sabato 23 aprile 2011

1915, La guerra dei gas Seconda parte


E’ significativo il fatto che sui numeri a nostra disposizione di una delle più importanti riviste satiriche francesi pubblicate durante la Prima Guerra Mondiale, “La Baionette”, (annate 1915/1916) non ci siano vignette sull’ impiego dei gas da parte dei tedeschi sul saliente di Ypres.
Questo può voler dire: “con i gas non si scherza”.
“La Baionette” pubblica vignette feroci sui tedeschi, ma anche sulla guerra, sono immagini che osservate con gli occhi di oggi fanno scuotere il capo per l’immediatezza del messaggio aggressivo inviato all’opinione pubblica più popolare e teso ad isolare ogni idea critica sulla conduzione e la durata della guerra. Ma sui gas non abbiamo trovato niente. Guglielmo Secondo è presentato come un vampiro e sui campi da lui attraversati aleggiano i corvi della morte.
La Baionette, 8-7-1915


Suo figlio, il Kronprintz, è un avvoltoio che dilania i cadaveri degli innocenti, ma non ci sono disegni di combattenti che indossano maschere antigas. 

La Baionette, 8-7-1915
Perché non si può scherzare con i gas quando invece si scherza su tutto? La risposta è complessa e solo in parte è possibile trovarla nelle immagini fotografiche e illustrazioni offerte ad un pubblico che lentamente si sta abituando alla guerra lunga.
Negli anni precedenti lo scoppio della Prima Guerra Mondiale nasce una letteratura che gli storici hanno definito “apocalittica” (Emilio Gentile, L’apocalisse della modernità. La Grande Guerra per l’uomo nuovo, Ed. Mondadori). Scrittori, filosofi e giornalisti di fama internazionale, descrivono le guerre del futuro come avvenimenti terrificanti e spesso nei loro scritti è anticipata la realtà che l’umanità avrà sotto gli occhi tra il 1914 e il 1918.
A tutto questo si accompagna un profondo pessimismo sulla capacità della razza bianca e in particolare dell’Europa, di sopravvivere ai cambiamenti così profondi che il passaggio tra il XIX° e il XX° secolo mette sotto gli occhi di tutti ( é interessante, a questo proposito, la lettura del romanzo di Fernand Celine, Morte a credito).
Una cosa però è immaginare e un’altra sperimentare sulla propria pelle gli effetti di nuove armi che rivelano un’alta forza distruttiva.
L’impiego dei gas aggiunge qualcosa in più nell’immaginario dei soldati al fronte e in quello delle immense retrovie contadine e urbane delle nazioni d’Europa.
Le pays de France N°53 21 Ottobre 1915



Il gas giunge come una nuvola che si muove sul terreno, ha strani colori, tonalità verdastre, è silenzioso e s’insinua negli anfratti, nei cunicoli, penetra anche all’interno dei vestiti. Quando colpisce, il gas uccide con atroci sofferenze, a volte chi lo respira non muore subito, ma dopo un certo lasso di tempo in cui appare assolutamente normale.
Le Pays de France N°41 29 luglio 1915



Se il gas giunge in una trincea dove gli occupanti non sono provvisti di maschere la morte è certa per tutti. Se cade un proiettile di artiglieria di grosso calibro è possibile che qualcuno si salvi, che pur orrendamente ferito possa restare in vita. Con il gas no.
E il combattente per salvarsi dal gas deve camuffarsi, non è più un soldato, è un incappucciato. E’ un uomo che sul viso ha qualcosa che somiglia all’immagine medievale della morte, con quei grandi occhiali che dilatano le orbite. Il suo volto è celato come gli antichi cavalieri, i Quattro Cavalieri dell’Apocalisse.
Le pays de France N° 42 5 agosto 1915



Con il gas non serve modificare il colore delle divise per renderle più uniformi con quello della “terra di nessuno”, non serve rinunciare al fascino romantico delle divise dai colori sgargianti fatte per guerre in cui si uccide, ma con rispetto dell’avversario.
Il combattente con la maschera antigas, se sopravvive o muore, non ha volto.
Le pays de France N° 42 5 agosto 1915



