sabato 11 dicembre 2010

La guerra e il corpo-Seconda parte

Da un piccolo ospedale in provincia
L’album proveniente dall’ospedale di Lione offre una visione scientifica che potremmo definire ufficiale del rapporto tra la guerra e il corpo del soldato.
In un altro fondo fotografico, sempre di provenienza francese, assolutamente anonimo e di cui è difficile rintracciare con esattezza la collocazione geografica delle fotografie, troviamo un altro tipo di sguardo sulla sofferenza del soldato.
Si tratta di un fondo famigliare molto vasto e che contiene lastre realizzate in momenti diversi della vita di un fotoamatore colto che usava la fotocamera cercando di eseguire scatti con uno stile personale che lo rivela attento e curioso per i progressi e le possibilità della fotografia di quegli anni.
Il fondo comprende numerose fotografie realizzate dopo la fine della Grande Guerra in un arco temporale che giunge, forse, agli anni trenta: c’è un personaggio che appare più volte e per questo le immagini sembrano realizzate dalla stessa mano.
La parte più cospicua e interessante di questo fondo anonimo, è costituito da dodici scatole contenenti lastre formato 6x4,5 che si sono conservate in buono stato, altre due contengono lastre incollate tra loro sino a costituire un unico blocco di vetro.
Le lastre in buono stato sono state realizzate all’interno di un ospedale militare situato probabilmente sulla costa atlantica del Cotentin, in bassa Normandia, dove erano stati istituiti ospedali militari lontani dal fronte. Tutte le cittadine delle coste normanne e bretoni in cui c’erano alberghi o castelli, ospitarono centri di cura e riabilitazione per i feriti. L’acquisto di queste lastre è avvenuto in un paesino del Cotentin, nei pressi di Bayeux, e ciò fa ritenere che provengano da una famiglia della zona.
Il fotografo potrebbe avere un volto, ne parleremo più avanti, ma come spesso accade è presente solo con la sua ombra in una lastra che documenta i lavori di scavo in un campo situato, forse, nei pressi del villaggio dove c’era l’ospedale.


Anonimo fotografo francese- L’ombra e soldati che lavorano in un campo
Il fotografo cerca di eseguire fotografie anche in situazioni difficili, ad esempio nel corso di una festa tra ufficiali e in un ambiente scarsamente illuminato, oppure vuole cogliere attimi di vita in cui la velocità dei movimenti non può essere fissata con precisione dalla tecnologia fotografica dell’epoca.



Anonimo fotografo francese-Festa fra ufficiali nell’ospedale
Spesso l’attenzione di questo signore si rivolge al paesaggio circostante: torrenti, boschi, un mulino, angoli del villaggio in cui c’è l’ospedale, abitanti del luogo, donne con i loro bambini, forse la famiglia di un ufficiale medico.


Anonimo fotografo francese-Il soldato e la cameriera
Chi era quest’uomo? Forse un altro ufficiale ricoverato nell’ospedale, oppure l’attendente dell’ufficiale medico già avanti con gli anni e che spesso compare nelle immagini, o un medico.



Anonimo fotografo francese-L’ufficiale medico e due camerati
Anonimo fotografo francese-Visita delle autorità nell’ospedale
Alcune fotografie ritraggono la visita di un gruppo di alti ufficiali e altre autorità nell’ospedale; le immagini sembrano realizzate da una persona che non vuol rivelare la sua presenza o che non ha l’autorizzazione per fotografare.
Tra le tante lastre eseguite da questo anonimo fotoreporter nelle retrovie del fronte occidentale, alcune suscitano interesse per l’intenzione di mostrare e ricordare un momento di speranza: purtroppo l’esposizione non è precisa e il risultato è un mosso che accentua la drammaticità delle immagini.
Il fotografo non ha scelto di riprendere i soldati feriti nella loro sofferenza mostrata da un punto di vista scientifico, come nell’album proveniente da Lione, ma ha voluto cogliere attimi di umana solidarietà. E così fotografa il gioco di alcuni soldati che hanno perso entrambe le gambe e vengono aiutati a passare un momento di allegria da lo compagni che li sostengono, un’infermiera che scherza e ride con un soldato che ha perso un braccio.





