sabato 31 marzo 2012

Il prigioniero fotografato Terza parte Il caso italiano



La captivité des italiens en Autriche, copertina, Ed. Pomba, Torino, primavera 1918






Nel 1920, a conclusione dei suoi lavori la Commissione d’inchiesta sulle violazioni dei diritti delle genti commesse dal nemico, fornì i dati sul numero di prigionieri italiani caduti in mano agli eserciti austroungarico e tedesco.
L’Italia al fronte inviò un esercito composto da 4.200.000 uomini, i prigionieri furono 600.000, di cui 300.000 solo dopo Caporetto.
E’ un numero molto alto (uno su sette), altre nazioni alleate (Francia e Inghilterra) ebbero un numero di prigionieri di gran lunga inferiore e si deve tener conto che l’Italia combatté un anno in meno degli altri.
Gli italiani morti nei campi di prigionia furono 100.000, anche in questo caso si registrò un numero molto alto di vittime (quasi il doppio di inglesi e francesi) e la Commissione avvertì che questo dato non era affatto certo.


La captivité des italiens en Autriche, copertina, Ed. Pomba, Torino, primavera 1918, tavola I






La morte dei soldati italiani nei campi di prigionia fu causata dalla fame e dal freddo, a questo si aggiunsero malattie epidemiche come il tifo.
Su un opuscolo pubblicato in più lingue e intitolato “La prigionia degli italiani in Austria”, edito nella primavera del 1918 (la pubblichiamo nell’edizione francese) e scritto da un ufficiale siciliano, Attilio Loyola, rimpatriato e forse invalido permanente, troviamo alcune fotografie che mostrano la condizione dei prigionieri italiani al loro arrivo in patria in seguito a scambi gestiti dalla Croce Rossa Internazionale.
Sono fotografie di corpi scheletriti che ricordano e anticipano quelle dei campi di concentramento e di sterminio nazisti al termine della Seconda Guerra Mondiale.
Perché avvenne tutto questo? La responsabilità di un così alto numero di decessi si deve attribuire solo agli austriaci ed ai tedeschi oppure si tratta di altro?

La captivité des italiens en Autriche, copertina, Ed. Pomba, Torino, primavera 1918, tavola II



A lungo e per responsabilità politiche e culturali molto precise, la questione dei prigionieri italiani durante la Grande Guerra è stata dimenticata, anzi si è steso su di essa il velo dell’omertà.
Il regime fascista è uno dei grandi responsabili di questo fatto, le cui origini vanno ricercate però nel periodo bellico.
La vicenda dei prigionieri italiani nell’Impero Austrougarico e in Germania, è stata trattata in un saggio storico molto importante, “Soldati e prigionieri nella Grande guerra” di Giovanna Procacci, edito dalla Casa editrice Bollati-Boringhieri nel gennaio del 2000. A chiunque voglia approfondire la questione, consigliamo di leggerlo.

La captivité des italiens en Autriche, copertina, Ed. Pomba, Torino, primavera 1918, tavola III



