venerdì 16 marzo 2012

1914-1918-Il prigioniero fotografato Seconda parte



Der grosse krieg in bilndern, 1915, N° 4 prigionieri francesi alla doccia nel campo di Zossen






L’alto numero dei prigionieri crea problemi di ordine politico, amministrativo e sociale. I numeri riportati da Uta Hinz, nel saggio “Prigionieri”, sono impressionanti.
“La prigionia fu dunque un destino di massa: in Gran Bretagna si trovavano più di 300.000 prigionieri delle potenze centrali, in Francia fra i 350 e i 400.000, in Russia fra i 2 e 2,4 milioni (la maggioranza provenienti dall’Austria Ungheria). Nei campi delle potenze centrali si contavano nel 1918 fino a 900.000 prigionieri di guerra in Austria-Ungheria e 2.400.000 in Germania. Nei campi tedeschi i prigionieri erano originari di almeno tredici Stati nemici; molti erano francesi (circa 500.000), ma la maggior parte proveniva dall’esercito russo (1.400.000). Il numero complessivo dei prigionieri italiani si aggirò intorno ai 600.000”
[da La Prima guerra mondiale, a cura di Stéphane Audouin Rouzeau e Jean-Jacques Beker, edizione italiana a cua di Antonio Gibelli, Ed. Einaudi, 2007, Vol. I, pag. 353]
Le fotografie, eseguite e fatte conoscere al pubblico europeo e americano attraverso le riviste, offrono una chiave di interpretazione per comprendere come l’uso del prigioniero fotografato sia funzionale a ben precisi obbiettivi di carattere politico.
Esaminiamo due tipi di rappresentazione, una tedesca e una italiana attraverso due pubblicazioni, “La Domenica del Corriere e “Der grosse krieg in bilndern” (Album della grande guerra).
La Domenica del Corriere pubblica qualche fotografia di scarso interesse sui prigionieri austriaci nei primi mesi della guerra e affida alle tavole di Achille Beltrame il compito di raccontare il prigioniero austriaco caduto nelle mani dei soldati italiani.


La Domenica del Corriere, N° 46, 14-21 novembre 1915: “Un bottino vivente: l’interrogatorio di prigionieri austriaci appena catturati sul Carso”, Achille Beltrame



Beltrame non disegna immagini di campi di prigionia o soldati in gruppo, guardati a vista dai militari e carabinieri italiani. Beltrame racconta con la sua immagine, il momento in cui gli italiani catturano dei prigionieri. L’elemento che prevale nelle illustrazioni, quasi applicato in modo maniacale, è l’atto guerresco.



La Domenica del Corriere,1915: “Una buona cattura sul Monte Nero. Il comando di un battaglione austriaco scoperto in una caverna e fatto prigioniero”, Achille Beltrame




La Domenica del Corriere, 1915: “Le astuzie della guerra: quattro italiani catturano tredici austriaci, facendo credere di essere seguiti da un’intera compagnia”, Achille Beltrame



L’impostazione data da Achille Beltrame ai suoi racconti fatti di “istantanee disegnate” non è originale: tutte le illustrazioni pubblicate sulle riviste delle nazioni in guerra, offrono momenti della cattura. Il prigioniero è il bottino di una guerra che si sta vincendo o si vincerà.
Il momento della cattura è difficilmente documentabile con la tecnologia fotografica dell’epoca. Si è obbligati a mostrarlo a posteriori, nel campo di prigionia. E qui scatta un’operazione politica di vasto respiro in cui una rivista come “Der grosse krieg in bilndern”, con le didascalie in più lingue e diretta all’opinione pubblica dei paesi neutrali e nemici, cerca di svolgere un ruolo importante.
Le fotografie, riguardanti italiani o soldati appartenenti ad altri eserciti avversari, hanno la funzione di dire che questi uomini sono trattati umanamente, sono contenti perché per loro la guerra è finita, sorridono e si divertono. “Venite da noi” sembrano dire le fotografie “starete bene e vi liberete della sofferenza della guerra di trincea”. Queste fotografie, quindi, hanno una funzione disgregante verso gli eserciti avversari.


Der grosse krieg in bilndern, 1916, N° 19, prigionieri francesi nella sala di lettura del campo di Giessen



Der grosse krieg in bilndern, 1915, N° 7, prigionieri inglesi nel campo di Ruhleben






C’è poi un terzo elemento e questa volta di carattere razziale: numerose fotografie ritraggono soldati arabi e africani che combattono negli eserciti dell’intesa. Si insiste sul colore della pelle, si sottolineano i costumi esotici e l’estraneità di questi uomini alla civiltà europea.


Der grosse krieg in bilndern, 1915, N° 2, prigionieri di varie razze e nazioni in un campo tedesco, si noti la sottolineatura sui volti africani, indicati come guerrieri del Senegal



La risposta tedesca alle accuse di barbarie perpetrate nei territori occupati (far combattere uomini di razza non bianca) è miope: non tiene conto delle reali forze in campo, i vasti imperi coloniali britannico e francese, e del fatto che la guerra assume proporzioni mondiali tali, da renderla anticipatrice di ciò che oggi chiamiamo mondializzazione.

Der grosse krieg in bilndern, 1917, N° 24, prigionieri neri catturati dopo la battaglia di Verdun, si noti la ripresa ravvicinata e i volti in primo piano



Di fatto il sistema dei campi di concentramento tedeschi nel corso della Grande Guerra, si trasforma in una grande organizzazione di lavoro coatto. E’ un aspetto che riguarda tutte le nazioni in guerra che detengono prigionieri (l’abbiamo visto nella prima parte di questo post con la lettera della Signora Margherita del Nero), ma che in Germania si caratterizza in maniera più scientifica e con forme di brutalità assenti in altre nazioni (ad esempio l’esposizione al palo o la riduzione di cibo per infrazione alle regole o insubordinazione).
Uta Hinz scrive.
“Gli ingranaggi burocratici per la gestione dei campi e soprattutto le idee dominanti in materia di “esigenze economiche del tempo di guerra” sovra determinarono in modo sempre più rigido il sistema della prigionia e la sua quotidianità, se non altro nel caso tedesco…In tal senso, la prigionia è un riflesso del più ampio processo di caduta dei freni in fatto di condotta e di rappresentazione della guerra nel corso del primo conflitto mondiale.”
[da La Prima guerra mondiale, a cura di Stéphane Audouin Rouzeau e Jean-Jacques Beker, edizione italiana a cua di Antonio Gibelli, Ed. Einaudi, 2007, Vol. I, pag. 353]
Concludiamo con una fotografia che compare su “Der grosse krieg in bilndern” e che colpisce non perché sia falsa, ma per la dimostrazione che la Prima Guerra Mondiale fu, nonostante il suo carattere ideologico e totale, un conflitto diverso da quello esploso nel 1939. Si tratta di ebrei russi che in un campo di prigionia celebrano il sabato.

Der grosse krieg in bilndern, 1916, N° 22, prigionieri russi ebrei che celebrano il sabato nel campo di Neuhammar sur Queiss



Vent’anni dopo un’immagine di questo tipo o non sarebbe stata mai pubblicata oppure sarebbe stata utilizzata per affermare gli stessi concetti contenuti in quelle dei soldati africani, arabi ed indiani: l’estraneità degli ebrei alla razza umana.
In questo senso la fotografia di “Der grosse krieg in bilndern” nel 1916, è anticipatrice di un profondo cambiamento nella considerazione del prigioniero che si enuclea già nel primo conflitto mondiale.



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