allo scopo di propagandare la lotta contro la barbarie tedesca.

Le fotografie di questo volume si riferiscono al 1915, ma il volume deve esser stato pubblicato nella metà del 1916; Ardouin-Dumazet, come vedremo, fa un esplicito riferimento alla battaglia in corso a Verdun.
Victor-Eugène Ardouin-Dumazet (1852-1940) era un giornalista noto nella Francia dell’epoca per aver pubblicato libri sui viaggi ed aver collaborato alle famose guide turistiche Joanne. Tra il 1893 e il 1907, aveva redatto 70 volumi del “Voyage en France”, una guida non solo turistica delle regioni e delle città francesi grandi e piccole, la cui lettura costituisce oggi una fonte preziosa per la conoscenza della realtà sociale e produttiva di questa nazione.
La Sezione Fotografica dell’Esercito Francese nasce nel maggio 1915 ed è preceduta da quella cinematografica (febbraio 1915). Ha l’obbiettivo di sistematizzare la realizzazione (e la pubblicazione) delle fotografie eseguite sin dai primi mesi della guerra in modo spontaneo dai fotografi richiamati alle armi e pubblicate sulle riviste, sfuggendo spesso al controllo delle censura. La preoccupazione principale dell’Esercito è combattere un eventuale uso a fini spionistici delle fotografie: i fotografi arruolati vengono inquadrati in un’apposita sezione che emana ben precise istruzioni su come, cosa e dove fotografare. Le missioni fotografiche al fronte sono accompagnate da militari del controspionaggio (II° Bureau) e il fotografo deve occuparsi dell’intero processo produttivo, dalla ripresa all’archiviazione. Il compito della Sezione Fotografica è quello di fornire all’Esercito una precisa documentazione per la propaganda, sia all’interno sia verso i paesi neutrali, e una catalogazione dei monumenti distrutti dal nemico. Quest’ultima funzione ha anche un risvolto politico-culturale: l’obbiettivo è la rappresentazione della barbarie del nemico tedesco in funzione delle future riparazioni quando la guerra sarà finita.
Le fotografie che presentiamo sono accompagnate da brani tratti dal commento scritto da Ardouin-Dumazet e provengono da un fascicolo intitolato “Armes et munitions”, dedicato alla produzione bellica in Francia.

Ardouin-Dumazet nell’introduzione al primo fascicolo, descrive la situazione nuova prodotta da questa guerra di lunga durata.
“La creazione di trincee, l’intervento di una nuova artiglieria, di macchine terrificanti, gas asfissianti, aerei, hanno da tempo trasformato le condizioni di vita del soldato al fronte. Coloro che pensavano alla guerra sulla base della loro partecipazione a grandi manovre, si trovano dinnanzi a un abisso tra la loro concezione e la realtà”
da “La vie du soldat”
Ardouin-Dumazet aprendo il suo commento al fascicolo “Armes set munitions”, rileva l’insufficienza dell’esercito francese in una guerra in cui l’arma decisiva è l’artiglieria.
“Quando è scoppiata la guerra, nessuno poteva supporre che il consumo di munizioni sarebbe stato così pesante, che l’artiglieria, recentemente in crescita, sarebbe stata comunque insufficiente per il numero di pezzi. Tuttavia era stato fatto un grande sforzo; il nostro Stato Maggiore di fronte ad una richiesta ogni giorno crescente, aveva accumulato proiettili e aumentato la produzione di esplosivi. Erano nati reggimenti di artiglieria da campagna e di artiglieria pesante. Ma se le munizioni erano stimate in quantità sufficiente, le nuove formazioni esistevano solo sulla carta. Le batterie pesanti non erano equipaggiate in modo adeguato e quelle previste non erano state organizzate.”