Questi due elementi: la paura del totale sterminio e la maschera somigliante al teschio della danza macabra di medievale memoria hanno fatto del gas un simbolo del Ventesimo secolo. La maschera antigas sopravvive alla Grande Guerra e quando si avvicina la nuova guerra mondiale sarà distribuita ai civili per esercitazioni nelle città e nelle campagne. Vengono fotografati uomini, donne e bambini con maschere antigas sul volto. Il gas non viene usato nella Seconda Guerra Mondiale, ma è con il gas che vengono uccisi milioni di ebrei nei campi di sterminio nazisti poco più di vent’anni dopo il 1918.

Per chi voglia approfondire questo argomento si consiglia la lettura dei seguenti volumi:

-"Gaz! Gaz! Gaz! La guerre chimique 1914-1918" edito a cura dell'Historial de la Grande Guerre di Péronne, Edizioni 5 Continents, 2010
-"Gas! La guerra chimica sui fronti europei nel primo conflitto mondiale" di Giorgio Seccia, Nordpress Edizioni, 2005






martedì 19 aprile 2011

1915, La guerra dei gas Prima parte

Lancio dei gas, Larousse médical illustré de la guerre



“Nel mese di aprile 1915 i tedeschi iniziarono a impiegare, in disprezzo della Convenzione di La Haye, i gas asfissianti sotto forma di emissione di nuvole, poi di proiettili o di granate lacrimogene che colpendo il terreno spandevano liquidi o vapori che rendevano l’aria irrespirabile. I prodotti utilizzati sono il cloro, il bromo, vapori nitrati e derivati del cloro e del bromo.”

Questo è l’inizio di un articolo dedicato ai gas asfissianti su un volume monografico, pubblicato dalle edizioni francesi Larousse (famose per il vocabolario e l’enciclopedia) nel 1916 e dedicato ai differenti aspetti della medicina nel corso della guerra che si combatte dall’agosto del 1914.

Questa pubblicazione consente di verificare lo stato della cultura medica in un momento in cui la guerra sta rivelando la sua novità tecnico-scientifica.

L’impiego dei gas asfissianti sul saliente di Ypres il 22 aprile 1915 apre, di fatto, un nuovo capitolo nella storia della guerra e delle armi impiegate dall’uomo per uccidere i propri simili e spargere il terrore tra le file dell’avversario.

Se sono i tedeschi ad iniziare con i gas, tutte le altre nazioni belligeranti li seguono su questa strada, compresi gli italiani che nel 1916, durante i combattimenti sul Monte San Michele, subiscono un devastante attacco con i gas da parte degli austroungarici.

Larousse médical illustré de la guerre, 1916



In un piccolo libretto di istruzione militare, Guide pratique. Soldat en campagne, edito dall’esercito francese nel 1889 e di proprietà del signor Henri Choumyre, soldat de 1ère classe à la date du 18 janvier 1888 (così scrive di suo pugno H. C.), troviamo un questionario che riguarda il diritto comportamento degli eserciti in caso di guerra.



Guide pratique. Soldat en campagne



Alla domanda Quels sont les moyens defendus?, la risposta è:

“-1° On ne doit pas servir de poison ou des armes empoisonnées.

-2° On ne fait pas semblant de se rendre pour frapper son ennemi.

-3° On ne doit se servir du drapeau parlamentaire (blanc), du brassard ou du drapeau de Genève que dans les cas admis. “

Guide pratique. Soldat en campagne, disposizioni della Convenzione di Ginevra






Più avanti, alla domanda Quels sont les droits du combattant à l’égard de ses ennemis prisonniers ?, il manuale risponde :

“Le combattant n’a sur ses ennemis prisonniers que les pouvoirs nécessaires pour s’assurer de leur personne et les mettre à la disposition de l’autorité supérieure. ”

Le disposizioni contenute nel libretto di Henri Choumyre vengono per la gran parte violate da tutti gli eserciti che combattono la Prima Guerra Mondiale e in particolare la prima, oggetto di trattative nel corso delle due conferenze di La Haye in cui si cerca, con molta ipocrisia da parte di tutti i partecipanti, di avviare una politica di disarmo e di limitazione delle armi che rappresentano non solo una novità, ma anche un’eccezione nel modo di condurre la guerra.

