Le Miroir, N° 396, 1919. L'appello di D'Annunzio al popolo francese. |
Riportiamo qualche brano di questo
testo in cui D'Annunzio lancia una sfida all'opinione pubblica europea: la
scelta di guidare l'occupazione di Fiume è irreversibile e la sosterrà fino
alla morte.
["Fratelli di Francia,
sapete ciò che abbiamo fatto sotto l'ispirazione e la protezione del nostro
Dio. La più italiana delle città d'Italia, più italiana di Verona o Pisa o di
Perugia o di tutti gli altri insigni comuni, era perduta per noi sotto la
minaccia di tutte le profanazioni e di tutte le violenze. Ero malato nel mio
letto. Mi sono alzato per rispondere all'appello. Le forze non mi hanno mai
abbandonato. Io e i miei compagni abbiamo obbedito allo spirito e attraverso di
lui abbiamo superato tutti gli ostacoli e le miserie. Lo spirito ha compiuto il
prodigio. In poche ore, senza colpo ferire, mi sono impadronito della città,
del territorio, delle navi e di una parte della linea di armistizio. Le truppe
inviate contro di me sono passate dalla mia parte con le loro armi...La
bandiera è issata alla cima della volontà umana e sovrumana di soffrire, di
lottare, di resistere..Sono deciso a tenere e difendere la città sino alla
fine, con tutte le armi disponibili. Siamo pronti a morire di fame nelle
strade, a farci seppellire dalla sue rovine, a bruciare nelle sue case
incendiate, a fregarcene di qualunque minaccia, ad affrontare ridendo
coraggiosi la morte più crudele. In questa condizione - e tutti i combattenti
francesi lo sanno, a loro gloria - siamo invincibili... Coloro che in anni e
anni di lutto hanno appeso corone alle statue delle città schiave. possono oggi
condannarci? Fratelli di Francia non vi chiedo di venire in nostro soccorso per
una causa che è tra le più belle del mondo. Il combattente che si è votato con
ardore alla vostra nell'agosto del 1914, lo stesso che non si è allontanato
dall'Ile-de-France se non per andare a predicare la guerra nel maggio del 1915.
Lo stesso che ha sorvolato il fronte dell'Aisne nel settembre del 1914, vi
saluta senza speranza o acrimonia, dall'alto della città assediata.22 settembre
1919]
Le Miroir, N° 306, 1919, firma di Gabriele D'Annunzio |
Dal punto di vista fotografico,
la pubblicazione sulle riviste di documenti di questo tipo amplifica il
messaggio. L'appello ai francesi non resta così nella stretta cerchia di
intellettuali e politici, ma raggiunge un numero di persone vasto. Non era una
cosa nuova e già da tempo era iniziata la diffusione di documenti sotto forma
di fotografie stampate sulle riviste.
Gabriele D'Annunzio non morirà
a Fiume. Quando il governo Giolitti, succeduto a quello di Nitti, definito da
D'Annunzio "cagoia", che aveva traccheggiato quasi un anno finendo
così per far incancrenire una situazione densa di pericoli, decide di
intervenire militarmente dopo la firma del Trattato di Rapallo, il poeta-duce
si ritira in buon ordine e lascia morire pochi legionari. E' l'ultimo atto
della carriera politica di D'Annunzio che si chiude in un esilio, rotto soltanto
per dare un appoggio discontinuo al fascismo nella fase più acuta dello scontro
di classe che sconvolge l'Italia tra la fine del 1920 e il 1922.
[Nel
Trattato di Rapallo, stabilito tra Il regno d'Italia e il Regno di Jugoslavia,
Fiume venne riconosciuta città libera, l'Italia ampliò i suoi confini
includendo Trieste, Gorizia, Zara e l'Istria. Fu il Governo Giolitti a firmare
il trattato, compiendo un gesto che contribuiva alla distensione in Europa. Il
governo si impegnò a far sgomberare l'isola dai legionari fiumani che
progressivamente avevano suscitato l'insofferenza della popolazione. Dopo il rifiuto
di D'Annunzio di abbandonare la città, Giolitti ordinò all'esercito di
intervenire. Fiume fu annessa all'Italia dal Primo governo Mussolini con il Trattato
di Roma in cui, in un'ottica di amicizia e collaborazione economica con la
Jugoslavia, la città fu divisa tra i due stati e Fiume divenne capoluogo di
provincia. Gli Stati Uniti non parteciparono alla conferenza di Rapallo e
sull'altra sponda dell'Atlantico era prevalso da tempo, l'isolazionismo nei confronti dei
problemi europei. ]
Le immagini del cosiddetto
"natale di sangue", con il palazzo del governatorato e l'ufficio di
D'Annunzio bombardati, sono la prova più chiara che tra gli italiani si sta
aprendo un solco incolmabile. E', per alcuni, quella linea pericolosa che
divide lo spirito dalla ragione di stato, dalla convenienza ad ottemperare gli
obblighi presi a livello internazionale. Non è un caso che nella biografia di
Mussolini, "Dux" di Margherita Sarfatti, a queste fotografie venga
dato un risalto particolare. Esse sono la prova tangibile di un atto di guerra
tra italiani, una situazione umiliante a cui il fascismo vittorioso metterà
fine.
Da Dux di Margherita Sarfatti, pag 116. Le tragiche giornate di Fiume alla vigilia del Natale del 1920. Il ponte della Fiumara fatto saltare dai legionari. (Fot. Vaccari) |
Da Dux di Margherita Sarfatti, pag 117. Giornate del Natale fiumano. Il Palazzo della Reggenza colpito dalle granate della nave Andrea Doria. (Fot. Vaccari) |
Queste fotografie sono entrate
nella storia d'Italia, vengono eseguite e mostrate in un momento particolare. A
natale del 1920, quando da tempo si è esaurita la spinta popolare e di sinistra
culminata con l'occupazione delle fabbriche, il fascismo sta diventando un
movimento apertamente reazionario che lancia la sua violenta offensiva contro
le organizzazioni e i militanti della classe operaia.