Anonimo fotografo francese-Soldati che giocano con uomini senza gambe

Anonimo fotografo francese-Infermiere con soldati feriti
Un ricoverato è disteso nel suo letto e sfoglia una rivista interamente dedicata alla guerra, Le pays de France, ma un altro rivolge lo sguardo verso l’obbiettivo. Nell’inquadratura il fotografo ha cercato di nascondere che il soldato non ha più le gambe. In questa immagine c’è la drammaticità del rapporto tra la guerra e il corpo: gli occhi del soldato sembrano assenti, è un vuoto che si proietta sul futuro della sua vita.





Anonimo frotografo francese-Soldati nel letto di ospedale
Cosa ci dicono queste lastre fotografiche che mischiano insieme ricordi famigliari, la documentazione su un momento importante dell’esperienza di guerra come la cura dei feriti, aspetti di pratica foto amatoriale di un certo livello, documentazione sulla modernità della guerra, con una stazione ferroviaria in cui c’è un treno che trasporta un grande cannone da marina diretto verso le regioni in cui si sta combattendo, fotografie di un aero nel cielo e un campo di aviazione con i piloti che si fanno fotografare prima del volo, una fotografia aerea forse del paese in cui è situato l’ospedale?
Anonimo fotografo francese-Treno blindato
Se è vero che l’atto fotografico è anche una proiezione della mente, qui siamo davanti ad una sorta di evasione dall’inferno della guerra.
Il fotografo non esita a fotografare una signorina mentre si sta spogliando e con la stessa signorina esegue con l’autoscatto un altra fotografia in cui i due sono abbracciati e si baciano appollaiati sullo sgabello di un pianoforte.




Anonimo fotografo francese-Signorina che si spoglia


Anonimo fotografo francese-Il bacio davanti al pianoforte
La fuga dalla guerra è anche nelle riprese del paesaggio, realizzate per ingannare il tempo ma anche per offrire ai propri occhi un’immagine di serena tranquillità agreste in un’epoca in cui tanta parte del territorio francese è devastata dalle contrapposte artiglierie.

giovedì 2 dicembre 2010

La guerra e il corpo-Prima parte

Insieme al paesaggio, i primi fotografi si occupano della persona e del suo corpo. La fotografia è infatti, lo si comprese sin dall’inizio, uno strumento formidabile per conservare e tramandare memoria. Il corpo dell’uomo e della donna vestito o nudo, appaiono nei dagherrotipi e trionfano con il collodio umido e la carte de visite. La persona nelle più diverse attività e atteggiamenti è, insieme al paesaggio rurale, urbano, industriale, ai monumenti del passato, il filo rosso che unisce le fasi della storia della fotografia, dalle origini ai nostri giorni. A questa attenzione per il corpo si unisce l’interesse scientifico e lo studio; con l’utilizzo di metodi più veloci di esposizione del materiale sensibile si riesce a comprendere le reazioni dell’individuo agli stimoli del dolore fisico e psichico. La fotografia entra negli ospedali e nei manicomi, attraverso la fotografia si identificano i tipi umani per definire le devianze sociali e sessuali. Le immagini realizzate nello studio del medico francese Duchenne de Boulogne, vengono ritenute uno dei primi esempi di applicazione della fotografia per lo studio di un volto sottoposto a stimoli elettrici. L’evoluzione della tecnologia permette alla fotografia di entrare all’interno del corpo umano, per la prima volta è possibile osservare com’è fatto lo scheletro di una persona vivente: è un avvenimento che si rivela di grande importanza quando la medicina deve far fronte a ferite di nuovo tipo, provocate da nuove armi, e si trova dinnanzi ad una massa enorme di feriti.