La tesi che viene sviluppata da Giovanna Procacci, è che i soldati italiani catturati dal nemico vennero considerati dal Comando Supremo e dai governi che si succedettero in Italia negli anni della Grande Guerra, tutti come potenziali disertori, anzi come veri e propri traditori della patria in armi.
Da questo ne consegue che la condizione del prigioniero doveva essere criminalizzata ed era necessario orchestrare una campagna al fine di scoraggiare la tendenza di un popolo mandato a combattere una guerra che gli era estranea, di consegnarsi prigioniero nel corso delle inutili offensive scatenate dal generalissimo Luigi Cadorna.
Lo studio di Giovanna Procacci ha fatto giustizia di luoghi comuni riguardanti una particolare cattiveria degli austroungarici nei nostri confronti, i veri cattivi nei confronti degli italiani prigionieri furono gli italiani stessi.
Gli accordi internazionali stipulati nelle due conferenze dell’Aia prima del 1914, prevedevano che il sostentamento dei prigionieri di guerra fosse a carico degli eserciti che li avevano catturati. Allo scoppio delle ostilità e con l’attuazione del blocco marittimo nei confronti di Austria e Germania, i governi di questi paesi avvertirono gli avversari di non essere in grado di poter ottemperare agli accordi a causa delle carenze alimentari delle loro nazioni. Francia, Inghilterra e poi Stati Uniti, organizzarono un tipo di assistenza statale che con l’intermediazione dei paesi neutrali e della Croce Rossa Internazionale, riuscì a organizzare l’invio di pacchi e altri mezzi di sostegno all’interno dei campi di concentramento e la cosa funzionò evitando una mortalità alta come nel caso italiano. L’Italia invece si rifiutò di organizzare alcun aiuto statale e il Ministro degli Esteri Sonnino sostenne che bisognava attenersi agli accordi internazionali stipulati prima della guerra. Di questo parere furono Antonio Salandra, Vittorio Emanuele Orlando e lo stesso Armando Diaz. Cadorna sostenne che l’entità degli scontri al fronte non giustificava un così alto numero di italiani prigionieri e fu proibito alle famiglie di inviare pacchi per i prigionieri sospetti di essersi consegnati nelle mani del nemico. Questo volle dire la fame per migliaia di soldati internati in Germania e in tanti luoghi sperduti dell’Imparo Austroungarico. La conduzione della guerra da parte dell’esercito italiano, con offensive frontali e scarse opere di protezione in caso di contrattacchi, favoriva la caduta in mano nemica di ingenti quantità di uomini che al contrario di quanto si diceva (Gabriele D’Annunzio coniò per i nostri prigionieri il motto di imboscati d’oltralpe), non andavano verso la liberazione della guerra di trincea, ma incontro a sofferenze indicibili e tali da spingere le nazioni alleate a sollevare proteste che però non scalfirono l’atteggiamento italiano.

La captivité des italiens en Autriche, copertina, Ed. Pomba, Torino, primavera 1918, tavola IV






Le immagini pubblicate nell’opuscolo del capitano Loyola, hanno un grande valore documentario, mostrano corpi scheletriti e persone che porteranno per sempre i segni di una detenzione che li riduceva quasi a larve umane. Nel suo testo il capitano Loyola cita numerosi esempi della crudeltà austroungarica e tedesca, ma questo scritto che pure ha una sua importanza come testimonianza, diventa inevitabilmente un’opera di propaganda che giustifica l’atteggiamento del governo italiano nei confronti dei prigionieri e viene utilizzato per rinsaldare la coesione della pubblica opinione che cominciava, all’inizio del 1918, a porsi domande inquietanti sulla sorte degli italiani caduti nelle mani del nemico.
Oggi la verità storica è stata stabilita e si è spezzato quel velo di omertà che ha avvolto una pagina assai poco edificante della storia italiana.

venerdì 16 marzo 2012

1914-1918-Il prigioniero fotografato Seconda parte



Der grosse krieg in bilndern, 1915, N° 4 prigionieri francesi alla doccia nel campo di Zossen






L’alto numero dei prigionieri crea problemi di ordine politico, amministrativo e sociale. I numeri riportati da Uta Hinz, nel saggio “Prigionieri”, sono impressionanti.
“La prigionia fu dunque un destino di massa: in Gran Bretagna si trovavano più di 300.000 prigionieri delle potenze centrali, in Francia fra i 350 e i 400.000, in Russia fra i 2 e 2,4 milioni (la maggioranza provenienti dall’Austria Ungheria). Nei campi delle potenze centrali si contavano nel 1918 fino a 900.000 prigionieri di guerra in Austria-Ungheria e 2.400.000 in Germania. Nei campi tedeschi i prigionieri erano originari di almeno tredici Stati nemici; molti erano francesi (circa 500.000), ma la maggior parte proveniva dall’esercito russo (1.400.000). Il numero complessivo dei prigionieri italiani si aggirò intorno ai 600.000”
[da La Prima guerra mondiale, a cura di Stéphane Audouin Rouzeau e Jean-Jacques Beker, edizione italiana a cua di Antonio Gibelli, Ed. Einaudi, 2007, Vol. I, pag. 353]
Le fotografie, eseguite e fatte conoscere al pubblico europeo e americano attraverso le riviste, offrono una chiave di interpretazione per comprendere come l’uso del prigioniero fotografato sia funzionale a ben precisi obbiettivi di carattere politico.
Esaminiamo due tipi di rappresentazione, una tedesca e una italiana attraverso due pubblicazioni, “La Domenica del Corriere e “Der grosse krieg in bilndern” (Album della grande guerra).
La Domenica del Corriere pubblica qualche fotografia di scarso interesse sui prigionieri austriaci nei primi mesi della guerra e affida alle tavole di Achille Beltrame il compito di raccontare il prigioniero austriaco caduto nelle mani dei soldati italiani.


