Bersaglieri, la cartolina sul retro non ha testo |
E’ nostra intenzione confrontare le immagini e i testi di alcune cartoline che provengono per la gran parte dalla famiglia Mizzoni e che furono inviate durante la Grande Guerra.
[Chi scrive è nipote di Giuseppe Mizzoni e Margherita del Nero. Durante la Prima Guerra Mondiale i coniugi Mizzoni si scrissero quotidianamente e il loro carteggio, per fortuna salvato, costituisce una finestra aperta sui sentimenti della gente comune nel corso del conflitto. In particolare, le lettere di Margherita sembrano uno strumento utile per capire quale fosse la situazione del cosiddetto “fronte interno” in un paese della Ciociaria, Veroli, tra il 1915 e il 1918. In altri post abbiamo utilizzato brani tratti dalle lettere di Margherita del Nero.]
Ci è parso di ravvisare in questo confronto, una divaricazione tra l’immagine proposta sulle cartoline e i testi scritti dalle persone che le inviavano.
Le immagini appartengono ad un’idea della guerra italiana coltivata dagli intellettuali e di riflesso dalla media borghesia, nei decenni precedenti e che proponeva un’Italia aggressiva e vendicatrice. Un’Italia che si poneva finalmente sullo stesso piano delle altre nazioni europee economicamente e militarmente forti, padrone di imperi coloniali vasti e in competizione tra loro.
I testi, al contrario, riflettono i sentimenti della gente comune che si invia saluti frettolosi, brevi messaggi in cui la speranza è quella che la guerra finisca al più presto.
[Gli storici hanno rilevato che questo dato è comune nella corrispondenza tra i soldati e le famiglie di tutte le nazioni belligeranti.]
E’ molto probabile che non ci fu una scelta premeditata nell’inviare quella o quell’altra cartolina: a disposizione dei soldati ce n’erano migliaia e non si badava al contenuto dell’immagine che giungeva alla famiglia anche se questo fatto, come vedremo, poteva recare inquietudine e preoccupazione.
Milioni di cartoline furono inviate nel corso della Prima Guerra Mondiale da un capo all’altro dell’Europa e la scrittura divenne un vero e proprio esercizio di massa.
In Italia, paese in cui il tasso di analfabetismo era ancora molto alto nel 1915, i soldati-contadini furono costretti a scrivere. Così avvenne anche per le loro famiglie: si trattò nella maggioranza dei casi di messaggi brevi in cui la condizione dura della guerra fu mascherata da poche e semplici parole rassicuranti.
Lo storico Fabio Caffarena ha scritto:
“Le missive dei combattenti comuni allora come oggi restituiscono la cruda realtà della guerra non mediata dalla debordante retorica degli alti ufficiali, i cui messaggi, scevri dall’impianto formulaico della corrispondenza popolare, si dissolvono spesso nel richiamo anonimo e retorico agli ideali nazionalistici.”
[da “Le scritture dei soldati semplici” di Fabio Caffarena, in “La Prima Guerra Mondiale” a cura di Stéphane Audoin-Rouzeau e J.J. Beker, edizione italiana curata da Antonio Gibelli, Vol. II, Einaudi 2007. Fabio Caffarena insegna Storia Contemporanea all’Università di Genova e dirige l’Archivio Ligure di scrittura popolare.]
L’immagine proposta dalle cartoline di guerra doveva essere chiara nei simboli che proponeva allo sguardo: la difesa della patria, l’odio verso il nemico, la giustezza della lotta, la liberazione dei fratelli in schiavitù, il sacrificio per la difesa di donne e bambini minacciati dalla violenza altrui.
Non sempre i messaggi proposti corrispondevano a ciò che troviamo scritto sul retro delle cartoline. Un soldato meridionale di nome Esposito così scriveva a sua moglie:
“Zona di guerra 9/6/1917
Mia carissima Moglia, ti scrivo questi due richi tanto per farti sapere l’ottimo stato della mia salute e così spero sentire sempre di te e di tutta la tua famiglia poi quello che ti raccomando di non farti cattivo sangue e di darti sempre coraggio e di penzare per la tua salute e di stare senza pensiero verso di me che io mi saprò disbrogliare basto per oggi non o altro a dirti mi saluterai tanto assai tuo Padre e tua Madre e tue sorella e fratelli e io dandoti i più affettuosi e cari saluti e Baci di vero cuore e mi dico tuo affezionatissimo Marito per sempre Esposito.”