Con la Prima Guerra Mondiale il corpo diventa oggetto di interesse perché si trasforma in trofeo: la fotografia del nemico abbandonato nella terra di nessuno è la dimostrazione quotidiana che può essere vinto, ridotto a brandello di carne, confuso con il terreno o impigliato tra pezzi di filo spinato.
La medicina militare si trova impreparata ad affrontare una guerra totale e industriale: è necessario curare ferite provocate dalle esplosioni di granate più potenti del passato e lesioni interne causate da gas asfissianti.
E’ importante esaminare alcune fotografie che mostrano il corpo del soldato ferito e comprenderne l’utilizzo. Il soldato ferito deve essere curato, rimesso in forze per poi essere rinviato al fronte e combattere nuovamente. Nelle immagini di cui ci occuperemo questo non avviene, i soldati feriti sono riformati dopo gli interventi che subiscono e riescono a concludere la loro esperienza di guerra prima del 1918. Sono segnati nel corpo e sicuramente nello spirito, ma hanno portato a casa la pelle.



Fotografia da un album proveniente da un ospedale militare di Lione

L’album che ci consente di esaminare il rapporto tra la fotografia e il corpo del soldato ferito, proviene dall’interno di un ospedale di Lione e le fotografie sono state eseguite nel corso del conflitto; il documento fotografico può essere considerato come una testimonianza sulla guerra osservata da un punto di vista particolare: l'universo dell'ospedale militare.
Una nota a matita segnala che l’album potrebbe far parte di una serie composta a fini di studio e ricerca da o per conto del dott. Marius Antoine Horand (1839-1917): un lavoro proseguito anche dopo la morte di questo medico lionese. Per questo l’album potrebbe esser stato composto dopo la fine della guerra e farebbe parte di un archivio, oggi smembrato e quindi perduto.
Al dott. Horand la città di Lione ha intitolato una strada e la sua carriera è descritta con una lunga didascalia che accompagna la fotografia del medico sul letto di morte. Horand ha ricoperto incarichi di grande prestigio nell'organizzazione sanitaria di Lione: Presidente della Società Nazionale dei Medici di Lione e della Società Medico-Chirurgica cittadina, Amministratore della Croce Rossa Francese, membro della Società Chirurgica di Parigi. Dallo scoppio della guerra sino alla morte, Horand è stato primario all'Ospedale Sainte-Claire, annesso all'Hôtel-Dieu: si tratta quindi di una personalità notevole nella medicina del tempo. La città di Lione negli anni della Grande Guerra, divenne uno dei maggiori centri di Francia per la cura dei feriti che venivano smistati negli ospedali della città. Alcuni erano molto antichi e di lunga tradizione, fra questi l’Hôtel-Dieu, che all’epoca era il più grande.



Il Dottor Horand sul letto di morte

L’album non solo documenta le ferite riportate dai soldati nel corso dei combattimenti, ma è anche una testimonianza sui legami di cameratismo sorti tra uomini costretti a convivere all’interno di un luogo chiuso, l’ospedale militare, e obbligati a trascorrere lunghe ore ad osservare la reciproca sofferenza. I protagonisti di queste fotografie sono prevalentemente feriti agli arti inferiori e numerose sono le immagini di gruppo con grucce e bastoni: alcuni hanno subito amputazioni, altri portano sul viso segni che non si cancelleranno mai.
Pagina 6: il soldato Leger Albert, 95° fanteria, è stato ferito alla piegatura del ginocchio. Ha una piaga profonda nel muscolo. Non conosceremo mai il suo volto, le 3 fotografie mostrano solo la gamba, prima e dopo l’intervento. Il soldato Leger è riformato nel luglio 1915, 3° categoria.



Gambe e piedi

Il soldato Monteil Paul, 1° compagnia alpina, è stato ferito dallo scoppio di una granata al piede destro. Due fotografie del piede: la prima con l’estensione forzata dell’arto, la seconda con il piede tornato quasi normale dopo l’operazione. Monteil è riformato nell’agosto 1915, 3° categoria.
Pagina 7: tre fotografie, una con le gambe di Vacher Isidore, 85° fanteria. Vediamo macchie nere disseminate su tutti e due gli arti in seguito allo scoppio di una bomba. Brugière Louis, del 157° fanteria, è ripreso invece frontalmente e mostra una ferita nella zona del collo, il proiettile è entrato da sinistra ed è uscito da destra attraversando la cartilagine tiroidea, la sua voce è appena percettibile. Brugière è riformato nell’agosto del 1915, 3° categoria. La mano sinistra del soldato Mognès Antoine, 22° alpini, ha perso il dito medio e il terzo metacarpo. La ferita è stata provocata da un proiettile francese in seguito ad un incidente, il rapporto ha escluso l’autolesionismo. Riformato in agosto 1915, 5° categoria.