Non mancano nell’articolo le lodi a cannone calibro 75 a tiro rapido, vanto dell’esercito francese.
“Il 75 non tradiva le speranze, in numero eguale, se non inferiore, aveva la netta supremazia sul 77 tedesco: i suoi effetti furono terrificanti, terribili e lo sono ancora. Ma il nemico era equipaggiato con un numero infinitamente maggiore di 77; aveva una quantità enorme di pezzi pesanti la cui portata superava di molto quella dei nostri cannoni. Era un materiale d’assedio che poteva avere ragione del cemento più spesso e delle corazze meglio temperate...”
Questo riferimento al cemento ed alle corazze d’acciaio è dovuto alla facilità con cui l’artiglieria pesante tedesca aveva distrutto le fortezze belghe di Namur e Liegi. A quasi due anni dallo scoppio della guerra, la situazione economica della Francia si stava risollevando dal disastro subito con l’occupazione delle regioni più ricche di materie prime.
“Dai primi giorni dalla guerra i nostri migliori centri metallurgici erano caduti nelle mani dei tedeschi. I bacini minerari di Briey e di Longwy, i più ricchi al mondo di ferro, erano occupati: fornivano a Essen e alle grandi fabbriche tedesche il materiale necessario per fabbricare cannoni e proiettili. E insieme al minerale c’erano gli stessi alti forni e le fucine. Le gigantesche fucine di Longwy, Mont Saint-martin, Gorcy e di Villerupt, la gloria delle nostre industrie , erano occupate…”

”Venne il turno delle grandi officine di ferro e acciaio nel Nord: Maubege, Hautmont, Denain, Anzin, Valenciennes, Douai, Albert. Insomma l’industria metallurgica francese era stata quasi interamente conquistata, anche perché le fabbriche del Centro: Saint-Dizier (ancora nell’Est), Le Creusot, Montluçon, Saint Etienne, Saint Chammond, nel corso del tempo erano diventate tributarie di Briey, da cui si approvvigionavano esclusivamente di minerale estratto dalle miniere…”
Questa situazione esigeva un grande sforzo e capacità inventiva. Ardouin-Demauzet descrive questo processo di mutazione economica e culturale con efficacia, anche se il suo stile non è esente dall’enfasi che contrassegnò il giornalismo impegnato nella difesa degli interessi nazionali. E’ chiaro che in questo scritto ogni riferimento alla durezza degli orari di lavoro e alla limitazione dei diritti sindacali e democratici è del tutto assente.
“Non soltanto era necessario rimpiazzare il materiale perduto o danneggiato, le munizioni impiegate al di là delle previsioni: bisognava rispondere numero per numero, superarlo anche... Voci ardenti si fecero sentire stimolando le lentezze dell’amministrazione, l’inerzia, trionfando su routine e pregiudizi...Ciò che restava delle fabbriche fu militarizzato, se ne crearono altre…”

“Gli arsenali, Bourges, Tarbes, Lyon, Puteaux e tanti altri crebbero enormemente. Gli arsenali della marina furono utilizzati per i bisogni dell’armata di terra. Ma tutto questo non è niente al paragone delle risorse fornite dall’industria privata. I grandi stabilimenti furono ingranditi, a volte in modo prodigioso, altri sorsero dal niente per impiegare migliaia di braccia. Fabbriche specializzate in lavorazioni speciali per automobili, edilizia, macchinari, chincaglieria si sono messe a fabbricare proiettili…”

“Nella periferia di Parigi una fabbrica occupava 3000 operai per le automobili, ora ne impiega 15.000 per fare proiettili. Un’altra, sorta in pochi giorni, occupa 5000 operai…Lungo i fiumi e i torrenti, nelle lontane valli delle Alpi, dell’Auvergne, dei Pirenei, dove la forza motrice abbonda, s’incontrano tante piccole fabbriche che lavorano per la difesa nazionale…”

