mercoledì 1 giugno 2011

“In piedi! Morti!” I caduti e la Grande Guerra Terza Parte

Alla fine della Grande Guerra prevalsero atteggiamenti diversi rispetto ai caduti: ad esempio nella nuova Repubblica Socialista Sovietica vennero completamente dimenticati, sia per il protrarsi della violenta guerra civile sia perché nell’edificazione dello stato socialista si voleva cancellare il passato zarista. Quella guerra che era costata ai russi 1.700.000 caduti, non era mai esistita.
Per la prima volta nella storia e grazie alla fotografia e al cinematografo, la guerra era stata vista da un pubblico di europei numeroso che aveva potuto assistere a battaglie (nella maggioranza dei casi ricostruite nelle retrovie o in apposite fiction) e vedere fotografie che mostravano i soldati uccisi.
L’immagine offrì il suo contributo alla presa di coscienza di cosa era veramente accaduto nella guerra mondiale, nel 1919 sulla rivista “Le Miroir” apparve una ricostruzione grafica del prezzo pagato dalle nazioni.
Il computo dei morti era stato eseguito dal maresciallo March, capo dello Stato Maggiore dell’Esercito Americano

Le Miroir, 1919



Su diverse riviste, tra cui l’italiana La Domenica del Corriere, nel corso del conflitto apparve una forma di visione particolare e assolutamente fotografica del culto dei caduti e degli eroi. Una serie di fotografie, tutte uguali e tratte dal formato carte de visite, mostravano su una o più pagine i volti di ufficiali e soldati che erano morti eroicamente per la nazione.

La Domenica del Corriere, 27 febbraio-5 marzo 1916



Questi album degli eroi anticipavano i lunghi elenchi incisi nella pietra dei monumenti ai caduti.
I cimiteri militari sorsero dove gli uomini erano morti: gli inglesi e gli americani scelsero di lasciare i loro caduti sulla terra francese e la Francia donò piccole parti della sua terra alle nazioni alleate. Anche i tedeschi vennero sepolti sul territorio francese e radunati in grandi cimiteri. Questa soluzione fu dettata anche da motivi economici: riportare in patria milioni di corpi e resti umani, avrebbe comportato una spesa troppo ingente per le esauste finanze di vincitori e vinti.
Anche sul fronte italo-austriaco, la scelta fu quella di costruire i cimiteri dove si erano svolte le battaglie. Sorse in questo modo una nuova immagine della Prima Guerra Mondiale, non pittorica, non fotografica, ma litica.
La pietra e il marmo divennero elementi visibili e materiali per ricordare il massacro avvenuto tra il 1914 e il 1918. Visitando questi luoghi era possibile vedere la sofferenza, il sacrificio e l’impegno trasfigurati in simboli affinché quella guerra fosse sul serio l’ultima delle guerre e un monito per il futuro. Attorno a tutto questo sorse un giro d’affari colossale che coinvolse l’industria della pietra, delle onoranze funebri e quella turistica. Il turismo di guerra si affermò come un fenomeno nuovo, ricco di significati simbolici e in qualche modo vantaggioso per i luoghi dove si era combattuto e che all’indomani delle ostilità si presentavano come deserti ancora fumanti.
Vennero pubblicati opuscoli e guide in cui l’immagine fotografica era centrale per comunicare il messaggio emotivo alle famiglie dei caduti o ai semplici visitatori.
Il villaggio francese di Suippe, teatro di aspre battaglie nel 1915, fu illustrato con un depliant fotografico contenente 10 cartoline staccabili che comprendevano anche le immagini del cimitero militare.


Album turistico di Somme-Suippe, anni 1920/1930



Un altro esempio di turismo di guerra è offerto dalle guide del Touring Club Italiano che pubblicò una serie di volumetti dal titolo “Sui campi di battaglia”. Contenevano storia regionale e militare, itinerari, fotografie dei luoghi in cui si erano svolte le battaglie, dei monumenti eretti sulle montagne e dei cimiteri.


Sui campi di battaglia: Il Cadore, La Carnia, L’alto Isonzo, 1938




Sui campi di battaglia del Medio e Basso Isonzo: Il cimitero degli Asfissiati, 1928



La rivista “L’Illustrazione Italiana” pubblicò una serie di servizi in cui venivano mostrati i progetti per la costruzione di importanti monumenti ai caduti delle maggiori città italiane. A tutto questo si devono aggiungere numerosi reportage fotografici in occasione di ricorrenze e inaugurazioni.