La questione dell’impiego dei gas asfissianti era stata posta almeno due decenni prima l’agosto del 1914 e il loro impiego era ritenuto inutile in una prospettiva della guerra di breve durata.

I tedeschi, ad esempio, sostenevano che in caso di guerra tutte le armi erano impiegabili al fine di consentire la rapidità del conflitto, l’unico modo per renderlo più umano.

Le cose cambiano dopo la Battaglia della Marna, quando la guerra diventa di posizione e si comincia a dubitare della sua brevità. Dopo l’impiego dei gas il 22 aprile del 1915, il soldato della Grande Guerra assume uno strano aspetto: è un uomo che combatte con una maschera sul viso. Al posto del ferro usato dai guerrieri medievali, ora è la volta della maschera antigas che diventerà uno degli oggetti-simbolo per il ricordo della guerra.

L’intenzione non è di esaminare solo gli aspetti scientifici e medici della fabbricazione e dell’impiego dei gas nel corso della Prima Guerra Mondiale, ma presentare l’immagine che viene offerta alla gente e, in particolare, da una rivista che spesso è punto di riferimento, in quanto quasi esclusivamente fotografica, per questo blog: “Le Miroir”.

L’immagine che viene fornita del combattente nella guerra dei gas, detta anche guerra chimica, non è estranea ad alcune caratteristiche specifiche di quest’arma e che suscitano, da subito, una ripulsa che va ben al di là del numero (limitato) di vittime che i gas provocano tra il 1915 e il 1918.

Ma per comprendere l’impressione che suscita l’impiego dei gas asfissianti, iniziamo con un’immagine tratta dalla rivista italiana “ Domenica del Corriere”. E’ una tavola di Achille Beltrame e l’immagine risulta di grande impatto emotivo.

Domenica del Corriere, 1915, tavola di Achille Beltrame sull’impiego dei gas






Beltrame rappresenta questa nuova fase della guerra con i francesi si difendono come possono dalla nuvola avvelenata e i tedeschi che non sembrano combattenti, ma un gruppo di alieni, simili a quelli descritti da H.G. Wells nel romanzo “La guerra dei mondi”, pubblicato nel 1898.

Anche la didascalia è significativa.

“La brutta guerra: con i gas asfissianti e non con le armi, i tedeschi riescono a conquistare trincee presso Ypres.”

In questo breve testo si possono individuare due motivi di fondo: il primo è che questa guerra è diversa da quelle del passato e quindi “brutta”, il secondo è che il gas asfissiante non è un’arma, ma un mezzo distinto e per questo ritenuto infame.

Il gas è quindi un mezzo, si direbbe oggi, non convenzionale per combattere e chi lo usa dovrebbe essere bandito dalla comunità internazionale. L’Italia ancora non è in guerra, ma sta per entrarci e “Domenica del Corriere”, su mandato del direttore del “Corriere della sera” Luigi Albertini, appoggia apertamente l’intervento a fianco dell’Intesa. Chi impiega i gas è un barbaro e i tedeschi non sono un popolo civile.

Larousse médical illustré de la guerre, 1916. Diversi tipi di maschere antigas in dotazione all’esercito francese

Per chi voglia approfondire questo argomento si consiglia la lettura dei seguenti volumi:
-"Gaz! Gaz! Gaz! La guerre chimique 1914-1918" edito a cura dell'Historial de la Grande Guerre di Péronne, Edizioni 5 Continents, 2010
-"Gas! La guerra chimica sui fronti europei nel primo conflitto mondiale" di Giorgio Seccia, Nordpress Edizioni, 2005



sabato 9 aprile 2011

Libia del 1911-1912, la guerra coloniale degli italiani nell’Album Illustrato della Guerra Italo-Turca Seconda Parte