Gambe, mano, collo

Pagina 8: tre fotografie. Il soldato Sauvan Jules, Sergente del 163° fanteria, è stato colpito nella parte sinistra del viso con lo sprofondamento dell’orbita sinistra. Il soldato Moignard Claude, 22° alpini, è accompagnato dalla radiografia del suo braccio destro, eseguita il 21 novembre 1914.



Volto, radiografia

Pagina 9: due fotografie senza indicazione con un giovane che mostra la gamba destra amputata all’altezza del ginocchio. Altre due foto riguardano ancora il soldato Moignard, ripreso frontalmente con il braccio sinistro piegato correttamente e quello destro coperto da un panno nero. Accanto alla foto, un’altra con schegge di ossa. Nella didascalia leggiamo che la ferita grave del braccio destro per proiettile esplosivo, ha provocato la frattura dell’omero. Moignard non può estendere l’avambraccio.



Amputazioni e schegge di ossa

Pagina 13: tre fotografie del sergente Sauvan Jules che ha perso l’occhio destro ed ha subito un’operazione plastica. Altre tre foto più piccole mostrano frammenti di ossa, in quella più grande i nomi dei proprietari: Buttez Gaston e Bonnahud Mathieu.




Occhi e schegge di ossa

Pagina 13 e 14: insieme ad altre fotografie, due sono molto significative. Nella prima due soldati con la gamba destra amputata e le grucce si sostengono a vicenda, nella seconda si è aggiunto un terzo soldato, anche lui ha perso la gamba destra: sono alpini ed hanno due medaglie ognuno sul petto.




Amputati

Pagina 17: 8 fotografie, due riguardano schegge di ossa, una pallini di piombo, ci sono due mani che hanno perso una e due dita, infine la radiografia del torace e di una spalla destra. Non c’è alcuna indicazione sulle persone.



Mani, pallini, ossa e radiografia

Pagina 21: 3 fotografie. Il soldato Noel Joseph, 83° fanteria, mostra la mano destra deformata per una ferita: riformato nel maggio 1915. La mano di Blachide Jean, 163° fanteria, ha perso l’anulare destro. Riformato nel maggio 1915.
Pagina 30: due fotografie di soldati in primo piano. Uno è stato colpito alla bocca e ai denti, un altro ha perso l’occhio destro, sulla tempia c’è una profonda ferita. Una piccola foto mostra i frammenti di ossa estratti dalle ferite di Aramis Huelle.



Bocca, occhio

Pagina 37: un soldato ha perso l’occhio destro. Accanto, la fotografia insieme a sua figlia e sua moglie eseguita prima dell’operazione. L’anonimo soldato ha ancora le bende sull’occhio.



Prima e dopo la cura

Questo album costituisce un esempio di unità nella stessa sofferenza, una sorta di promemoria per il futuro. Un giorno, quando sarebbe giunta la pace e l’augurata vittoria, qualcuno avrebbe dovuto riconoscere il sacrificio di questi uomini. Alcune fotografie vennero eseguite e raccolte nell’album per essere utilizzate come documentazione ai fini pensionistici: per questo sono riportati il grado e la categoria di ferite e mutilazioni.
La fotografia era diventata il mezzo per fissare e catalogare dati che avrebbero consentito alla medicina di compiere in futuro dei passi in avanti.

