La violenza nell’occhio fotografico: la dissoluzione del corpo
Le Miroir N° 119 del 5 marzo 1916, civili francesi osservano il corpo di un aviatore tedesco dopo l’abbattimento di uno Zeppelin |
La fotografia criminale nei decenni precedenti la Prima Guerra Mondiale, aveva mostrato già il corpo devastato dalla violenza. Era però una fotografia che raramente veniva offerta al pubblico: con la guerra le cose cambiano. Tra il 1914 e il 1918, sui campi di battaglia esplode una violenza che si vuole nascondere e il cadavere del nemico diventa un trofeo da esibire come segno di potenza e di vittoria.
In un contesto del genere, il corpo umano viene mostrato in tutta la sua devastazione.
Le riviste pubblicano fotografie che nessuno si sarebbe sognato mostrare e che diventano una sorta di erbario dell’orrore, utilizzato per cementare l’unione contro il nemico della nazione.
La realizzazione di una fotografia di questo tipo, pubblicata sulla rivista Le Miroir, è raccontata nella memorialistica della Prima Guerra Mondiale. Riguarda quello che è passato alla storia come il labirinto di Vauquois, e la testimonianza è di André Pezard che in Nous autres à Vauquois, rievoca la sua esperienza di guerra. L’autore, divenuto in seguito uno di più importanti studiosi di Dante e della Divina Commedia, partecipò ai combattimenti che si svolsero attorno a un luogo che ben presto assunse l’aspetto di un inferno sulla terra.
Il paesaggio di Vauquois oggi, le ondulazioni del terreno sono originate dall’esplosione delle mine che modificarono profondamente l’aspetto della collina, foto S.V. 2005 |
Le Miroir N° 76 del 9 maggio 1915, due soldati francesi posano in un paesaggio di rovine |
Era un villaggio che prima del 1915 doveva essere un luogo ameno come ce ne sono tanti in Francia, dominava il paesaggio da un’altura da cui si può osservare, lontana, la città di Verdun. Per questo divenne un obbiettivo strategico e fu distrutto: attorno alla collina francesi e tedeschi iniziarono il gioco di farsi saltare reciprocamente in aria, scavando gallerie sotterranee che complessivamente raggiunsero la lunghezza di 25 chilometri.
Vauquois oggi, due accessi alle gallerie scavate per porre delle mine sotto le linee avversarie, foto S.V. 2005 |
A Vauquois furono realizzate alcune fotografie che meritano di essere annoverate nella storia dell’immagine e in quella della guerra.
Nelle guerre precedenti spettacoli come quelli ripresi a Vauquois erano stati descritti da cronisti e letterati che casualmente si erano trovati a vivere determinati eventi, ma non mostrati fotograficamente e su riviste di larga diffusione.
Pézard descrive l’esecuzione di una fotografia comparsa sul numero 76 di Le Miroir.
Le Miroir N° 76 del 9 maggio 1915 |
Questa immagine evoca l’orrore e il disgusto di chi per giorni, settimane, dovette sopportare lo spettacolo davanti agli occhi.
Così racconta Pezard:
-Vecchio mio, mi dice Fairise, ho fatto una fotografia sorprendente. Al di sopra della piccola postazione, c’è un maccabeo* appeso a un albero: l’ho scovato ieri, ne vale la pena. Voi farne una anche tu? Il momento è buono, la giornata sta cambiando.-
[*il soldato ucciso e rimasto a marcire nella terra di nessuno veniva definito maccabeo dai francesi]
L’autore e il suo compagno s’inoltrano per i camminamenti del settore francese della collina e raggiungono il posto di osservazione cercando di rimanere al coperto per evitare di essere presi di mira dai tiratori tedeschi.
“E’, senza dubbio, un tiratore tedesco, che aveva trovato questo osservatorio buono al momento dell’attacco. Uno di nostri l’ha colto per sempre nel suo nido. La chioma del poveretto pende giallastra, lanosa e fluttua sotto la testa come un ciuffo di erba cattiva su una zolla mezza strappata. Si distingue sul viso spugnoso solo una sottile fila di denti, che si sporge di traverso alla fine di un osso bianco. Il petto non è che un ammasso di immondizia in cui i brandelli si stoffa s’incollano; la carne è scavata in caverne paludose e cola come la pece dagli strappi sfilacciati della divisa, tra pieghe vischiose e rigide. Le orbite sono vuote, nel sole…”
“E’, senza dubbio, un tiratore tedesco, che aveva trovato questo osservatorio buono al momento dell’attacco. Uno di nostri l’ha colto per sempre nel suo nido. La chioma del poveretto pende giallastra, lanosa e fluttua sotto la testa come un ciuffo di erba cattiva su una zolla mezza strappata. Si distingue sul viso spugnoso solo una sottile fila di denti, che si sporge di traverso alla fine di un osso bianco. Il petto non è che un ammasso di immondizia in cui i brandelli si stoffa s’incollano; la carne è scavata in caverne paludose e cola come la pece dagli strappi sfilacciati della divisa, tra pieghe vischiose e rigide. Le orbite sono vuote, nel sole…”
[da Nous autres a Vauquois, di André Pezard, pag. 130-131 Ed. Presses Universitaires de Nancy, 2001]
Il corpo del soldato tedesco si sta dissolvendo davanti allo sguardo di altri uomini che lo fotografano. L’immagine viene pubblicata su un rivista popolare ed è vista, potenzialmente, da milioni di persone. Il senso di tutto questo non sta nel corpo impigliato tra i rami dell’albero, ma nel fatto che questa decomposizione sia vista da un pubblico che si sta abituando alla violenza della guerra osservata come uno spettacolo.
Non ci sono freni alla pubblicazione di immagini che Le Miroir stesso definisce vision d’horreur. La testa di un tedesco, sepolto nei resti di una trincea, salta fuori nel corso di nuovi combattimenti attorno al villaggio di Vauquois.
Le Miroir N° 78 del 23 maggio 1915 |
La fotografia è pubblicata sul numero 78 di domenica 23 maggio 1915, quanti uomini sono morti in questa guerra che non ha fine? Un numero superiore a tutte quelle che l’hanno preceduta: è un inferno che divora. Questa fotografia ne è il simbolo. Forse provocò un’impressione così forte che non se ne trovano di eguali nei numeri degli anni seguenti. Nonostante Le Miroir la presenti come una vision d’horreur, nella didascalia non c’è un grammo di pietà. Un’immagine simile venne presentata come il segno di combattimenti così aspri da accrescere il valore della vittoria.
Ma il senso perverso nella scelta di pubblicare questa fotografia sta nel titolo della didascalia: “dans une tranchée, la tete d’un cadavre allemand semble guetter encore”, in una trincea la testa di un cadavere tedesco sembra osservare ancora.
La testa del soldato ucciso è presentata in questo modo come una curiosità, forse qualcuno l’ha presa in mano e l’ha posata nel posto giusto per meglio fotografarla e realizzare un’immagine che nasconde un messaggio più sottile: i nostri nemici ormai sono pezzi di corpo mummificato che sembrano osservarci mentre noi procediamo verso la vittoria.
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