Premessa
Iniziamo una serie di post dedicati al rapporto tra la fotografia e la rivoluzione nel corso della Prima Guerra Mondiale e all’indomani del 1918.
La rivoluzioni che avvennero durante la guerra, furono quelle irlandese e russa. Nel 1916 a Dublino l’insurrezione indipendentista fu stroncata dagli inglesi, in Russia invece la rivoluzione abbatté lo zarismo ed ebbe esiti assolutamente imprevisti.
Il 1917 divenne l’anno fatale per la dinastia dei Romanov: cadde quasi senza colpo ferire, dopo trecento anni di dominio autocratico su un’ impero dalle dimensioni immense.
Le Miroir N° 174 del 25 marzo 1917, fotografia di copertina in cui si annuncia l’abdicazione dello Zar Nicola II Romanov. |
Questa è l’ultima fotografia che mostra lo zar Nicola II, insieme a suo figlio e nell’esercizio delle sue funzioni. Contemporaneamente viene data la notizia del rovesciamento della monarchia. La didascalia si limita a comunicare che: "A la suite d'un mouvement révolutionnaire, le Tzar Nicola II a dû abdiquer."
Gli avvenimenti russi con le due rivoluzioni, democratica prima e bolscevica poi, suscitarono grandi preoccupazioni nei governi dell’Intesa ed entusiasmo, in particolare nella classe operaia, nei popoli che erano stanchi della guerra. Per questo vennero seguiti con grande attenzione.
Cercheremo di pubblicare alcune fotografie significative, a nostro giudizio, e che mettono in risalto due aspetti del problema: a) un avvenimento sconvolgente che attraverso la fotografia viene conosciuto nella sua progressione temporale; b) l’immagine particolare che si forma nel corso del tempo, cioè quella di un “nemico nuovo”, diverso dai tedeschi e dagli austroungarici perché avverso alle logiche che avevano portato all’esplosione del conflitto mondiale.
Il maggior punto di riferimento iconografico sarà la rivista Le Miroir, offre un quadro vasto degli avvenimenti russi e nel modo di presentare le fotografie rispecchia le due questioni a cui abbiamo accennato sopra.
Lo storico italiano della fotografia Italo Zannier, citando un altro storico italiano, Wladimiro Settimelli (L’avventurosa storia della fotografia, Fotografare, Roma, 1969), così scrive nel primo numero della rivista Fotologia (Giugno 1984):
“Se si escludono le rivolte indiana (Lucknow, 1857) e cinese (Fort Taku, 1860), dove operarono Felix Beato e James Robertson, o quella messicana del 1867, in Europa “la prima rivoluzione immortalata dalla fotografia”, scrive Settimelli, è stata certamente quella francese del 1871, che vide impegnati da entrambe le parti un notevole numero di fotografi, di cui spesso non si conosce il nome.”
La rivoluzione del 1871 a cui Zannier si riferisce, è nota sotto il nome di La Comune di Parigi. In seguito alla sconfitta di Sedan nel 1870 e al crollo della Francia davanti alle armate prussiane, a Parigi fu proclamato un governo rivoluzionario di ispirazione socialista. A Versailles si insediò invece un governo presieduto dal liberale Adolphe Thiers che decise di stroncare l’insurrezione parigina con ogni mezzo. Le truppe del Governo di Versailles soffocarono nel sangue la Comune di Parigi in un vero e proprio massacro di massa. La fotografia ebbe un ruolo importante per criminalizzare gli autori della rivolta, i comunardi, e per pubblicizzare gli orrori della rivoluzione, ad esempio gli edifici storici distrutti negli incendi. A questa operazione collaborarono numerosi fotografi, alcuni già noti a quell’epoca: P. Petit, E. Appert, E. Disderi, B. Braquehais, H.A. Collard, Numa Fils. La stessa operazione si ripeterà quando i bolscevichi assumeranno il potere nell’ottobre del 1917
(per una più approfondita analisi del rapporto tra la fotografia e gli avvenimenti della Comune, si consiglia la lettura di “La Commune photographiée” AA.VV. Catalogo della mostra tenuta al Musée d’Orsay dal 14 marzo all’11 giugno del 2000)
L'associazione fotografia-propaganda ideologica si stabilì in modo esplicito con la Comune di Parigi, in una sorta di vendetta mediatica per un pubblico depresso, ma affamato di notizie. Un esempio di questo modo di fruire della fotografia, è un’immagine eseguita negli anni immediatamente successivi la guerra franco-prussiana del 1870 e certamente compresa in una serie più vasta. In questa fotografia si ricostruisce con figuranti e una carrozza, la fuga dell’Imperatrice Isabella dalle Tuileries, il 4 settembre 1870. Purtroppo lo stato di conservazione non è buono, ma è possibile distinguere molto bene il quadro d’insieme dell’ultimo saluto dell’imperatrice mentre i suoi accompagnatori la invitano a fare in fretta e allontanarsi dalla capitale. Il popolo è sceso in piazza, chiede la fine del regime di Napoleone III e la proclamazione della repubblica.
