venerdì 20 gennaio 2012

La Legione Garibaldina Fronte Occidentale 1914-1915 Seconda Parte

Ritratti di Garibaldini delle Argonne

Prima di raccontare i fatti d'arme ed i risvolti politici di un'operazione che s'inserisce nel processo storico che determinò la crisi del sistema parlamentare liberale dell'Italia postunitaria, vediamo alcuni ritratti di volontari garibaldini caduti in combattimento.
Ci aiuta “La rossa avanguardia delle Argonne”, un libro edito nel 1915 con prefazione di Gabriele D’Annunzio e scritto da Camillo Marabini, ufficiale volontario garibaldino, interventista e poi fascista.
Le fotografie sono tratte dal libro di Ricciotti Garibaldi, nipote di Giuseppe e figlio di Ricciotti senior, “I fratelli Garibaldi, dalle Argonne all’intervento”, pubblicato nel 1934 dalle Edizioni Garibaldine.
I garibaldini di cui parleremo caddero fra il 26 dicembre 1914 e il 9 gennaio 1915.
Il librodi Riciotti Garibaldi


Gregorio Trombetta, “tenente alla prima compagnia ed è stato il primo caduto della giornata”.
Trombetta ha 26 anni, è nato a Milano ed ha lavorato come disegnatore alla Breda, per tre anni è stato insegnante presso la scuola allievi macchinisti a Venezia.
Gregorio Trombetta muore al Bois de Bollante il 26 dicembre 1914, ucciso dal fuoco amico dell'artiglieria francese.
Il corpo del Tenente Trombetta


Alessandro Lurgo, “repubblicano-socialista e massone, era stato segretario della Federazione italiana tra i lavoratori dello stato.”
Marabini riporta una frase di Lurgo:
“Io, antimilitarista, sono qui a combattere, con la spada, l’ultima battaglia contro il militarismo.”
Al Bois de Bollante, Lurgo si distingue impadronendosi da solo di una mitragliatrice tedesca. Cade a Courtes-Chausses fra l’8 e il 9 gennaio.
“Gli hanno trovato indosso il suo testamento…: lascia l’anello al sottotenente Fiaschi, il braccialetto di oro, con la targhetta d’identità alla sua amica, un ricordo al sottotenente Peloso, cento lire al Popolo d’Italia di Mussolini, ed il resto alle sorelle.”
Alessandro Lurgo


Lamberto Duranti: é nato ad Ancona, è repubblicano e giornalista.
Non è la prima volta che partecipa ad un combattimento: nel 1911 è in Albania con i garibaldini e nel 1912, sempre da volontario garibaldino, partecipa alla guerra greco-turca. Nella battaglia di Driskos ottiene una medaglia e i gradi di tenente. Al suo ritorno in Italia si impegna nella zona di Cervia e di Ravenna nelle lotte sociali e politiche che vedono una dura contrapposizione fra socialisti massimalisti e repubblicani. Da repubblicano si adopera per l'unità dei lavoratori, "…portò sempre una parola di pace".
Duranti affida al suo taccuino un drammatico messaggio sulla guerra e sul destino di una generazione.
"Ciascuno è pronto a compiere il sacrificio della propria vita pur di scrivere quest'altra fulgida pagina del garibaldinismo…alla baionetta per attaccare una trincea tedesca distante 20-30 metri dalla francese, senza aver modo di passare. Sarà un massacro…io sarò il primo, se comandato, ad avanzare."
Lamberto Duranti muore il 5 gennaio. Secondo la testimonianza di Marabini le sue ultime parole sono: "muoio per la repubblica…"
Anche Augusto Alziator è un giornalista. Redattore ordinario del Resto del Carlino, Alziator parte per la Francia allo scoppio della guerra e raggiunge i garibaldini a Montélimar dove si arruola come soldato semplice.
Marabini lo descrive come un feticista della camicia rossa.
"Feticista com'era di tutto quanto parlasse di camicia rossa, i suoi articoli suscitarono un commento dell'Avvenire d'Italia, che gli lanciò sul viso l'insulto: Grottesco!"
Il 5 gennaio Alziator è catturato dai tedeschi, morirà in prigionia.
Umberto Cristini è laureato in chimica, nel 1900 va nel Transvaal e combatte insieme ai boeri contro gli inglesi. Dopo questa avventura, si reca in Portogallo e cospira contro la monarchia. Viaggia per il mondo, approda a Parigi dove acquista notorietà negli ambienti sportivi. Allo scoppio della guerra, Cristini si arruola nella Legione Garibaldina.
Al combattimento comanda le mitragliatrici del secondo battaglione: lievemente ferito, perde il contatto con i suoi uomini e si trova all'improvviso davanti ad una trincea tedesca. È ucciso da una grandine di colpi.