Cavaliere italiano |
Il verso della cartolina propone un immagine “militare” per eccellenza: il cavaliere armato di lancia che galoppa incurante del pericolo. Questa immagine di maschia virilità ricorda le battaglie risorgimentali e la fedeltà dell’esercito a Casa Savoia, simboleggiata nella croce sabauda sull’elmetto del cavaliere. Una sequenza cinematografica con dei cavalieri che attraversano un fiume, forse il Piave o il Tagliamento, viene riproposta ancora oggi come uno dei simboli della riscossa italiana dopo la Battaglia del Solstizio che precede la sconfitta austroungarica di Vittorio Veneto. E’ tratta dal film “Gloria”, realizzato nel 1934.
Tra l’immagine eroica della cartolina e il testo del soldato Esposito, la differenza è forte e si condensa in quella rassicurazione alla moglie: la esorta a non darsi pensiero, ce la farà a disbrogliarsi dalla cattiva situazione in cui è finito.
Per il resto tante raccomandazioni e saluti ai parenti.
Retro cartolina del soldato Esposito |
Più inquietante appare il messaggio con un semplice saluto inviato da Cristino Cristini, cognato di Giuseppe Mizzoni, accompagnato da un’immagine di guerra e di morte.
La cartolina mostra un ufficiale di artiglieria, lo desumiamo dal cannocchiale, ferito a morte nella postazione che difende un picco innevato. I soldati italiani stanno per rispondere al fuoco nemico e un verso di Giosuè Carducci accompagna l’immagine: “da nevai che di sangue tingemmo scrosciate macigni”.
Artiglieri italiani |
Dalla corrispondenza tra Margherita del Nero e Giuseppe Mizzoni apprendiamo che già in famiglia c’è stato un caduto e questa cartolina scelta fra le tante a disposizione, non sembra voler rassicurare nessuno. Anche se la trasposizione pittorica della guerra non mostra la vera realtà del conflitto, l’immagine della cartolina dice che in montagna si combatte e si muore tra la neve e il gelo. La frase di Carducci incita gli italiani ad usare anche le pietre per contrastare gli austriaci. Forse c’è un riferimento all’offensiva austroungarica, scatenata in Trentino nella primavera del 1916 e passata alla storia come “spedizione punitiva”.
[Riportiamo il testo di una lettera di Margherita in cui si da notizia al marito della morte di un cugino.
15 novembre
…Mi sono alzata a quest’ora, devo uscire con tua madre, andiamo da zia Rosa a scambiare Peppino Cristini e Concetta che hanno fatto nottata. Come già si sospettava ieri giunse al municipio la notizia della morte del povero Fernando avvenuta il 3 novembre sul campo di battaglia. Zia Rosa fu da ieri, da quando il sindaco andò ad avvisarla ha le convulsioni. Non puoi immaginare che brutta impressione abbia fatto proprio in tutti... Peppino mio, come si può vivere tranquilli, al combattimento del 2,3, e 4 ci son capitati già che si sanno 5 di Veroli e pare che siano proprio della città. Sai che cosa si dice?! Che la guerra finirà quando da tutte le nazioni s’incomincerà a morire di fame. E tutti questi poveri giovanotti che stanno ammazzando. Davvero è da ringraziare Dio se hai la fortuna di rimanere sempre costì. Di tuo fratello nulla…]
La corrispondenza tra immagine e testo ci sembra di riscontrarla invece in una cartolina inviata da un fratello di Giuseppe Mizzoni, Nazareno. Nazareno non è andato al fronte ma è riuscito ad entrare come operaio militarizzato nelle acciaierie Terni. Invia una cartolina che mostra la fabbrica e gli operai che ci lavorano in un atteggiamento marziale, in piedi accanto alle macchine che usano quotidianamente. Questi operai sono ritratti come dei soldati che lavorano per la vittoria della nazione.
Acciaieria Terni |
Nazareno, un giovane che proviene da Veroli, paese nelle vicinanze di Frosinone e caratterizzato a quell’epoca da un’economia e rapporti sociali di tipo rurale, è sensibile allo spettacolo offerto dalla macchina industriale al servizio della guerra. Le sue parole sembrano un vero e proprio ingresso nella civiltà industriale.
“…Mi trovo dunque a Terni e precisamente operaio presso la fabbrica d’armi, al 3° laboratorio, ma non a questo che qui ti rimetto io sono dove si fallo l’alzi(?). Che stabilimento!? Si lavora una settimana di giorno e una di notte ho già provato e mi contento…”
Retro cartolina di Nazareno |
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