domenica 21 novembre 2010

La guerra prima della guerra totale e industriale. Pianura padana 1859

L’immagine delle battaglie combattute in Italia nel 1859 durante la Seconda Guerra di Indipendenza, ci permette di osservare la visione della guerra nella seconda metà del XIX° secolo, quando la fotografia era già oggetto di dibattito tra critici d’arte e intellettuali e stava diventando un’impresa commerciale attorno a cui si mobilitavano crescenti interessi economici, con effetti e ricadute nel costume delle classi medio-alte della società europea.
Le gravures vennero pubblicate su un supplemento a puntate del “Journal pour tous”, dal titolo “La guerre d’Italie”. All’inserto collaborarono noti illustratori francesi dell’epoca, compreso Gustave Doré che firmò le immagini delle battaglie di Magenta e Solferino, di Napoleone Terzo e dei suoi generali in consiglio di guerra. Era il momento in cui la Francia sembrava diventare nuovamente la maggior potenza europea. Le gravures accompagnavano le relazioni ufficiali e i commenti dei fatti bellici con un ritardo di pochi giorni o qualche settimana dagli avvenimenti. Per i tempi era quasi una presa diretta.
Il resoconto visivo di ciò che era accaduto nella Pianura Padana non si limitava ai combattimenti, ma cercava anche di fornire una visione più ampia su cosa accadesse attorno ad un’armata in guerra: ad esempio il ruolo degli addetti all’approvvigionamento dell’armata francese. Le gravures quando raccontavano le battaglie, erano in piena sintonia con la tradizione dell’epopea napoleonica, quando invece presentavano i generali avevano un taglio da carte de visite, il nuovo formato inventato dal fotografo Eugène Disderi che poneva le basi per far diventare la fotografia un fenomeno di massa.
Un’immagine che di cui si farà un grande uso nel corso della Prima Guerra Mondiale riguarda la malvagità del nemico.

