sabato 9 aprile 2011

Libia del 1911-1912, la guerra coloniale degli italiani nell’Album Illustrato della Guerra Italo-Turca Seconda Parte

L’Album Illustrato della Guerra Italo-Turca, sembra anticipare alcune caratteristiche presenti nelle riviste pubblicate nel corso della Prima Guerra Mondiale. La commistione tra fotografie e illustrazioni assegna alle prime il compito di esaltare la potenza dell’esercito italiano e la missione civilizzatrice dell’Italia, alle seconde di propagandare il coraggio dei combattenti. È lo stesso schema narrativo che ritroviamo, ad esempio, su L’Illustration. Osservato a cento anni di distanza, l’album mostra un’Italia che proclama al mondo: “siamo cambiati, sappiamo fare la guerra, Adua è ormai alle nostre spalle!”.
Gli italiani schierano in Libia e nel Mare Egeo che presto diventa teatro di guerra, circa 35.000 uomini (diventeranno poi 100.000), i combattenti dell’Impero Ottomano sono 28.000. Le perdite dei due schieramenti ammontano a 3.431 morti tra gli italiani, di cui 1.948 per malattie e l’epidemia di colera, e 4.220 feriti. I soldati dell’Impero Ottomano caduti nella guerra sono 14.000, i feriti 5.370. A questi caduti occorre aggiungere i guerriglieri senussi e la popolazione civile.
Nelle ultime pagine dell’album troviamo le immagini dei caduti italiani, le piccole fotografie accompagnate dal nome e dal grado, diventano una sorta di pantheon degli eroi. E infatti queste pagine (sono in tutto 3) s’intitolano “i nostri eroi”.

La prima delle tre pagine dedicate ai caduti nella guerra di Libia



Nelle fotografie che documentano gli avvenimenti libici ci sono i morti, ma sono sempre i nemici. Si tratta di mucchi di cadaveri, a volte nudi o seminudi, di uomini che si sono fatti uccidere “inutilmente” (è questo l’idea che s’intende trasmettere al lettore) perché la forza dell’esercito italiano è inarrestabile.
Nelle fotografie non vi è traccia di caduti italiani.
Il forte di Meghreb e i caduti libici dopo la conquista italiana



Accampamento italiano e cadaveri dei nemici dopo l’assalto alla Ridotta Lombarda



Le cose stavano in modo assai diverso e gli storici imputano ai comandi non solo la sottovalutazione del nemico, cosa che avverrà per francesi e inglesi sulle spiagge di Gallipoli nel 1915, ma anche la scarsa determinazione nel proseguire le offensive una volta consolidato un risultato sul campo.
Una pagina con due fotografie rivela una certa inquietudine, il titolo è “dallo sbarco alle trincee”. Non c’è alcuna trincea, ma solo due file di soldati con il fucile puntato e un ufficiale che brandisce una pistola verso un nemico sempre in agguato.
I soldati che sfilano e quelli che sono pronti a resistere ad un attacco, nascondono una dura realtà fatta di agguati, di attacchi notturni e di un’inattesa ostilità mostrata dalla popolazione della Libia nei confronti di coloro che proclamano di portare la civiltà.

Dallo sbarco alle trincee



La civiltà italiana si manifesta con un’immagine tipica del clima di fiducia nel progresso: la ferrovia.
La pagina intitolata “I primi passi della civiltà italiana in Libia-L’inaugurazione della ferrovia Tripoli Ain-Zara”, mostra un treno imbandierato con militari ed operai che festeggiano questo simbolo di modernità: le speranze che tanto ci si attende dalla conquista saranno veramente realizzate.

I primi passi della civiltà italiana in Libia



Un tempo quando si parlava della guerra di Libia si diceva che tale zio, cugino, nonno o bisnonno avevano combattuto allo Sciara-Sciat. Questo episodio del conflitto diventa famoso in tutto il mondo e non per l’eroismo dei soldati italiani, ma per la repressione nei confronti della popolazione civile. Le due pagine dedicate allo Sciara-Sciat contengono due illustrazioni e una fotografia.
“L’epico combattimento di Sciara-Sciat” è il titolo di una pagina che mostra gli italiani accerchiati dai guerriglieri e che si difendono valorosamente. La didascalia così commenta: “L’INIQUO TRADIMENTO: L’11. regg. Bersaglieri comandato dal colonnello Fara (ora promosso maggior generale) posto alla difesa delle trincee orientali, veniva improvvisamente assalito da innumerevoli orde nemiche e mentre con fermezza e vigore sosteneva l’impreveduto violento assalto, fu sorpreso alle spalle da una completa ribellione degli arabi dell’Oasi, che, come da piano premeditato, strinsero gli eroici nostri bersaglieri in vero cerchio di fuoco. Parecchie centinaia dei nostri cari figli caddero vittime di tanta crudeltà.”


23 Ottobre: L’epico combattimento di Sicara-Sciat



L’attacco dello Sciara-Sciat, con un così alto numero di caduti da parte italiana è la dimostrazione di quanto le cose in Libia fossero più complicate del previsto. Lo storico britannico Christopher Duggan in “La forza del destino”, un testo in cui vengono analizzati aspetti politici e culturali della storia d’Italia, dall’arrivo di Napoleone ai nostri giorni, così descrive l’episodio dello Sciara-Sciat:
“All’alba del 25 ottobre circa 10.000 arabi e turchi ben armati sferrarono un violentissimo attacco contro le linee italiane nell’oasi di Sciara-Sciat, nei pressi di Tripoli, uccidendo 500 soldati. I cadaveri furono inchiodati alle palme, gli occhi cuciti e i genitali tagliati (a quanto sembra per rappresaglia contro oltraggi sessuali compiuti ai danni delle donne del posto). La risposta italiana fu terribile: migliaia di arabi vennero massacrati indiscriminatamente, e altre migliaia furono spediti nelle isole penitenziario. Vennero innalzati patiboli nelle piazze principali, e per ammonire i ribelli si procedette a impiccagioni pubbliche.”
(da La forza del destino di Christopher Duggan, pag. 437, Ed. Laterza, Bari 2011)

Giusta e severa repressione



Lo stupore e l’indignazione in Europa per il comportamento degli italiani e di cui abbiamo trovato eco in alcune riviste francesi che mostrano anche fotografie della repressione, comprendono anche una buona dose di ipocrisia. Nel corso della conquista coloniale tutte le nazioni europee che sino a quel momento avevano rivaleggiato nella costituzione di imperi in Africa e in Asia, avevano tenuto comportamenti simili a quello degli italiani quando avevano risposto ad attacchi dei ribelli. Il famoso concetto espresso da Kipling sul “fardello dell’uomo bianco” comportava anche quella “guerra contro i civili” di cui si parlerà per le guerre mondiali del Novecento e che grondava di sangue innocente. Si tratta di azioni terroristiche e le atrocità degli arabi nei confronti dei prigionieri (vere o presunte) servivano per dimostrare la giustezza della conquista. A barbarie si rispondeva con altrettanta barbarie.

1 commento:

  1. Sicuramente l'imperialismo italiano ha scritto alcune pagine orrende... Viva la Libia libera!

    Maria Şerban

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