L’Album Illustrato della Guerra Italo-Turca, sembra anticipare alcune caratteristiche presenti nelle riviste pubblicate nel corso della Prima Guerra Mondiale. La commistione tra fotografie e illustrazioni assegna alle prime il compito di esaltare la potenza dell’esercito italiano e la missione civilizzatrice dell’Italia, alle seconde di propagandare il coraggio dei combattenti. È lo stesso schema narrativo che ritroviamo, ad esempio, su L’Illustration. Osservato a cento anni di distanza, l’album mostra un’Italia che proclama al mondo: “siamo cambiati, sappiamo fare la guerra, Adua è ormai alle nostre spalle!”.
Gli italiani schierano in Libia e nel Mare Egeo che presto diventa teatro di guerra, circa 35.000 uomini (diventeranno poi 100.000), i combattenti dell’Impero Ottomano sono 28.000. Le perdite dei due schieramenti ammontano a 3.431 morti tra gli italiani, di cui 1.948 per malattie e l’epidemia di colera, e 4.220 feriti. I soldati dell’Impero Ottomano caduti nella guerra sono 14.000, i feriti 5.370. A questi caduti occorre aggiungere i guerriglieri senussi e la popolazione civile.
Nelle ultime pagine dell’album troviamo le immagini dei caduti italiani, le piccole fotografie accompagnate dal nome e dal grado, diventano una sorta di pantheon degli eroi. E infatti queste pagine (sono in tutto 3) s’intitolano “i nostri eroi”.

La prima delle tre pagine dedicate ai caduti nella guerra di Libia



Nelle fotografie che documentano gli avvenimenti libici ci sono i morti, ma sono sempre i nemici. Si tratta di mucchi di cadaveri, a volte nudi o seminudi, di uomini che si sono fatti uccidere “inutilmente” (è questo l’idea che s’intende trasmettere al lettore) perché la forza dell’esercito italiano è inarrestabile.
Nelle fotografie non vi è traccia di caduti italiani.
Il forte di Meghreb e i caduti libici dopo la conquista italiana



Accampamento italiano e cadaveri dei nemici dopo l’assalto alla Ridotta Lombarda



Le cose stavano in modo assai diverso e gli storici imputano ai comandi non solo la sottovalutazione del nemico, cosa che avverrà per francesi e inglesi sulle spiagge di Gallipoli nel 1915, ma anche la scarsa determinazione nel proseguire le offensive una volta consolidato un risultato sul campo.
Una pagina con due fotografie rivela una certa inquietudine, il titolo è “dallo sbarco alle trincee”. Non c’è alcuna trincea, ma solo due file di soldati con il fucile puntato e un ufficiale che brandisce una pistola verso un nemico sempre in agguato.
I soldati che sfilano e quelli che sono pronti a resistere ad un attacco, nascondono una dura realtà fatta di agguati, di attacchi notturni e di un’inattesa ostilità mostrata dalla popolazione della Libia nei confronti di coloro che proclamano di portare la civiltà.

Dallo sbarco alle trincee



La civiltà italiana si manifesta con un’immagine tipica del clima di fiducia nel progresso: la ferrovia.
La pagina intitolata “I primi passi della civiltà italiana in Libia-L’inaugurazione della ferrovia Tripoli Ain-Zara”, mostra un treno imbandierato con militari ed operai che festeggiano questo simbolo di modernità: le speranze che tanto ci si attende dalla conquista saranno veramente realizzate.

I primi passi della civiltà italiana in Libia



Un tempo quando si parlava della guerra di Libia si diceva che tale zio, cugino, nonno o bisnonno avevano combattuto allo Sciara-Sciat. Questo episodio del conflitto diventa famoso in tutto il mondo e non per l’eroismo dei soldati italiani, ma per la repressione nei confronti della popolazione civile. Le due pagine dedicate allo Sciara-Sciat contengono due illustrazioni e una fotografia.
“L’epico combattimento di Sciara-Sciat” è il titolo di una pagina che mostra gli italiani accerchiati dai guerriglieri e che si difendono valorosamente. La didascalia così commenta: “L’INIQUO TRADIMENTO: L’11. regg. Bersaglieri comandato dal colonnello Fara (ora promosso maggior generale) posto alla difesa delle trincee orientali, veniva improvvisamente assalito da innumerevoli orde nemiche e mentre con fermezza e vigore sosteneva l’impreveduto violento assalto, fu sorpreso alle spalle da una completa ribellione degli arabi dell’Oasi, che, come da piano premeditato, strinsero gli eroici nostri bersaglieri in vero cerchio di fuoco. Parecchie centinaia dei nostri cari figli caddero vittime di tanta crudeltà.”