Umberto Cristini

Il sardo Ernesto Butta è giornalista e repubblicano. Esule in Francia dopo aver scontato dieci mesi di carcere per diffamazione a mezzo stampa, si adatta a fare il minatore per sfamare se e la sua compagna. Da Marsiglia va a Parigi, allo scoppio della guerra si arruola volontario: è promosso tenente e poi aggregato alla Legione Garibaldina. Butta ottiene una licenza perché gli è nato un figlio e non partecipa ai primi combattimenti di Natale, tornato ad Avignone viene mandato nelle Argonne e muore nella prima settimana di gennaio.

Ernesto Butta


I cinque volontari garibaldini caduti nelle Argonne hanno alcuni tratti comuni: appartenere ad una generazione nata attorno al 1880, provenire dal cento medio o comunque, al momento della scelta garibaldina, non essere né operai né contadini, trovarsi in Francia allo scoppio della guerra per motivi non legati alla ricerca di un lavoro, esercitare una professione intellettuale o tecnica (due di essi sono giornalisti), militare nelle file dell'opposizione all'Italia di Giovanni Giolitti e della Monarchia.
Il loro punto di riferimento è una sinistra non marxista, legata al Partito Repubblicano, e la Massoneria. Si richiamano al sindacalismo rivoluzionario, all’anarchismo e guardano con simpatia al primo Mussolini “interventista” e ancora vicino ad un’idea “rivoluzionaria” della guerra mondiale.
Questi uomini muoiono nei primi mesi della Grande Guerra e non hanno il tempo di assistere e partecipare a quella trasformazione, per molti versi negativa, che il conflitto produrrà nelle coscienze di tanti europei.
Henri Barbusse, l’autore di Le Feu, il 9 agosto del 1914 scrive una lettera al direttore del giornale socialista L'Humanité in cui esprime le motivazioni della scelta di arruolarsi volontario.
In essa troviamo le idee che spingono i giovani italiani ad andare in Francia nella Legione Garibaldina.
“Questa guerra e una guerra sociale che farà fare un grande passo, è possibile il passo definitivo, alla nostra causa. E’ diretta contro i nostri vecchi e infami nemici di sempre: il militarismo e l’imperialismo, la sciabola, e aggiungerei, la corona. La nostra vittoria sarà la distruzione del sacro romano impero dei cesari, dei kronprinz, dei signori e degli ignoranti che imprigionano i loro popoli e vorrebbero imprigionare gli altri. Il mondo non può emanciparsi che contro di essi. Se ho fatto il sacrificio della mia vita e se vado con gioia alla guerra, non è solo come francese, ma soprattutto come uomo.”
[da Paroles d'un combattant, raccolta di articoli di H. Barbusse 1914-1920, E. Flammarion Editeur, Paris, 1920, pagg. 7-8]
Barbusse sarà una delle voci intellettuali più autorevoli nel campo della lotta antifascista e, dopo il 1918, nell’impegno per evitare una nuova guerra. La sua esperienza al fronte lo porterà assai lontano dalle posizioni che assumeranno molti giovani interventisti italiani con la loro adesione al fascismo. Ma nel 1914 anche un intellettuale come Barbusse, ritiene che la guerra sia necessaria al progresso dell’Europa.
Giovani e meno giovani, i personaggi di cui abbiamo appena tratteggiato il profilo, sono cresciuti in un'Italia che, ben lungi dalle promesse del Risorgimento, ha dovuto far i conti con un'arretratezza secolare e con classi dirigenti miopi e inadeguate allo sviluppo impetuoso del sistema capitalistico mondiale. Il mito di Garibaldi ha alimentato lo scontento nei confronti di un'Italia sabauda che dopo aver superato la crisi del 1898, si è adattata al cauto riformismo di Giovanni Giolitti.
Ma è un'Italia che sta cambiando: accanto alla tradizionale classe dominante in cui ancora è forte la componente agraria, si affaccia il nuovo ceto composto da impiegati d'azienda o nei ministeri, tecnici dell'industria in espansione e in cui si sperimenta l'organizzazione scientifica del lavoro. Si tratta di nuove categorie intellettuali che non trovano spazio nella gestione del potere. Questi nuovi italiani della giovane generazione mal sopportano quello che lo storico Enzo Santarelli ha definito come un divorzio fra la classe politica e le pulsioni profonde che agitano i settori intellettuali.
“Sotto queste spinte e per queste ragioni, l’antigiolittismo e l’antidemocrazia presero piede, e il regime liberale apparve più grigio e corrotto e noioso di quel che in realtà non fosse.”
[da Storia del Fascismo di Enzo Santarelli, Editori Riuniti, Roma 1973, pag. 15-16]
I protagonisti della rivolta intellettuale in Italia si chiamano Gabriele D'Annunzio, Giovanni Papini, Giuseppe Prezzolini, Ardengo Soffici, Giovanni Boine, Filippo Tommaso Marinetti. Nei loro scritti si può ritrovare il rifiuto delle plebi, la paura per l'avvento della società di massa, l'estetismo e la scoperta che parole come terra, sangue e razza possono diventare mobilitanti.
Nasce in Europa e in quegli anni, il concetto di generazione.
La generazione perduta degli anni 1914-1918 diventerà un mito culturale. In Italia, forse più che altrove, viene celebrata la giovinezza come leit-motiv per il cambiamento radicale di una situazione ritenuta insopportabile.
Lo storico americano Robert Whol ha analizzato le pulsioni profonde della generazione del 1914 ed i risvolti politico-culturali del protagonismo giovanile all'inizio del Ventesimo secolo. Sull'insofferenza dei giovani italiani, Whol scrive:
"Punti sul vivo dalla scoperta della realtà italiana, essi trasformarono il mito della grandezza presente nella speranza di una rinascita futura. Ciò li rese particolarmente sensibili alle liriche nazionalistiche di Gabriele D'Annunzio, il quale cantava in modo vago ma colmo di fascino le gesta di una nuova razza di giovani eroi italiani che avrebbero soppiantato la classe dominante vecchia e corrotta."
[da "1914-Storia di una generazione" di Robert Wohl, capitolo V, "Italia: Giovinezza! Giovinezza!", pag. 274, Ed. Jaka Book , 1984]