A Gabriele D'Annunzio, ai suoi
proclami, alle invettive, all'appello agli istinti irrazionali, allo spirito
evocato per rendere cosa mistica la città di Fiume, risponde, con largo
anticipo di alcuni mesi (il documento è datato 1° aprile 1919), un
intellettuale francese che si è arruolato volontario nel 1914. Pur malato, è
stato in prima linea 16 mesi, è stato insignito con due decorazioni perché,
come barelliere, si è impegnato in missioni pericolose e al suo ritorno nelle
retrovie ha scritto un romanzo che ha vinto il prestigioso Prix Goncourt. Si
tratta di Henri Barbusse, l'autore di "Il fuoco-diario di una
squadra". Il romanzo di Barbusse è uno dei più violenti attacchi alla
guerra, una denuncia senza confini ne limiti di tempo, un atto di verità per
dire che in Europa si stava consumando solo un grande massacro e che i
combattenti non erano altro che marionette in uno scenario in cui altri tenevano
i fili dello spettacolo di morte.
Barbusse risponde a D'Annunzio
sul giornale francese "Le populaire" e rimprovera al poeta soldato, il
duce della riscossa contro la "vittoria mutilata", di non aver capito
niente dei nuovi tempi.
Il testo dell'articolo fa parte
di una raccolta di scritti intitolata "Paroles d'un combattant-articles et
discours 1917-1920", edito da Ernest Flammarion.
Paroles d'un combattant di Henri Barbusse, edizioni Flammarion |
L'articolo riguardante le posizioni di Gabriele D'Annunzio |
[Caro maestro vi abbiamo
ammirato per la magnificenza della vostra opera di poeta...Dopo il cataclisma
che, per quattro anni ha sfigurato l'Europa in intere regioni e l'ha popolata di venti
milioni di morti, la vostra voce si leva
di nuovo e il vostro lirismo si diffonde in questo scritto che ho ricevuto da parte del "capitano
Gabriele d'Annunzio". E' la stessa voce? Non credo...Perchè? Perché la
vostra voce, mio caro maestro, la vostra voce che si armonizzava con al
vasto dramma della realtà vivente, non
si accorda più con il dramma infinitamente vivente , anche lui, di cui il
mondo è oggi teatro. Essa non
corrisponde più alla grandezza del dolore, della miseria e della speranza
universale...Mentre affidate la vostra voce per cercare di dare alla lotta
sanguinosa tra i popoli uno splendore che non ha, per resuscitare e difendere
un onore militare che la guerra ha condannato e distrutto....Le conseguenze formidabili
del conflitto supremo si riducono per voi a questioni di spartizione di
bottino. Mentre cercate faticosamente,
per difendere la vostra tesi imperialista, degli accenti tragicomici in cui la
vostra ispirazione si dibatte maldestra,
l'universo umano sta cambiando
interamente di anima e volontà. Questo immenso avvenimento vi sfugge ed
è per questo che la vostra lirica suona vuota...Ammiriamo l'Italia, luce nei
secoli, paradiso terrestre in cui la bellezza antica è nata una seconda volta da quattrocento
anni...Ma non c'è oggi, come credete, una causa italiana, una francese o una
latina. Ci sono gli uomini; e gli interessi degli uomini sono contrari alla
lotta fra gli interessi nazionali. Ci sono moltitudini che, sin dall'inizio dell'epoca
viviamo sono diventati schiavi e che nonostante tutti i sofismi di linguaggio,
facevano una guerra di cui altri approfittavano...Si parla di doppiezze , di
promesse fatte all'Italia e non mantenute. E sia. Ma lo ripeto, una grande
questione domina le piccole questioni e le fantasie diplomatiche. Se ci sono
tradimenti e doppiezze, le vere sono quelle di chi si è reso colpevole verso i
popoli per farli marciare gli uni contro gli altri. Li hanno riempiti di parole
farsesche: giustizia, diritto,
liberazione universale, guerra definitiva alla guerra. I ciechi, di cui voi , poeta
tribuno, di cui vi fate complice, invocano la pace universale per asservirla al
loro profitto: si servono di grandi verità
che per garantire il loro possesso e restaurare la vecchia anarchia
mondiale, piena di certezze di nuovi stermini...Colui che oggi non vede,
ostinatamente, in modo stretto, che la sola causa del suo popolo su tutti, lo
tradisce, perché lavora ai massacri in
cui questo popolo cadrà presto o tardi
insieme agli altri..."]
Concludendo questa carrellata
incompleta e sommaria di un momento della crisi italiana del primo dopoguerra,
ci pare di dover esprimere una considerazione. Le fotografie degli avvenimenti,
quelle pubblicate su Le Miroir e quelle su Dux, furono viste in momenti diversi
da milioni di persone e furono il segnale di un qualcosa che pochi capirono
alla fine del 1920, e cioè che la partita della Prima Guerra Mondiale non si
era conclusa. Si apriva in Europa un'altra fase in cui i semi maligni gettati anche
attraverso le immagini che gli europei videro, sarebbero germogliati nel corso
di venti anni generando un nuovo e terribile conflitto. Le parole di
intellettuali come Henri Barbusse però non furono inutili: ispirarono
l'antifascismo europeo che si batté in Spagna nel corso della guerra civile e
in tutta Europa durante la Seconda Guerra Mondiale.