L’imperatrice Eugenia lascia Les Tuileriès il 4 settembre 1870, Studio Flamart, Parigi, albumina, 1875-1880 |
Bisogna ricordare un altro aspetto importante nel rapporto tra la fotografia e la rivoluzione dei comunardi. Nel 1871 le fotografie eseguite dal fotografo Appert erano servite ad individuare ed arrestare i comunardi sfuggiti ai massacri della “settimana di sangue” di Parigi. L’uso della fotografia ai fini di un’identificazione giudiziaria fu proseguito dall’antropologo Alphonse Bertillon ( 1853-1914) che elaborò un vero e proprio sistema di classificazione attraverso ritratti frontali e di profilo. Questo sistema venne adottato nel 1888 dal Servizio d’identità giudiziaria, di cui Bertillon era il direttore. In seguito il sistema Bertillon venne perfezionato con l’aggiunta di una serie di dati che descrivevano le caratteristiche di una persona secondo i criteri dell’antropologia criminale, in voga alla fine del XIX° secolo: era il “ritratto parlante” di Bertillon.
Russia 1917
Sul numero 199, Le Miroir del 16 settembre del 1917 ci permette di osservare e di analizzare un’immagine fotografica (ma forse la fotografia è tratta di uno spezzone cinematografico) entrata a pieno titolo nella storia del Ventesimo secolo.
Le Miroir N° 199, 16 settembre 1917 |
La folla, protagonista dei nuovi tempi, fugge in un grande crocevia di Pietrogrado sotto i colpi delle armi da fuoco e delle mitragliatrici. Gente che cade ferita, qualcuno si sdraia sul selciato cercando di ripararsi, molti fuggono, una madre tenta di proteggere suo figlio e quasi al centro del crocevia un uomo, forse un marinaio, si guarda attorno. Nella didascalia Le Miroir indica questa folla impazzita come vittima della violenza bolscevica, è probabile che si tratti del contrario. La manifestazione armata, un tentativo insurrezionale organizzato da soldati ed operai tra cui erano forti i bolscevichi (Lenin però non era d’accordo perché considerava prematuri i tempi), venne repressa da cosacchi e truppe fedeli al governo provvisorio che andava sempre più alla ricerca di un uomo forte e in grado di riportare ordine nell'esercito, continuare la guerra contro la Germania e bloccare la rivoluzione sociale. Una mistificazione di Le Miroir? Non sarebbe la prima volta che una fotografia viene utilizzata per affermare una tesi opposta a quella che l'immagine attesta. Ma, a parte questa considerazione, la fotografia che Le Miroir pubblica a pagina 8 e 9 del numero 199, può essere considerata uno dei simboli della violenza sociale e politica generata dalla Grande Guerra. L’inaudita violenza della Grande Guerra partorisce la rivoluzione e la controrivoluzione, il luogo di questo nuovo conflitto è la città, anzi la metropoli urbana: questa fotografia è la sintesi di una nuova fase storica che si apre nel 1917. L'anonimo fotografo o operatore cinematografico ha compiuto, con la ripresa di questo formicaio impazzito in un incrocio nevralgico di San Pietroburgo, una sorta di moderno miracolo. Ha creato un punto di riferimento visuale per la storia di un secolo intero. In un numero precedente, il 197, Le Miroir aveva pubblicato una fotografia riprodotta in grande formato con i funerali dei cosacchi leali al governo provvisorio presieduto da Kerenski. Nelle didascalie di queste due fotografie si insiste molto sulla violenza dei “massimalisti” capeggiati da Lenin.
Le Miroir N° 197 del 2 settembre 1917 |
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