“Lyon, la città della seta, dove l’industria metallurgica era, è vero, in pieno sviluppo, è diventata uno dei grandi centri per la difesa nazionale. Le sue fabbriche di prodotti chimici, in competizione con quelle tedesche, sono utilizzate per alimentare la produzione di esplosivi. La grande città, posta tra il Rodano e la Saone, è si è trasformata in un gigantesco arsenale. Alla stessa opera lavorarono i centri classici della metallurgia…La loro principale attività è indirizzata alla produzione di armi: cannoni e mortai, di cui il calibro, la portata e la forza distruttrice è stata prodigiosamente accresciuta. Da qui escono in gran numero mitragliatrici di cui all’inizio avevamo un numero apparentemente rispettabile, ma ridicolo a paragone di quello di cui disponevano i tedeschi…”

“Si è potuto vedere nel corso della battaglia di Verdun il ruolo considerevole giocato da queste armi nel famoso tiro di sbarramento in cui sono state spezzate le ondate degli assalti tedeschi e sono state coperte di migliaia di cadaveri le colline dell’Argonne orientale, le pendici della Cote du Poivre, di Douaumont, di Vaux…”

“Lo sforzo compiuto va al di là dell’immaginazione e tuttavia è insufficiente: sono necessari sempre più cannoni, mitragliatrici fucili, cartucce...La mano d’opera maschile è diminuita, soprattutto negli elementi più resistenti alla fatica fisica, si sono fatti ritornare dal fronte gli operai indispensabili, ad esempio i minatori di carbone…ma ciò non è stato sufficiente. E’ stato necessario fare appello alla mano d’opera femminile che si è mostrata adatta al rude lavoro dell’industria meccanica, soprattutto quando si esige precisione e destrezza. Più di centomila donne e ragazze sono oggi impiegate in lavori che sembravano da sempre interdetti al sesso femminile…”

“Queste fabbriche, queste lavorazioni che richiedono decine e decine di milioni non sono previste senza profitto per l’avvenire, continueranno a lavorare dopo la guerra, abbandonando evidentemente la produzione di strumenti di morte per opere di pace.”

“Le fotografie di questo fascicolo permettono ai lettori di rendersi conto di uno dei settori principali di questo formidabile lavoro delle fabbriche di guerra…sfogliando queste pagine ci si renderà conto della varietà e dell’intensità dello sforzo necessario per alimentari i tiri di sbarramento, le concentrazioni di fuoco, le raffiche di cui i comunicati segnalano ogni giorno l’impiego.”
Ardouin-Dumazet
dal Capitolo VII “Armes et munitions“




lunedì 7 marzo 2011

La conquista di Gorizia nelle immagini fotografiche de “Il Mondo”-Terza parte-La conquista di Gorizia.

Il numero 33 del 13 agosto 1916, pubblica in copertina la fotografia di un sommergibile tedesco catturato dagli inglesi ed esposto al pubblico londinese sul Tamigi: sotto la testata, in evidenza con caratteri rossi, l’annuncio “In questo numero: due rarissime fotografie del bombardamento i Fiume e i documenti della conquista di Gorizia”.


La seconda copertina è dedicata ad un altro martire dell’irredentismo italiano, Fabio Finzi, fotografato al fronte in un posto d’ascolto telefonico.

