La Battaglia di Verdun (21 febbraio 1916-novembre 1916) ebbe un eco mondiale: fotografie dei combattimenti circolarono sulle riviste illustrate di tutti i paesi in guerra e di quelli neutrali, anche in Italia l’informazione diede un notevole spazio a questo avvenimento in cui francesi e tedeschi giocavano una partita decisiva per le sorti della guerra.
Nel già citato carteggio tra Margherita del Nero e suo marito Giuseppe Mizzoni si può trovare un’eco della Battaglia di Verdun.
In una lettera datata 10 maggio 1916, così Margherita scrive a suo marito.
“Qui corre voce che ora si sta sviluppando una grande azione tra Francesi e Tedeschi; fin ad ora i giornali parlano che la vittoria è dei francesi e si vocifera che si avrà presto la pace se seguiteranno a ricacciare i tedeschi, e si andrà per le lunghe se sarà il contrario. Magari fosse così, io faccio come tutte le altre spose mille auguri acciò presto si effettui questo comune desiderio.”
La strategia di Eric von Falkenhayn, comandante in capo delle forze germaniche sul Fronte Occidentale, intendeva sperimentare un nuovo tipo di guerra: costringere tutto l’esercito francese a concentrarsi nella difesa di un unico e simbolico settore del fronte, al fine di annientarlo con un attacco dissanguante.
L’idea di un logoramento più o meno rapido dell’esercito francese era anche il limite del piano tedesco: quando i reparti francesi che avevano sostenuto il primo devastante bombardamento del 21 febbraio 1916, pur decimati, uscirono dai loro rifugi per contrastare l’avanzata del nemico e al prezzo di un sacrificio molto duro ci riuscirono, la strategia di von Falkenhayn si rivelò un’illusione.
Verdun divenne allora il simbolo della tenuta dell’esercito francese: la parola d’ordine fu tenir e la consegna quella di farsi uccidere sul posto.
Lo scontro davanti a Verdun durò un anno; per questo Verdun è stata anche definita come una guerra nella guerra. Verdun è anche sinonimo di inferno: il soldato di Verdun si trovò immerso in un universo di sangue e di ferro generato da quella che i tedeschi definirono “guerra di materiali”.
I segnali su una possibile offensiva tedesca in grande stile nel settore di Verdun o comunque in un X punto delle linee francesi del Fronte Occidentale, furono tenuti segreti e sulla stampa niente trapelò non solo sul pericolo incombente, ma anche sulle denunce di uomini politici sotto le armi, il colonnello Driant (deputato della destra nel Parlamento francese), e le preoccupazioni di alcuni generali, Crethien, sullo stato disastroso delle difese nel settore di Verdun.
Dall’analisi delle riviste “Sur le vif”, “Panorama de la guerre” e “Le Miroir” si può desumere che la fotografia si rivelò un ottimo strumento per mostrare la sofferenza del soldato e la dimensione della devastazione del territorio circostante la città di Verdun. Agli illustratori fu invece affidato il compito di raccontare i momenti più cruenti di uno scontro che si protrasse per mesi, sino a concludersi con la riconquista francese di pochi chilometri quadrati, persi nei primi giorni dell’attacco tedesco. Il costo umano del massacro di Verdun è stato di recente ridimensionato, da circa un milione di morti si è passati a quasi settecentocinquantamila, tra francesi e tedeschi. Lo storico francese Jean Jaques Beker, a proposito dei grandi massacri del 1916 e del 1917 stabilisce con queste cifre il numero dei caduti: Verdun, 770.000 morti, in parti uguali tra francesi e tedeschi; la battaglia della Somme, 1.200.000 morti, in parti uguali tra tedeschi e alleati, in maggior parte britannici, Pachendaele (terza battaglia di Ypres), 450.000 morti, 200.000 tedeschi e 250.000 alleati, quasi esclusivamente britannici. (in Que sais-je, La Grande Guerre, di J.J. Beker, pag 40, 2004).
L’esito militare e politico della battaglia fu un fallimento per la Germania: i francesi non si dissanguarono, al contrario furono i tedeschi a subire i contraccolpi di un così lungo bagno di sangue. Con l’esaurimento della battaglia di Verdun, in Germania si manifestarono più evidenti i segnali di una crisi che sarebbe divenuta irreversibile.