La guerre à l'autrichienne
 
Una gravure firmata da Philippote e intitolata "La guerre à l’autrichienne", apre il secondo numero di La guerre d’Italie e mostra la spogliazione degli abitanti di un paese lombardo da parte degli austriaci che nella loro avanzata fanno razzia di tutto ciò che è utile al sostentamento delle truppe. All’interno dell’inserto, un breve articolo riferisce sulla particolare brutalità delle truppe austroungariche che si sono fatte scudo degli abitanti di un paese per proteggersi dall’attacco dei piemontesi, hanno violentato e ucciso donne incinte. Sembra un’anticipazione delle accuse rivolte ai tedeschi per le violenze compiute durante loro avanzata attraverso il Belgio, nel 1914. Dopo aver ammesso che la guerra comporta sempre un peso gravoso per le popolazioni civili, l’articolo stigmatizza la condotta degli austroungarici.
“Nello stato attuale dei costumi la guerra si deve fare ai governi, agli stati, non alle persone. Non soltanto spogliare di tutto le popolazioni non combattenti, ma maltrattarle e abbandonarsi contro di esse ai più selvaggi eccessi, è proclamarsi in aperta ribellione contro la civiltà, i principi del cristianesimo e incorrere, meritandoselo, nella condanna dell’umanità.”
Il resoconto ufficiale di una battaglia difficilmente riuscirà a restituire l’epica dello scontro, a far immaginare cosa sia il combattimento tra due eserciti: per questo la letteratura e poi il cinema, hanno utilizzato il punto di vista di uno o più personaggi che vi partecipano. Attraverso questo tipo di visione si cerca di ricostruire un avvenimento che può presentarsi anche come una grande confusione in cui gli esseri umani obbediscono a leggi che trasgrediscono il comportamento nella vita quotidiana, quelle di uccidere e non farsi uccidere.
Un punto di riferimento letterario nella storia delle battaglie avvenute prima della guerra industriale e totale, è la visione che ha il giovanissimo Fabrizio del Dongo della battaglia di Waterloo nel romanzo La Certosa di Parma di Stendhal. Il diciassettenne Fabrizio stenta a capire esattamente a cosa stia partecipando. E’ preso da un senso di confusione e frustrazione, va alla rincorsa dello scontro con i prussiani, quando gli dicono che sta passando Napoleone non lo vede nel gruppo di cavalieri che attraversano rapidamente la pianura avvolti nella nuvola di polvere. Fabrizio spara contro un ufficiale prussiano e lo fa in episodio isolato della battaglia, mentre i soldati dell’armata francese si stanno sbandando e cominciano a ripiegare. Scopre che nella guerra non c’è niente di eroico perché la prima preoccupazione per il sodato è portare a casa la pelle e procurarsi cibo. La vivandiera che lo ha preso in simpatia e lo ha indirizzato verso la battaglia in cerca di gloria, è stata derubata e picchiata dagli stessi soldati francesi in fuga. L’artificio narrativo di Stendhal s'ispira alle sue esperienze personali e nelle memorie di combattenti della Prima Guerra Mondiale ritroviamo gli stessi elementi di confusione, frustrazione e lotta per la sopravvivenza.
Nel 1859 l’illustratore che a differenza del fotografo non ha a disposizione il rettangolo del mirino della macchina fotografica per eseguire una serie di scatti e raccontare l’avvenimento bellico nelle sue fasi principali, il compito è fussare con un'immagine ciò che chiameremo l’insieme di un avvenimento, osservato da un punto di vista esterno e  realizzato a posteriori sulla base di informazioni ufficiali.
Gli illustratori di La guerre d'italie , raccontando la campagna d’Italia del 1859, non si discostarono dalla tradizione e cercarono di ricostruire con singole gravures punti di vista che dessero ai lettori francesi un’idea totale non solo dei combattimenti, ma dell’intera guerra. Questo modo di raccontare si esplicitava nella mischia furibonda tra i soldati degli opposti schieramenti all’interno di un paesaggio caotico, sovrastato dal fumo delle artiglierie e dei colpi di fucile. Come in un racconto a fumetti, l’inserto ricostruiva il susseguirsi degli avvenimenti che sarebbero rimasti nella memoria collettiva della nazione francese. Questo racconto di immagini però non era realizzato e montato in modo casuale: il fiilm che scorreva sfogliando il giornale corrispondeva a ben precise esigenze politiche e lanciava messaggi a un'opinione pubblica francese preoccupata per i costi materiali e umanidella guerra nella pianura Padana.
Il numero 4 del supplemento al Journal pour tous apre con un’illustrazione di Gustave Doré in cui la battaglia combattuta casa per casa a Magenta, è vista come un caos di rovine in cui i soldati francesi si fanno strada a colpi di baionetta contro i nemici austroungarici.
Come altre gravures che seguiranno, è una visione di tipo grandangolare, in cui prevale il primo piano del combattimento corpo a corpo con i francesi che lentamente prevalgono avanzando da una posizione chiaramente sfavorevole mentre sullo sfondo, volutamente sfumato nel bianco per dare maggiore profondità all’immagine, la cavalleria si muove tra le rovine offuscate dal fumo delle artiglierie.

Magenta

 Sul numero 6, è sempre Gustave Doré a celebrare, nella gravure d’apertura, il vincitore di Magenta.
Il generale Mac Mahon appare un po’ rigido sul cavallo e avanza in un terreno su cui spiccano due proiettili d’artiglieria. Questo particolare è importante perché sottolinea l’asprezza dello scontro e il disprezzo del pericolo da parte del protagonista.

Mac Mahon dopo Magenta


All’interno del numero troviamo un articolo intitolato Le champ de bataille che riporta alcune testimonianze registrate nei giorni seguenti il combattimento. La prima è di un pittore incaricato di dipingere la battaglia che così descrive ciò che ha visto.
“Qua e là la terra, marchiata da larghe impronte, sembra voler indicare il passaggio di una lotta terribile…Ciò non può che lasciare un’impressione dolorosa, giustificata di passo in passo dai tumuli di terra fresca e sormontati da due pezzi di legno grossolanamente incrociati.”
Come per la denuncia delle violenze compiute dagli austriaci contro la popolazione civile, è anticipato un tema che sarà al centro dell’immagine della Prima Guerra Mondiale: la terra segnata, lavorata quasi, dalle artiglierie e le semplici e rozze croci a ridosso dei campi di battaglia.
La guerra è presentata con il realismo possibile per i tempi: c’è lo scontro frontale tra gli eserciti e ci sono i morti. Prevalentemente vengono mostrati i nemici che cadono sotto l’impeto dell’attacco francese, ma in alcune illustrazioni i lettori possono vedere i soldati francesi colpiti dal fuoco avversario.
Un aspetto importante e che verrà poco mostrato in futuro, riguarda il soccorso ai feriti della parte avversa. Sul numero 3 della rivista, Napoleone III visita il campo di battaglia di Palestro mentre i francesi soccorrono i caduti austriaci. Un ufficiale è stato adagiato su una barella.