Un articolo di Enrico Cavacchioli è dedicato alla conquista di Gorizia, il titolo è “Gorizia riconsacrata”. L’articolo è corredato da quattro fotografie, due mostrano vedute dalla città, una la chiesa sotto il castello e un’altra soldati italiani con sullo sfondo Gorizia, il titolo è “ricordi delle ore di battaglia, in faccia a Gorizia contesa dal cannone austriaco”.(in post Gorizia II parte)
Cosa scrive Cavacchioli? Per comprendere e accettare le sue parole, occorre calarsi in una situazione di attesa per una vittoria che non veniva in una guerra che, per la sua lunghezza, stava già facendo scricchiolare il delicato equilibrio politico italiano. C’era poi un elemento di vitale importanza per l’andamento della guerra: i soldati erano stanchi di morire inutilmente e questo lo sapevano sia i generali che gli esponenti della politica. Scrive Cavacchioli: “ieri quando più il sole cacciava il suo sprone implacabile nel fianco delle città riarse, vuote d’uomini, ma tumultuose di fatica, e l’anima supina delle folle sembrava incominciasse a cristallizzarsi nella rassegnazione grigia dell’attesa, la visione di Gorizia inchiodata dai cannoni italiani si è sparsa a ventaglio come un’esplosione di magnifica allegrezza.” La notizia guarisce tutti i mali della guerra. Cavacchioli da alla vittoria di Gorizia un’immagine ideale che “come un personaggio di epopea, come un indefinibile fantasma, cementato di desiderio, sorto dall’orchestra umana dei lamenti, dagli urli dei feriti, dall’orrore della battaglia cieca, dalle raffiche dei proiettili, dal rombo delle esplosioni, dallo schianto delle bombarde, Ella continuava con passo calmo e maestoso il cammino grave e solitario”. Ora tutto sembra finito, si sciolgono le campane e “ogni lutto s’inghirlanda…e per questa angoscia che diventa fiamma, per questo singhiozzo che si smorfia in un sorriso, oggi esultano gli italiani, mentre Gorizia si sveglia nell’ora della risurrezione”. Sembra che la guerra sia finita, o almeno è questa l’idea che si vuol dare di questa vittoria che si rivelerà non solo grondante di sangue, ma che sarà quasi vanificata dall’impossibilità di proseguire l’offensiva. In una delle fotografie che corredano l’articolo di Cavacchioli ci sono i morti, è quella con il corpo di due caduti in primo piano e Gorizia sullo sfondo. Non proviene dal Servizio Fotografico ma è copyright de Il Mondo.

Anche l’immagine più famosa di questo episodio della Grande Guerra, la stazione di Gorizia è di proprietà de “Il Mondo”. Sulla stazione di Gorizia verranno pubblicate diverse fotografie ed è significativo che sia proprio una stazione a divenire il simbolo di una vittoria: cosa c’è più importante di una stazione, in questa guerra in cui il controllo delle linee di approvvigionamento di uomini e mezzi risulta di vitale importanza?

Una fotografia aerea mostra Gorizia dal cielo, la città è suddivisa in 18 punti con i centri nevralgici più importanti. Un’altra è dedicata all’arma definita “trionfatrice”, è il lanciabombe. L’arma non è novità, ma viene impiegata per la prima volta dagli italiani.

Nella sua consueta rubrica Innocenzo Cappa ricorda che è passato un mese dal sacrificio di Battisti.
È un articolo che va letto con attenzione perché in esso ritroviamo tutti quegli elementi di “guerra civile” che avevano caratterizzato il periodo tumultuoso precedente l’entrata dell’Italia nella Prima Guerra Mondiale. L’Italia è geograficamente tesa nel Mediterraneo, scrive Cappa, e quindi circondata da popoli forti di cui alcuni oggi sono amici mentre ieri erano nemici “la gente slava, la tedesca, l’inglese, la Francia! Chi può fare il passo con simili energie, se non si affretti di molto? E chi può sperare a lungo di giri di valzer fra simili danzatori della morte e della gloria?” E qui Cappa lancia l’affondo con i nemici interni, quelli che poi saranno chiamati “disfattisti” e oggetto di un’odiosa campagna politica, tesa ad occultare le gravi responsabilità nella conduzione della guerra dopo la disfatta di Caporetto. “Ma avevamo forse noi, noi stessi, in casa nostra, una religione nazionale del nostro compito nel mondo? Ah! Tristi ricordi! I più internazionalisti (curioso internazionalismo) insegnavano il disprezzo della politica estera in nome delle tariffe. I più ortodossi (strana ortodossia) ci insegnavano, con don Abbondio, che è meglio non infastidire i potenti. I più romantici (romanticismo che si è riabilitato con il sangue dei volontari) giuravano che la guerra si sarebbe estinta all’indomani dell’abolizione di ogni spesa militare…Chi conosce il nostro popolo delle campagne e delle città, chi non vuol fingere di ignorare la subdola sottigliezza di certa politica realistica, senta alla fine che, dopo la tempesta di sangue della guerra, bisognerà aver acquisita almeno questa fierezza: il nostro posto di nazione non ci deve essere regalato più da nessuno. E non si tratta conciò di fare dell’idealismo. Non è il delirio di Don Chisicotte…E’ una rivolta idealistica e realistica insieme.”
In queste parole c’è soprattutto l’astio verso coloro, Giolitti e i liberali che avevano retto le sorti della politica italiana prima dell’entrata in guerra e avevano creduto di poterla tener fuori dal conflitto europeo, unito all’anticipazione di un futuro in cui sulla realtà prevarrà l’immaginazione. Questo atteggiamento mentale porterà non solo al fascismo, ma alla sottovalutazione degli avversari con l’entrata nella Seconda Guerra Mondiale. Bisogna aggiungere che tutte queste parole e grida di vittoria saranno vanificate un anno dopo, con Caporetto e il crollo di una parte dell’esercito italiano.
La copertina del numero 34, 20 agosto, è dedicata al re e al duca di Aosta, comandante della III armata che ha condotto l’azione contro Gorizia. In una fotografia di grande formato c’è il duca che entra in Gorizia: è un’immagine interessante perché c’è anche un cadavere accanto alle rovine. Il duca lo osserva e un componente del suo seguito si tappa il naso con un fazzoletto. Questa è forse l’immagine più realistica della guerra a Gorizia, con i morti e la puzza dei cadaveri in putrefazione (provenienza Reparto Fotografico).