L’Illustrazione Italiana del 13 giugno 1926, particolari del progetto per il Monumento ai Caduti di Milano presentato da Castiglioni



Si cementava attorno ai caduti, la religione della patria che aveva visto durante la guerra mondiale l’apice del suo culto.
I monumenti ai caduti e la complessa organizzazione che era sorta attorno ad essi, si caricava di valenze diverse e in qualche modo anche opposte: per alcuni i monumenti erano un segno di riflessione e di speranza per un’umanità finalmente pacificata, per altri era un modo di ricordare ai vivi che quei morti li impegnavano a difendere i singoli interessi nazionali ogni qual volta fossero stati offesi e calpestati.
C’era anche un altro elemento di grande significato nei monumenti: se tanti uomini erano morti per un mondo nuovo e tutto ritornava come e peggio di prima della guerra, a cosa era valso il tanto sangue versato?
Se i morti aleggiavano sui vivi, se li sovrastavano, allora era possibile che tornassero a chiedere conto di ciò che era accaduto e stava accadendo. L’immensa legione dei morti in guerra poteva ritornare per riaggiustare i torti commessi da chi aveva approfittato dell’immenso sacrificio.
Angosce antiche e nuove si fondevano con elementi di fantasia apocalittica: avevano alimentato una parte della cultura europea precedente la guerra e si sarebbero trasformati in un nuovo tipo di letteratura popolare, quella dell’horror e della fantascienza apocalittica.
I romanzi di H.G. Wells “La guerra dei mondi” e “La guerra dell’aria” non avevano anticipato la guerra totale e la moderna tecnologia degli armamenti?
In Francia un romanzo divenne famoso: “Le réveil des morts” di Roland Dorgeles.


Le revèil des morts di Roland Dorgeles, Ed. Albin Michel, 1923



Era la storia di una disillusione in cui il protagonista, Jacques, ingegnere ex combattente, impegnato nella ricostruzione dei villaggi attorno alla città di Soissons, si rendeva conto che la guerra non era servita a niente: tornavano l’egoismo, l’ipocrisia, l’affarismo, l’ingiustizia. Nel capitolo finale del romanzo Jacques, dopo aver abbandonato la moglie Helène che aveva ingannato il primo marito caduto in guerra (c’era in questo un elemento di misoginia che colpevolizzava le donne per la loro voglia di tornare a vivere), sognava ad occhi aperti il ritorno dei morti che sollevandosi dalle loro tombe invadevano villaggi e città, raggiungevano Parigi e occupavano il Parlamento imponendo una nuova legge di giustizia che scacciava i mercanti dal tempio.
Al romanzo di Dorgeles si aggiunse nel 1937 una nuova edizione del film di Abel Gange, “J’accuse”*. Il regista francese questa volta faceva evocare il ritorno dei morti da un ex combattente che aveva voluto restare nelle vicinanze di Verdun dove erano caduti tutti i componenti della sua squadra: i morti di tutti gli eserciti si sollevavano e marciavano per fermare lo scoppio di una nuova guerra. Alla realizzazione del film diede il suo attivo contributo l’associazione dei “gueules casseées” con la partecipazione di veri sfigurati che apparivano nelle ultime e apocalittiche sequenze finali in cui si sfruttava come elemento scenografico la torre lanterna del cimitero di Fleury sur Douaumont, a Verdun.
Fotografia, letteratura e cinema contribuirono nei vent’anni che intercorsero tra le due guerre mondiali alla formazione del mito dei caduti e fu certamente la diffusione di fotografie mai viste prima di allora a far dissolvere quel velo di eroismo che aveva avvolto il ricordo delle guerre precedenti.
L’evocazione letteraria della guerra di trincea era resa palpabile dalle fotografie eseguite al termine dei combattimenti o da film come “All’Ovest niente di nuovo” di Millestone o “Les croix de bois” di Raymond Bernard. Il cinema raccontava con l’immagine cosa avevano realmente vissuto i soldati.
Il mito dei caduti non sarebbe sopravvissuto nel secondo dopoguerra. Al termine della Seconda Guerra Mondiale le vittime civili erano di gran lunga superiori a quelle militari e i monumenti costruiti tra il 1918 e il 1939 dovevano essere una tappa verso il raggiungimento della pace sulla Terra: un cammino difficile, percorso ogni giorno inciampando in nuovi conflitti, massacri e crisi umanitarie. Dovevano passare almeno vent’anni prima che gli storici cominciassero ad occuparsi del significato culturale delle tematiche legate al mito dei caduti dalla Prima Guerra Mondiale.

*Un film con lo stesso titolo era stato realizzato nel 1917, sempre da Abel Gange. Al film avevano partecipato veri soldati in convalescenza (alcuni di essi sarebbero morti una volta tornati al fronte) e due intellettuali a quell'epoca noti: Guillame Apollinaire e Blaise Cendrars

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