Un gruppo di garibaldini in trincea nelle Argonne

Giuseppe Garibaldi è l'eroe biondo e bello, l'impresa dei Mille è ricordata e rielaborata come un rito della gioventù.
Nell'introduzione a La Rossa avanguardia delle Argonne, Gabriele D'Annunzio scrive:
"Della prodezza garibaldina l'azione compiuta dai legionari italiani nella foresta dell'Argonna ha tutte le qualità tradizionali e direi leggendarie: la temerità giovenile, la rapidità fulminea, l'amore disperato del ferro freddo, la bellezza istintiva del gesto nella morte…”
Curzio Malaparte dirà nella sua Autobiografia che l'esperienza garibaldina, vissuta dallo scrittore a soli quindici anni, sarà per lui l'anticamera del fascismo. Anzi, non si comprenderebbe il fascismo senza la Legione Garibaldina.
“Se dovessi giudicarla oggi -scriverà più tardi- con l’esperienza storica e politica di questi ultimi anni, direi che la Legione Garibaldina era composta di fascisti: essa fu per me l’anticamera del fascismo. Vi predominavano tutti quegli elementi politici e sociali che dovevo poi ritrovare nel fascismo. Non si capirebbero le ragioni della mia adesione al fascismo se non si tenesse conto di quella mia esperienza garibaldina.”*
[Il quindicenne Curzio Malaparte non partecipò alle vicende belliche nelle Argonne, raggiunse a Parigi i garibaldini, o quello che ne restava, solo più tardi.
*Malaparte, Opere Scelte, Cronologia curata da Luigi Martellini, I Meridiani, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1997, pagg. .LXXXI-LXXXII]





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