Ancora una fotografia della stazione, semidistrutta e in stato di abbandono vista l’erba alta che corre lungo i binari.

Su due pagine, con il titolo “Gorizia accoglie nella sua vita nuova le truppe italiane vittoriose”, sei immagini in cui di vita nuova ce n’è ben poca. I soldati italiani entrano nella città e nessuno li festeggia, gli abitanti o sono fuggiti oppure sono rintanati nelle cantine nel timore che tornino gli austriaci e riprenda la battaglia. In quella eseguita in Corso Francesco Giuseppe il 9 agosto, c’è il cadavere di un soldato. Qualcuno pietosamente gli ha coperto il volto.

Sulla seconda copertina del numero 35 compare Cadorna, insieme ai suoi ufficiali osserva il panorama e sta dicendo qualcosa, forse stanno discutendo su come andare oltre Gorizia, un fatto che non avverrà a causa delle munite difese austriache sulle montagne che stanno dietro la città.

E giungiamo a quattro fotografie che non sono eccezionali, ma che rivestono interesse per come vengono presentate.

Per Il Mondo si tratta di visioni di “tragica bellezza”. Sono le rovine delle posizioni austriache, è la tragica bellezza della guerra evocata nel manifesto futurista del 1909. Luoghi in cui migliaia di uomini hanno perso la vita, un paesaggio sconvolto non solo dalle granate e dall’artiglieria di grosso calibro, ma anche dal quella semina d’odio che in futuro produrrà anche le foibe.

Nella rubrica “La guerra europea” un lungo spazio è dedicato alla conquista di Gorizia, viene ribadita l’idea iniziale di Cadorna di considerare l’occupazione della città solo come una tappa e si ammette che il compito di proseguire nell’avanzata non è semplice “Queste difficoltà sono ancora aumentate per avere gli austriaci in loro possesso, come abbiamo visto, le importanti posizioni del Monte Santo e del San Gabriele, le quali con la loro accanita resistenza ostacolano un’avanzata italiana verso l’altipiano della Banizizza, la quale avrebbe il duplice scopo di poggiare saldamente l’ala sinistra sulla riva orientale dell’Isonzo e di proteggere , con azione offensiva verso l’altipiano della Banizizza, il centro operante a oriente della piana di Gorizia”. L’anno seguente Cadorna proverà a sfondare sulla Banizizza, promettendo una vittoria definitiva sull’Isonzo, i sodati ci crederanno e quando vedranno che questo ulteriore bagno di sangue si rivela inutile, coglieranno l’occasione di Caporetto per dire basta, la guerra è finita, andiamo a casa.



sabato 5 marzo 2011

Gorizia 1916 nelle immagini fotografiche de “Il Mondo” Seconda parte La struttura della rivista.