La Domenica del Corriere, N° 46, 14-21 novembre 1915: “Un bottino vivente: l’interrogatorio di prigionieri austriaci appena catturati sul Carso”, Achille Beltrame



Beltrame non disegna immagini di campi di prigionia o soldati in gruppo, guardati a vista dai militari e carabinieri italiani. Beltrame racconta con la sua immagine, il momento in cui gli italiani catturano dei prigionieri. L’elemento che prevale nelle illustrazioni, quasi applicato in modo maniacale, è l’atto guerresco.



La Domenica del Corriere,1915: “Una buona cattura sul Monte Nero. Il comando di un battaglione austriaco scoperto in una caverna e fatto prigioniero”, Achille Beltrame




La Domenica del Corriere, 1915: “Le astuzie della guerra: quattro italiani catturano tredici austriaci, facendo credere di essere seguiti da un’intera compagnia”, Achille Beltrame



L’impostazione data da Achille Beltrame ai suoi racconti fatti di “istantanee disegnate” non è originale: tutte le illustrazioni pubblicate sulle riviste delle nazioni in guerra, offrono momenti della cattura. Il prigioniero è il bottino di una guerra che si sta vincendo o si vincerà.
Il momento della cattura è difficilmente documentabile con la tecnologia fotografica dell’epoca. Si è obbligati a mostrarlo a posteriori, nel campo di prigionia. E qui scatta un’operazione politica di vasto respiro in cui una rivista come “Der grosse krieg in bilndern”, con le didascalie in più lingue e diretta all’opinione pubblica dei paesi neutrali e nemici, cerca di svolgere un ruolo importante.
Le fotografie, riguardanti italiani o soldati appartenenti ad altri eserciti avversari, hanno la funzione di dire che questi uomini sono trattati umanamente, sono contenti perché per loro la guerra è finita, sorridono e si divertono. “Venite da noi” sembrano dire le fotografie “starete bene e vi liberete della sofferenza della guerra di trincea”. Queste fotografie, quindi, hanno una funzione disgregante verso gli eserciti avversari.


Der grosse krieg in bilndern, 1916, N° 19, prigionieri francesi nella sala di lettura del campo di Giessen



Der grosse krieg in bilndern, 1915, N° 7, prigionieri inglesi nel campo di Ruhleben






C’è poi un terzo elemento e questa volta di carattere razziale: numerose fotografie ritraggono soldati arabi e africani che combattono negli eserciti dell’intesa. Si insiste sul colore della pelle, si sottolineano i costumi esotici e l’estraneità di questi uomini alla civiltà europea.


Der grosse krieg in bilndern, 1915, N° 2, prigionieri di varie razze e nazioni in un campo tedesco, si noti la sottolineatura sui volti africani, indicati come guerrieri del Senegal



La risposta tedesca alle accuse di barbarie perpetrate nei territori occupati (far combattere uomini di razza non bianca) è miope: non tiene conto delle reali forze in campo, i vasti imperi coloniali britannico e francese, e del fatto che la guerra assume proporzioni mondiali tali, da renderla anticipatrice di ciò che oggi chiamiamo mondializzazione.

Der grosse krieg in bilndern, 1917, N° 24, prigionieri neri catturati dopo la battaglia di Verdun, si noti la ripresa ravvicinata e i volti in primo piano