Sur le vif è una rivista esclusivamente fotografica che nasce con lo scoppio della guerra e sembra avere meno ambizioni di Le Miroir, ma offre ai lettori immagini interessanti. Sur le vif pubblica fotografie e notizie da Verdun solo il 18 marzo e, quasi in controtendenza con Le Miroir e L’Illustration che offrono nelle prime settimane immagini di un combattimento immaginario, mostra sul numero dell’8 aprile due fotografie sulla condizione umana del soldato di Verdun.
La prima, di copertina, mostra un momento di sosta nella battaglia con due soldati a cui viene distribuito il pinard, il vino che serve per dissetarsi, scaldarsi, ubriacarsi e andare all’attacco in stato di ebbrezza.
Sur le vif, N° 74
Non c’è niente di retorico in questa foto rubata alla realtà quotidiana della guerra, ma ancor più realistica è l’immagine che chiude il numero di Sur le vif: riguarda gli uomini addetti alla corvée del trasporto di cibo per i soldati in prima linea. Nella fotografia non c’è nessuna retorica, nessuna voglia di mettere in posa i soggetti. Nemmeno un soldato guarda verso l’obbiettivo e le divise sono coperte di fango, come sembrano sporchi i secchi per la minestra. Uomini e cose appaiono come immersi in uno stato di profondo degrado. La didascalia non concede nulla alla retorica della guerra.
"Zuppi di pioggia, spossati, coperti di fango, gli uomini della corvée vengono a prendere il rancio per i poilus delle trincee di prima linea."
Sur le vif N° 78 dell’8 aprile 1916
Un’altra fotografia di grande realismo è una piccola immagine in ottava pagina per un servizio intitolato “autour de Verdun”. Un gruppo di soldati siede all’interno di una trincea, simile più ad un fossato provvisorio, e la didascalia non nasconde la sofferenza di questa gente.
"Calmi, i difensori della trincea avanzata sentono i proiettili fischiare sulle loro teste, mentre la pioggia ghiacciata cade loro sulle spalle."
Sur le vif, N° 76
Le fotografie di Sur le Vif riguardano non tanto il territorio devastato o luoghi che entreranno nella mitologia della battaglia, mostrano invece l’uomo coperto di fango e la fatica in una guerra che sempre più diventa simile ad una gigantesca macchina. C’è anche un tentativo di offrire al lettore la dinamicità del combattimento, sul numero 83 viene pubblicata una sequenza fotografica in cui si racconta l’incursione dei fanti francesi in una trincea tedesca e la cattura di una mitragliatrice.
Sur le vif, N° 83
Il dubbio sulla veridicità delle immagini con cui è stata composta la sequenza è forte, ma questo modo cinematografico di raccontare, oltre a mettere in risalto l’uomo che combatte senza atteggiamenti di particolare eroismo e compie la sua missione come se si trattasse di una quotidiana mansione di lavoro, va incontro alle aspettative dei lettori che vorrebbero sapere cosa realmente sta accadendo a Verdun e serve a dimostrare che l’esercito francese non è solo sulla difensiva.
In queste fotografie eseguite sul campo di battaglia o nelle retrovie di Verdun, non ci sono immagini particolarmente violente e dure.
Agli illustratori è affidato il compito di raccontare l’eroismo del soldato francese e il combattimento.
Sulla rivista Le panorama de la guerre, compaiono acquerelli e disegni sui quali i lettori possono vedere quanto sia dura e sanguinosa la lotta sulle colline attorno alla città. Confrontando queste ricostruzioni pittoriche con le testimonianze dei combattenti è possibile affermare che gli illustratori di Le Panoramà della guerre si comportarono in modo onesto, anche se l’eterna propensione alla retorica patriottarda non mancò.
Le Panorama de la guerre-3 illustrazioni
Il commento che accompagna l’illustrazione in cui l’ufficiale invita la truppa ad attaccare è un esempio di retorica e di falsità.
“…I Prussiani marciano sovente sotto l’imposizione dell’ingiuria o della minaccia del revolver, i Francesi non attendono che un gesto, un ordine cordiale, come qui a Douaumont, la parola che farà vibrare nel fondo l’antica nobiltà militare e della razza.”
Il titolo è: “Ragazzi miei, a voi l’onore di attaccare!”
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