Com’è strutturata la rivista “Il Mondo”? Esaminiamo il numero precedente a quello in cui compaiono articoli e fotografie su Gorizia conquistata dalle truppe italiane.
“Il Mondo” (N° 32 del 6 agosto 1916) si presenta al lettore in una forma che trae ispirazione dalla rivista francese “L’Illustration”, ma con una veste più moderna.




Nel 1916 “L’Illustration”, già da alcuni decenni, ha una copertina nutra, in cui non ci sono immagini. “Il Mondo” invece è già un rotocalco, con due copertine in cui sono pubblicate due fotografie diverse e di grande formato. Tra le due c’è un ampio spazio pubblicitario con ben due pagine e la parte superiore della seconda, è occupata dalla rubrica fotografica “Attraverso gli scacchieri della guerra europea”. In questo caso ci sono tre fotografie provenienti dal fronte della Somme. L’apertura fotografica della seconda copertina è dedicata alla visita del ministro Leonardi Bianchi all’Istituto Fanny Finzi Ottolenghi, un laboratorio per la costruzione di arti per i mutilati di guerra. Segue un racconto firmato “donna Paola” e sulla pagina seguente due fotografie; una mostra la camera da letto di un appartamento londinese arredata, è scritto nella didascalia, in stile “futurista”. Una pagina sulla guerra con notizie da vari fronti a cui segue una fotografia di grande formato proveniente dal Reparto fotografico del Comando supremo: un lungo cannone è puntato contro gli avversari, il titolo è “La battaglia tra l’Adige e il Brenta: un grosso calibro piazzato sul Novegno”.

Due pagine sono occupate da fotografie di grande formato: Vittorio Emanuele Terzo che insieme al Presidente del presidente consiglio Boselli, esce dalla chiesa di una città vicina al fronte dove è stata celebrata una messa in ricordo di Umberto Primo e tende militari in un paesaggio di rovine. Il titolo è “Truppe di rincalzo attendere in Asiago già battuta dal cannone austriaco” (evidentemente lo spazio per il riquadro era troppo piccolo per rispettare correttamente la lingua italiana).



Viene poi una rubrica tenuta da Innocenzo Cappa (1875-1954, senatore del regno dal 1913, poi fascista e dichiarato decaduto nel secondo dopoguerra per aver sostenuto il fascismo e la guerra dentro e fuori il Parlamento), con considerazioni sulla guerra sull’esempio di L’Illustration con gli articoli di Henry Lavedan. Ancora un altro racconto a puntate illustrato con disegni (l’autore è Dario Niccodemi). Le pagine conclusive di questo numero contengono una rubrica fotografica sportiva dal titolo “Attraverso gli sports”, un altro racconto e una rubrica dal titolo significativo: “L’ora che si vive nell’affrettata vicenda del Mondo”. E’ composta dal 6 fotografie riguardanti avvenimenti e personaggi di attualità e provenienti da varie parti del pianeta.



Ci sono anche due pagine con lo spartito musicale di “La cavalcata della morte” (!), tratta da “Le illusioni lunari” di Francesco Malipiero. In ultimo ancora pubblicità e una rubrica dal titolo “Il carattere rivelato dalla scrittura, i responsi del grafologo” (la presenza di una rubrica del genere sembra dimostrare quando sia importante lo scambio di lettere e messaggi in questo periodo di guerra).
Dal quadro che abbiamo tracciato emergono due elementi: non ci sono notizie sull’imminente occupazione di Gorizia, le fotografie riguardanti la guerra provengono tutte dal Servizio Fotografico dell’esercito. Il controllo della censura su questo settimanale, a metà tra rivista letteraria e organo d’informazione e illustrato quasi esclusivamente con fotografie, sembra molto stretto.



mercoledì 2 marzo 2011

Gorizia agosto 1916 nelle pagine della rivista Il Mondo Prima parte Il contesto storico militare

In Italia una rivista settimanale che negli anni della Grande Guerra scelse la fotografia per documentare e informare sulla guerra, fu “Il Mondo”.