Di fatto il sistema dei campi di concentramento tedeschi nel corso della Grande Guerra, si trasforma in una grande organizzazione di lavoro coatto. E’ un aspetto che riguarda tutte le nazioni in guerra che detengono prigionieri (l’abbiamo visto nella prima parte di questo post con la lettera della Signora Margherita del Nero), ma che in Germania si caratterizza in maniera più scientifica e con forme di brutalità assenti in altre nazioni (ad esempio l’esposizione al palo o la riduzione di cibo per infrazione alle regole o insubordinazione).
Uta Hinz scrive.
“Gli ingranaggi burocratici per la gestione dei campi e soprattutto le idee dominanti in materia di “esigenze economiche del tempo di guerra” sovra determinarono in modo sempre più rigido il sistema della prigionia e la sua quotidianità, se non altro nel caso tedesco…In tal senso, la prigionia è un riflesso del più ampio processo di caduta dei freni in fatto di condotta e di rappresentazione della guerra nel corso del primo conflitto mondiale.”
[da La Prima guerra mondiale, a cura di Stéphane Audouin Rouzeau e Jean-Jacques Beker, edizione italiana a cua di Antonio Gibelli, Ed. Einaudi, 2007, Vol. I, pag. 353]
Concludiamo con una fotografia che compare su “Der grosse krieg in bilndern” e che colpisce non perché sia falsa, ma per la dimostrazione che la Prima Guerra Mondiale fu, nonostante il suo carattere ideologico e totale, un conflitto diverso da quello esploso nel 1939. Si tratta di ebrei russi che in un campo di prigionia celebrano il sabato.

Der grosse krieg in bilndern, 1916, N° 22, prigionieri russi ebrei che celebrano il sabato nel campo di Neuhammar sur Queiss



Vent’anni dopo un’immagine di questo tipo o non sarebbe stata mai pubblicata oppure sarebbe stata utilizzata per affermare gli stessi concetti contenuti in quelle dei soldati africani, arabi ed indiani: l’estraneità degli ebrei alla razza umana.
In questo senso la fotografia di “Der grosse krieg in bilndern” nel 1916, è anticipatrice di un profondo cambiamento nella considerazione del prigioniero che si enuclea già nel primo conflitto mondiale.



domenica 4 marzo 2012

1914-1918 Il prigioniero fotografato Prima parte



1918, prigionieri tedeschi si abbeverano dopo la cattura, Le Miroir N° 249, 1 settembre 1918






Nel corso della Prima Guerra Mondiale l’immagine fotografica del prigioniero assume un ruolo centrale nell’azione di propaganda che gli schieramenti contrapposti mettono in campo nei confronti del fronte interno, delle nazioni avversarie e quelle neutrali.
Mostrare un gran numero di prigionieri, soprattutto dopo particolari offensive o in alcune fasi del conflitto, vuol dire che si è vicini alla vittoria.
I prigionieri vengono fotografati e la loro immagine compare sulle riviste illustrate quasi in ogni numero, in questo modo la fotografia del prigioniero diventa centrale nella rappresentazione fotografica della guerra. Queste fotografie, date in pasto ad un pubblico affamato di notizie, contengono forti elementi di falsità. Si tratta certamente di veri prigionieri, ma l’immagine proposta ha l’obbiettivo di dimostrare che vengono trattati bene e che sono contenti del loro stato: per loro la guerra è già finita.
Tutto questo é falso: i prigionieri, oltre alla privazione della libertà, subiscono maltrattamenti, soffrono la denutrizione e la discriminazione di classe (diversità di trattamento tra ufficiali e soldati). Bisogna aggiungere che nel corso degli anni, le nazioni in guerra debbono far fronte ad una crescente scarsezza alimentare per la popolazione civile che si trasforma per Germania, Austria e Russia in vera e propria carestia, questo fatto segna anche un peggioramento nelle condizioni di vita nei campi di detenzione.
Il prigioniero inoltre si sente circondato dall’ostilità della gente che si manifesta in particolari momenti della guerra.


Prigionieri austriaci scortati dai soldati italiani, illustrazione di Achille Beltrame, La Domenica del Corriere, N° 25, 20-27 giugno 1915,



Un esempio di questo atteggiamento, è contenuto nel brano di una lettera della signora Margherita del Nero, spedita a suo marito Giuseppe Mizzoni il 9 agosto 1916, all’indomani della conquista italiana di Gorizia.

