giovedì 6 gennaio 2011

La guerra e il corpo-Terza parte

Le immagini tratte dall’album proveniente dall’ospedale di Lione e le lastre contenute nel fondo anonimo acquistato in Normandia, mostrano aspetti diversi e dolorosi nella cura delle ferite della guerra. I mutilati alle gambe e alle mani, gli sfigurati al volto, coloro che hanno perso gli occhi o la ragione sono la diretta conseguenza dello straordinario sviluppo degli armamenti impiegati durante la Prima Guerra Mondiale. La mai conosciuta capacità di distruzione delle artiglierie e in genere degli esplosivi, è responsabile del maggior numero di caduti nel corso della guerra. Se nelle fotografie provenienti dagli ospedali possiamo vedere il tentativo di ridare al vita, in quelle provenienti più direttamente dal fronte vediamo invece la morte nel suo aspetto più crudele: la distruzione completa del corpo.

E’ il caso di una stereoscopia compresa in un gruppo di fotografie che all’origine dovevano appartenere ad ad una serie più vasta.
Di autore ( o autori ) anonimo, questa serie di immagini accompagnate da didascalie, erano destinate alla vendita e non recano alcuna traccia di edizione. Un di esse potrebbe essere stata eseguita a Verdun, nei mesi della battaglia o immediatamente dopo la riconquista francese del territorio perso in seguito all'offensiva tedesca. Nella didascalia si può leggere che si tratta di un “Entonnoir produit par une des nos mines. Un corps reste attaché à un élément de fil barbelé.”
Il terreno sconvolto appare come un deserto e il corpo del soldato (di cui non si indica la nazionalità) è qualcosa di indistinto, mischiato a brandelli di strutture metalliche.



Questa stereoscopia, se non ci fosse la didascalia a spiegarci che si tratta di un paesaggio di guerra, potrebbe indurre un occhio non abituato a riconoscere le immagini della Prima Guerra Mondiale a pensare che la fotografia riguardi un luogo qualunque in cui sono rimasti dei rifiuti, oppure i resti di qualche lavoro eseguito in precedenza. Siamo di fronte ad un’immagine che mostra la più assoluta disumanizzazione della morte: il corpo umano è ridotto ad un indistinto brandello di carne.


Un altro aspetto della disumanizzazione della morte nel corso della Prima Guerra Mondiale, è la messa in scena. Sin dall’inizio si era compreso che con la fotografia potevano essere fabbricati veri e propri falsi. Per sopperire ai limiti tecnologici del mezzo che non consentiva di riprendere delle istantanee, un avvenimento veniva ricostruito a posteriori. Gran parte delle immagini delle guerre nella seconda metà dell’Ottocento e la grande maggioranza di quelle eseguite durante la Prima Guerra Mondiale, sono ricostruzioni di fatti avvenuti in precedenza. Lo stesso “album di Edmond” che mostra in mondo assai didascalico i diversi aspetti della guerra di trincea nel settore belga nei pressi di Dixmude, contiene fotografie in cui vengono simulati momenti di guerra vera. Alla simulazione va aggiunta la caricatura. Se mostrare il corpo del nemico ucciso equivale ad esibire una sorta di trofeo, mostrarlo in un atteggiamento curioso e strano aggiunge disprezzo verso colui che nella guerra totale si ritiene portatore assoluto del male.
Sempre nello stesso gruppo di immagini, troviamo un’altra stereoscopia accompagnata dalla seguente didascalia: “Verdun. Un boche mort a conservé une attitude de vivant.”


Al posto dello spettacolo con un corpo di cui è rimasto solo un brandello di carne attaccato ad un pezzo di filo spinato, qui il corpo c’è e a prima vista sembra quello di una persona viva. Probabilmente frutto di una messa in scena, il tedesco ucciso e la sua posizione suggeriscono l’idea che il soldato stia osservando l’ora della sua morte. Un’ora che prima o poi arriverà per tutti i nemici. In questo caso il corpo del nemico ucciso non è usato soltanto come un trofeo da esibire, ma diventa oggetto di scherzo. Al posto della pietà, questa immagine evoca qualcosa di morboso e sinistro. C’è in essa una sorta di gusto necrofilo che si ricollega ad un’immagine più antica che fa parte della cultura e dell’immaginario europeo: gli affreschi della danza macabra, dipinti dopo le grandi pestilenze. Ma in questo caso la morte non è l’elemento di riequilibrio e di riparazione dei torti nell’eguaglianza tra potenti e sottomessi, poveri e ricchi, ma un elemento accattivante di gioco, dato in pasto ad un pubblico sottoposto ad un continuo stato di eccitazione e che ormai si è abituato ad acquistare spettacoli di gran lunga più cruenti. Il gioco sulla morte è ormai una piccola immagine che si compra insieme a quelle di rovine, cannoni potenti e sfilate. La danza della morte non fa più paura a nessuno, ormai è immagine fotografica che si vende e si acquista a buon mercato.


Il fatto che queste immagini fossero destinate alla vendita nel corso della guerra o negli anni successivi al 1918, è sintomatico di quella banalizzazione della morte che lo storico George Mosse ( Le guerre mondiali. Dalla tragedia al mito dei caduti. Ed. Laterza) ha individuato nella produzione di differenti tipi di immagini fabbricate e vendute nel corso della Grande Guerra e che avrà molta influenza nel determinare un clima di abitudine alla violenza in cui si produrranno i presupposti culturali degli orrori del Secondo Conflitto Mondiale.

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