Il Mondo, N° 26, domenica 25 giugno 1916
una trincea al Passo Brizio


Edita dalla Casa Editrice Sonzogno e fondata nel 1914, “Il Mondo” era diretta da Enrico Cavacchioli (Pozzallo 1885-Milano 1954), giornalista e autore di teatro. Cavacchioli , oltre al “Il Mondo”, diresse la rivista letteraria “Comoedia”, “L’Illustrazione Italiana” e fu redattore capo de “La Stampa”. Aderì la futurismo molto giovane e nei suoi lavori teatrali cercò di immaginare situazioni e personaggi che si ispiravano alle linee del movimento fondato da Filippo Tommaso Marinetti.

La rivista letteraria Comoedia
20 ottobre 1920


I numeri a nostra disposizione di “Il Mondo” vanno dall’aprile all’agosto 1916 e, pur ottemperando alle regole imposte dalla censura militare, si desume che la rivista eliminò completamente la rappresentazione pittorica del conflitto che venne utilizzata invece dalla Domenica del Corriere, con le tavole di Achille Beltrame. L’immagine della guerra offerta da “Il Mondo” era moderna e le fotografie pubblicate sono una parte della memoria visiva della Grande Guerra degli italiani. Esse debbono essere osservate con la consapevolezza che gli interventi della censura riuscirono ad oscurare la violenza dei combattimenti, offrendo un’immagine sempre positiva dell’Esercito Italiano. Questo atteggiamento non fu una caratteristica esclusiva dell’informazione in Italia, ma fu adottato da tutti i paesi belligeranti.

Il Mondo N° 26
Al Monte Croci, simulazione di un'imboscata



“Il Mondo” come presentò la conquista di Gorizia, avvenuta l’8 agosto 1916?

Nell’agosto del 1916 la guerra mondiale era già da tempo entrata nella sua fase più cruenta: le due grandi battaglie del Fronte Occidentale, Verdun e la Somme, non si erano ancora concluse e complessivamente avrebbero provocato quasi due milioni di soldati uccisi. A est, dopo una fase di stallo nelle operazioni militari, l’offensiva russa al comando del generale Brussilov aveva messo in seria difficoltà l’esercito austroungarico ed aveva convinto la Romania ad entrare  nel conflitto a fianco dell’Intesa.

Sul fronte italiano, mentre si esaurivano le offensive italiane sull’Isonzo (la quinta era stata scatenata su richiesta dei francesi impegnati nel durissimo scontro a Verdun e aveva avuto un carattere puramente dimostrativo, pur contando migliaia di caduti), gli austroungarici erano passati all’attacco con la “strafexpedition” (spedizione punitiva) in Trentino.

Il Mondo N° 28
prigionieri austriaci


In un primo tempo si era temuta una disfatta generale dell’Italia, con il dilagare degli austroungarici nella pianura veneta.

L’offensiva austroungarica era stata fermata dall’esercito italiano al prezzo di migliaia di morti e con la perdita di qualche chilometro di territorio montuoso.

N° 26
Vedette sualla strada di Rovereto


La “strafexpedition” si era risolta sostanzialmente con un fallimento. L’appoggio tedesco, chiesto dal fedmaresciallo Conrad von Hotzendorf al comandante in capo dell’esercito germanico Eric von Falkenhayn, era mancato e tra i due stati maggiori era sceso il gelo.

Cadorna era riuscito a sopravvivere politicamente, dopo le critiche espresse alla sua condotta della guerra dal governo Salandra. Scaricando le sue responsabilità per la sorpresa dell’attacco austriaco in Trentino sul generale Brusatti, aveva rovesciato la situazione a suo favore: il ministero Salandra era caduto e al suo posto si era formato il governo di unione nazionale presieduto dall’anziano Boselli.