9 agosto
Mio caro Peppino... Ieri sera qui, per telefono da Roma si sparse subito la notizia che avevano fatto 6000 prigionieri ed avevano preso Gorizia. Subito la piazza si ghermì di quel po’ di popolo che è rimasto nei paesi ossia ragazzi, donne e adulti, e nel mentre una banda suonava nella piazza, l’altra faceva il giro del paese, con tutte torce accese ed appresso alla musica andava tutta la gioventù di Veroli portante a tracolla i fucili del tirasegno. Quasi in tutte le case sono issate le bandiere tricolori, e si cantavano inni patriottici. Quando questa processione passò giù a Santa Croce io ero già a letto, sentii scuotermi tutta, subito per l’emozione mi vennero le lagrime agli occhi il pensiero mi corse a te, sognai di stringerti per un istante al mio cuore…che il mio sogno possa presto cambiarsi in realtà. Mentre ti sto scrivendo, si è sparsa la notizia che è giunto un telegramma da Roma annunciante che gli italiani sono entrati definitivamente a Gorizia e che 1200 soldati di cavalleria sono andati 15000 chilometri più indentro di Gorizia, e che i nostri hanno fatto 30000 prigionieri austriaci, compreso tutto lo stato maggiore. Le notizie sono ottime, speriamo presto in un buon risultato. Ieri sera fino a mezzanotte ci è stato questo trattenimento per Veroli, poi siccome si sa che in campagna al villino di Bisleti ci sono a villeggia undici austriaci, tutti questi ragazzi, armati di fucile, si sono recati li, ed a forza di gridare abbasso l’Austria, viva l’Italia, fuori i vigliacchi, hanno costretto quelli che dormivano a scendere per la strada e gridare con loro viva l’Italia e abbasso l’Austria…Oggi con un popolo rafforzato, armati vi si sono recati di nuovo, ed è stato necessario l’intervento della polizia.
[Delle lettere della Signora Margherita del Nero, nonna materna dell’autore di questo blog, abbiamo parlato in un post precedente. ]
Gli storici sottolineano come la Grande Guerra ponga alle nazioni in conflitto la questione dei prigionieri, e per la prima volta, come un fenomeno di massa.
Chi oggi visita il Museo Internazionale della Croce Rossa di Ginevra può entrare in una grande sala dove sono conservate sette milioni di schede riguardanti i prigionieri di tutte le nazioni in conflitto.

Inaugurazione dell’Agenzia dei prigionieri di guerra, Le Miroir N° 67 del 7 marzo del 1915.






L’Agenzia dei prigionieri di guerra viene inaugurata a Ginevra il 15 agosto 1914 dal Comitato Internazionale della Croce Rossa e ben presto deve occuparsi di fornire informazioni a milioni di famiglie; grazie alle visite dei suoi agenti nei campi di prigionia, riesce ad organizzare lo scambio di 200.000 prigionieri e impiega, dall’agosto del 1914 sino al 1923, quasi 3.000 dipendenti, la maggior parte volontari.
[Queste informazioni sono tratte dal Catalogo edito dal Museo Internazionale della Croce Rossa, 1999, Ginevra]


Volontari al lavoro sulla corrispondenza dei prigionieri alle famiglie, Le Miroir N° 67 del 7 marzo 1915






Alla nascita di questa importante organizzazione umanitaria molte riviste illustrate, e tra queste la più volte citata Le Miroir, dedicano un certo spazio.
Le Miroir lo fa un servizio su due pagine, pubblicato sul numero 67 del 7 marzo del 1915.

Volontari al lavoro sulla corrispondenza dei prigionieri alle famiglie, Le Miroir N° 67 del 7 marzo 1915



La fotografia dell’inaugurazione definisce “l’Agence des prisonniers de guerre” come “une des plus belles oeuvres de solidarité née du grand conflit européen.”.
Volontari al lavoro sulla corrispondenza dei prigionieri e pacchi di lettere su un carro, Le Miroir N° 67 del 7 marzo 1915





















Sette fotografie raccontano il lavoro svolto dall’Agenzia: una sala invasa dai sacchi della posta, lo spoglio della corrispondenza, la classificazione delle schede secondo il paese di provenienza dei prigionieri, l’ufficio informazioni. Si tratta di un raro sevizio fotogiornalistico impostato in modo obbiettivo e il commento è depurato di qualsiasi accento nazionalistico. La Croce Rossa riesce ad organizzare anche importanti scambi di prigionieri attraverso la mediazione dei paesi neutrali, come quello mostrato in un servizio sul numero 68 di Le Miroir.

Lo scambio dei grandi mutilati francesi e tedeschi avvenuto in Olanda alla stazione di Flessingue, Le Miroir N° 68.