23 Ottobre: L’epico combattimento di Sicara-Sciat



L’attacco dello Sciara-Sciat, con un così alto numero di caduti da parte italiana è la dimostrazione di quanto le cose in Libia fossero più complicate del previsto. Lo storico britannico Christopher Duggan in “La forza del destino”, un testo in cui vengono analizzati aspetti politici e culturali della storia d’Italia, dall’arrivo di Napoleone ai nostri giorni, così descrive l’episodio dello Sciara-Sciat:
“All’alba del 25 ottobre circa 10.000 arabi e turchi ben armati sferrarono un violentissimo attacco contro le linee italiane nell’oasi di Sciara-Sciat, nei pressi di Tripoli, uccidendo 500 soldati. I cadaveri furono inchiodati alle palme, gli occhi cuciti e i genitali tagliati (a quanto sembra per rappresaglia contro oltraggi sessuali compiuti ai danni delle donne del posto). La risposta italiana fu terribile: migliaia di arabi vennero massacrati indiscriminatamente, e altre migliaia furono spediti nelle isole penitenziario. Vennero innalzati patiboli nelle piazze principali, e per ammonire i ribelli si procedette a impiccagioni pubbliche.”
(da La forza del destino di Christopher Duggan, pag. 437, Ed. Laterza, Bari 2011)

Giusta e severa repressione



Lo stupore e l’indignazione in Europa per il comportamento degli italiani e di cui abbiamo trovato eco in alcune riviste francesi che mostrano anche fotografie della repressione, comprendono anche una buona dose di ipocrisia. Nel corso della conquista coloniale tutte le nazioni europee che sino a quel momento avevano rivaleggiato nella costituzione di imperi in Africa e in Asia, avevano tenuto comportamenti simili a quello degli italiani quando avevano risposto ad attacchi dei ribelli. Il famoso concetto espresso da Kipling sul “fardello dell’uomo bianco” comportava anche quella “guerra contro i civili” di cui si parlerà per le guerre mondiali del Novecento e che grondava di sangue innocente. Si tratta di azioni terroristiche e le atrocità degli arabi nei confronti dei prigionieri (vere o presunte) servivano per dimostrare la giustezza della conquista. A barbarie si rispondeva con altrettanta barbarie.

sabato 2 aprile 2011

Libia del 1911-1912, la guerra coloniale degli italiani nell’Album Illustrato della Guerra Italo-Turca Prima Parte

L’Album Illustrato della Guerra Italo-Turca, viene pubblicato a Napoli dall’editore Giovanni Gervasio (Angiporto Galleria, N°40) al prezzo di L. 2. Non c’è la data di pubblicazione, ma riteniamo che sia collocabile a ridosso degli avvenimenti che racconta sia fotograficamente che con illustrazioni. Le immagini coprono un arco di tempo che va dal 20 settembre 1911 al 15 ottobre 1912.

Copertina e controcopertina de L’Album Illustrato della Guerra Italo-Turca






E’ inutile aspettarsi da queste immagini qualche lontano accenno alle difficoltà della conquista. L’album è uno strumento di propaganda che deve glorificare l’impresa e informare i cittadini sulle battaglie per quella che sarà definita la “quarta sponda”.
Prima pagina dell’Album



Seguiremo i capitoli dell’album presentando le immagini che ci sembrano più significative di una guerra che assume caratteristiche di estrema brutalità e che inaugura anche l’impiego di armi del tutto nuove, ad esempio l’aviazione.

