Le Miroir N° 238 del 16 giugno 1918 Il bacio di una donna italiana alla bandiera |
Questa fotografia fu pubblicata in grande formato sul N° 238 del 16 giugno 1918, della rivista francese Le Miroir. L’origine dell’immagine è certamente una fonte ufficiale, forse lo il Servizio Fotografico dell’Esercito Italiano, e si vuole comunicare ai francesi il forte slancio patriottico che anima gli italiani nel corso delle battaglie del Piave.
Nella didascalia leggiamo:
“Si è svolta a Roma, qualche giorno fa, una cerimonia toccante. La consegna dei diplomi d’onore alle vedove dei soldati italiani morti per la patria. Nel corso di questa cerimonia una donna in lutto, a cui era stata appena consegnata la decorazione e il diploma guadagnato da suo figlio caduto sul campo di battaglia, si è precipitata in lacrime sulla bandiera e stringendo tra le mani la seta leggera, l’ha baciata con slancio. Questo nobile gesto è degno di essere ricordato con l’immagine.”
La fotografia sembra autentica. Non sappiamo chi è questa donna, non conosciamo il nome del caduto e non ci è dato sapere come la patria sarà stata riconoscente con la madre del soldato, una delle migliaia di vedove, fidanzate e madri private dei loro affetti nel corso della partecipazione italiana alla Prima Guerra Mondiale. Più di 600.000 morti, un milione di feriti e un trauma che non si cancellerà nella società italiana. Dalla guerra verrà il fascismo, una dittatura durata vent’anni, e una nuova guerra devastante. Dalle ceneri del fascismo e della monarchia sabauda, nascerà la Repubblica che oggi si appresta a celebrare i 150 anni dell’Unità d’Italia. Le celebrazioni avvengono in un clima di scontro alimentato dalla Lega Nord che persegue l’obbiettivo della secessione del Nord d’Italia. L’azione del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e quella della parte più consapevole della società italiana, vogliono far in modo che questo anniversario non sia solo una celebrazione, ma un momento di riflessione critica per andare avanti con una nazione unita dotata di un federalismo solidale. Una secessione in Italia sarebbe un rischio gravissimo per la stabilità nel Mediterraneo e per la stessa Europa. La secessione non sarebbe indolore. Dire questo però non basta. La fotografia che venne pubblicata sulla rivista francese nel 1918 non rappresenta la verità e la realtà della Grande Guerra. Il conflitto a cui l’Italia partecipò tra il 1915 e il 1918 fu occasione di un’altra divisione e provocò altri risentimenti. Certo, ci furono tra gli interventisti esponenti di un ceto politico e intellettuale sinceramente democratico (Gaetano Salvemini, Giovanni Amendola), ma l’egemonia fu conquistata ben presto dalla parte più aggressiva del nazionalismo che vedeva nell’entrata in guerra non il compimento del Risorgimento, ma un modo per regolare i conti con il socialismo e la democrazia che, pur con difficoltà, era avanzata negli anni di Giovanni Giolitti. La storia dell’Italia unita è un susseguirsi di eventi segnati dalla divisione, dalla lotta tra progresso e conservazione, dallo scontro tra il mito di un primato culturale originato dall’Impero Romano e una visione realistica su un paese povero, guidato da una classe imprenditoriale e politica arretrata e reazionaria. Il filosofo ed esponente politico del centrosinistra Massimo Cacciari ha detto di recente che la generazione di chi oggi ha sessanta anni, quando ne aveva venti (più o meno nel 1968) non aveva alcun sentimento patriottico, guardava oltralpe e sentiva estranea l’idea della nazione. E’ vero ed era una reazione, anzi un rifiuto, di quell’Italia della conservazione e clericale ancora in posizione egemone in tanti campi della vita civile. Oggi, ha proseguito Cacciari, si difende l’unità d’Italia perché c’è la Lega che pone il problema della separazione. Questo è un fatto naturale: ad ogni azione c’è una reazione. E’ la reazione di ceti intellettuali e di larghi settori della società civile che vedono nel messaggio leghista lo stesso contenuto conservatore, anzi retrivo, che venne utilizzato in altri momenti della storia nazionale. Ad esempio quando si trattò di decidere se entrare o no nella Grande Guerra. Per questo l’Unità dell’Italia nata dall’antifascismo e presupposto della democrazia, è un bene che bisogna far diventare collettivo. Per farlo non basta appellarsi ai buoni sentimenti o ricordare i padri nobili dell’unità (Garibaldi, Cavour, Mazzini, lo stesso Vittorio Emanuele Secondo), ma anche parlare delle cose che divisero, delle delusioni e dei tradimenti. Carlo Pisacane e i trecento di Sapri non erano certamente monarchici e come loro tanti che diedero la loro vita nelle battaglie risorgimentali. Nel corso della lotta per l’Unità d’Italia ci fu un conflitto di idee e politico che bisogna ricordare. Solo con un’operazione di verità e chiarezza si può far in modo che le giovani generazioni sentano l’unità nazionale come un bene di libertà e di progresso per l’Italia e l’Europa.