N° 26
A sinstra Paolo Boselli, a destra Leonida Bissolati e Vittorio Emanuele Orlando



Nel corso dell’offensiva austroungarica era stato fatto prigioniero Cesare Battisti, irredentista trentino e deputato al Parlamento Italiano. Battisti era stato impiccato come traditore. “Il Mondo” presenta ai lettori due fotografie di Battisti, una viene definita come l’ultima eseguita al fronte, l’altra è un ritratto fotografico in primo piano.
Il Mondo N° 30, Domenica 23 luglio
l'ultima fotografia di Cesare Battisti durante un'azione in Vallarsa

N° 30
Cesare Battisti, l'ultima vittima dell'impiccatore austriaco 



L’uccisione di Battisti e il modo in cui era avvenuta avevano destato indignazione in Italia e l’immagine di Battisti condotto al patibolo era apparsa su diverse riviste francesi.

Cadorna durante la “strafexpedition” aveva dimostrato duttilità e capacità organizzative.

Mezzo milione di soldati, dall’Isonzo erano state spostati in Trentino e l’artiglieria era stata impiegata mettendo a frutto gli insegnamenti che giungevano dal Fronte Occidentale: minor durata del violento bombardamento ed effetto sorpresa. In questo modo Cadorna aveva fronteggiato la situazione bloccando l’offensiva austroungarica: restava ancora il “generalissimo” e veniva considerato dagli intellettuali nazionalisti e dalla stampa, l’uomo che avrebbe guidato l’Italia alla vittoria.


Il generalissimo

Cadorna, nonostante la mezza vittoria in Trentino, non aveva mai abbandonato la sua idea di sfondamento sull’Isonzo, con la successiva conquista di Trieste e il dilagare degli italiani nella pianura danubiana.

Gorizia era un obbiettivo intermedio, ma l’occupazione di una città diventava, anche dal punto di vista simbolico, un risultato di grande importanza. E così fu, con la sesta battaglia dell’Isonzo. Importante per la conquista di Gorizia era il controllo del Monte San Michele, durante i combattimenti sulle pendici di questa altura gli austroungarici per la prima volta usarono i gas asfissianti provocando la morte di duemila soldati italiani. Fu un avvenimento che riempì di orrore coloro che per primi raggiunsero le trincee di prima linea e lo sdegno fu accentuato dalla scoperta di mazze ferrate utilizzate per finire gli agonizzanti. Le mazze ferrate, insieme all’impiccagione di Cesare Battisti, furono la prova della ferocia e inciviltà degli austriaci, “Il Mondo” le presenta con una fotografia in grande formato.

N° 31
Clava adoperata dagli austriaci per
finire i nostri soldati asfissiati dai gas asfissianti



In una situazione di sostanziale immobilità su tutti i fronti, la conquista di Gorizia ebbe una vasta eco in Europa e fu vista come la dimostrazione che gli imperi centrali potevano essere battuti.

Le immagini fotografiche con cui “Il Mondo” presentò questo risultato agli italiani non sono eccezionali e le fotografie provengono dal Servizio Fotografico dell’Esercito, del resto le stesse immagini furono diffuse anche all’estero. La rivista francese “Le Miroir” ottenne più o meno le stesse fotografie.

Le immagini de “Il Mondo”, colpiscono per l’assenza di folle festanti all’arrivo dell’esercito “liberatore”. La città appare deserta, con le truppe italiane che occupano alcuni centri nevralgici e c’è qualche cadavere di soldato austriaco.

N° 33
Ricoredi delle ore di battaglia in faccia a Gorizia
contesa dal cannone austriaco 


Su “Il Mondo” non sono numerosi gli articoli che commentano la conquista di Gorizia, in essi si avverte però un senso di liberazione per il fatto che qualcosa è accaduto: gli italiani hanno dimostrato di saper fare la guerra e ottenere i risultati tanto attesi. Le fotografie non mostrano la realtà della battaglia che è fatta di migliaia di morti e tale da ispirare la famosa canzone antimilitarista “Gorizia tu sei maledetta”.