Gli aviatori italiani che parteciparono al conflitto



Prima di passare alle immagini è però necessario capire cosa rappresenta per l’Italia la Guerra di Libia.
“Se forse è eccessiva l’opinione di quanti hanno voluto ravvisare nell’impresa di Libia la scintilla della grande guerra, è tuttavia indubbio che il colpo che essa inferse alla potenza ottomana, accentuando il vuoto di potere già da tempo apertosi nella sua area, lo sconvolgimento provocato nei Balcani e la conseguente riacutizzazione dei contrasi austro-russi contribuirono ad aggravare la tensione internazionale e a conferire al conflitto, che sarebbe scoppiato nell’estate del 1914, la natura di un complicato groviglio in cui sarebbero confluite vecchie e nuove rivalità della politica europea e i nuovi focolai di guerra accesi dall’imperialismo straccione dell’Italia giolittiana.”

(da “La storia politica e sociale” in “Storia d’Italia” vol 4° “Dall’unità ad oggi” Edizioni Einaudi, Torino, 1976 “Nuovi equilibri di potere” di Ernesto Ragionieri, pag. 1948-1949)
Il giudizio dello storico Ernesto Ragionieri ben evidenzia il carattere di novità che la Guerra di Libia del 1911 rappresenta per l’intera area del Mediterraneo e per l’Italia.
Se l’Italia non è la prima ad accendere la miccia della Prima Guerra Mondiale, la Guerra di Libia certo rafforza quella componente politica che nel 1915, con più convinzione sostiene che gli italiani debbono entrare nel grande conflitto europeo iniziato nell’agosto del 1914.

L’artiglieria italiana annienta il nemico a Kars-el-Leben, settembre 1912



I nazionalisti sono una minoranza intellettuale inquieta e per questo molto pericolosa che riesce, in qualche modo, a diventare egemone nella cultura italiana del tempo e a darsi una moderna organizzazione come forza politica conservatrice.
Gli elementi che caratterizzano l’azione dei nazionalisti sono: la propugnazione di una politica imperialista nel Mediterraneo e sulle sponde dell’Adriatico, l’insofferenza verso il moderatismo di Giovanni Giolitti in politica estera e i tentativi di integrare nel sistema liberale il Partito Socialista Italiano, l’antisocialismo e l’appello alle classi imprenditoriali affinché reagiscano all’estendersi dell’influenza socialista tra le masse popolari italiane.
La nascita del movimento nazionalista è contemporanea a quella di un capitalismo monopolistico in Italia legato a forti interessi finanziari che vuole espandersi, che è più dinamico rispetto alle classi imprenditoriali del passato, che non vuole intralci né dentro né fuori le fabbriche, che considera lo Stato un ombrello all’ombra del quale crescere e che, per questo, va controllato. Sono caratteristiche diverse dalle vecchie politiche conservatrici della destra liberale, si riveleranno maggiormente con l’entrata dell’Italia nella Grande Guerra e con la successiva conquista del potere da parte del fascismo.


Una delle pagine dedicate alle navi da guerra italiane



La guerra di Libia del 1911 segna una svolta a destra nella politica italiana ed è la grande occasione per dimostrare al mondo che l’Italia non è più quella di un tempo e che punta ad un ruolo attivo nello scacchiere mediterraneo.


La squadra navale italiana davanti a Rodi



La guerra viene preparata da Giolitti e dal suo ministro degli esteri Antonino di San Giuliano (grande propugnatore dell’impresa) con un’azione diplomatica tesa ad acquisire il placet delle grandi potenze ed è appoggiata dal Vaticano per ragioni ideologiche e ancor più di carattere economico. Il Banco di Roma, massima espressione della finanza cattolica, ha grossi interessi in Libia e nelle regioni dell’impero Ottomano, per questo appoggia l’impresa.
La guerra riscuote anche una vasta partecipazione popolare: tra le classi medie si accendono grandi speranze per il nuovo ruolo di potenza dell’Italia e anche i contadini sembrano appoggiare una guerra che potrebbe risolvere il problema dell’emigrazione. Le speranze saranno presto deluse e l’impresa di conquistare la Libia si rivelerà ben più ardua del previsto.