Napoleone Terzo sul campo di battaglia di Palestro
La battaglia di Solferino occupa, per la sua importanza, un ruolo decisivo nel racconto di immagini. Le gravures sono firmate per la maggior parte da Gustave Doré che illustra con poderosi punti di vista d’insieme, il momento centrale dello scontro: la conquista dell’altura di Solferino e dell’antica torre medievale a forma quadrangolare.
Nella visione offerta da Doré non sono soltanto i soldati austroungarici a cadere sotto l’impeto dei francesi; il lettore può osservare anche francesi uccisi, ad esempio in un’illustrazione pubblicata nel settembre del 1859, quando il ricordo del massacro sta sfumando nell’impressione dell’opinione pubblica. La guerra in Italia sembra già alle spalle, il supplemento al Journal pour tous non si chiama più La guerre d’Italie, ma Nouvelles du jour.

La battaglia di Solferino

Doré ricostruisce con due gravures, uno dei momenti più difficili della battaglia di Solferino: lo scoppio di un violento temporale che costringe ad una sospensione dei combattimenti e getta fra i soldati confusione e disperazione.


Solferino sotto il violento temporale

La gravure più interessante è la seconda e viene pubblicata sul numero 15 di La guerre d’Italie del 30 luglio 1859, a più di un mese dalla battaglia: s’intitola Charge de la cavalerie a Solferino. Il vero protagonista dell’immagine non sono i cavalieri francesi che incalzano gli austroungarici, ma il paesaggio. La nera torre si erge contro un cielo oscurato dalle nuvole altrettanto nere e basse all’orizzonte, mentre piovono dal cielo lampi in cui si manifesta l’ira di un Dio che sembra condannare la violenza degli uomini. I nemici fuggono in un terreno trasformato quasi in un fiume di fango dalla pioggia battente.
 In una prima versione della battaglia di Solferino, Gustave Doré aveva attenuato la visione apocalittica: le nubi attorno alla torre sembrano diradarsi, mentre ancora il cielo è solcato da fulmini e i soldati francesi proseguono la loro ascensione verso la cima della collina. La torre è avvolta nel fumo, ma nell’immagine non c’è il nemico ormai sconfitto. Questa gravure, a differenza dell’altra più realistica, sembra ispirarsi a quelle che avevano celebrato il conquista della Tur de Malakof in Crimea.
Solferino
Le visioni d’insieme di Gustave Doré celano, privilegiando l’epica dello scontro tra gli eserciti, gli aspetti più inquietanti del massacro di Solferino: in nessuna immagine è possibile vedere l’orrore di un combattimento in cui l’artiglieria gioca un ruolo importante, ma è il corpo a corpo a colpi di baionetta a provocare un numero di morti impressionante. Sullo stesso numero, il lettore può leggere anche notizie sulle trattative e la pace di Villafranca che segna la fine dell’impegno francese in Italia e la fine della Seconda Guerra d’Indipendenza del Risorgimento italiano. Insieme alle illustrazioni della battaglia di Solferino e ai ritratti dei generali che vi partecipano, il lettore trova relazioni ufficiali, gli elenchi dei caduti e le impressioni di chi visita i luoghi del combattimento qualche settimana dopo gli avvenimenti.
“…dopo una faticosa ascensione di una strada assai larga, arrivai su un piano elevato di 60 o 70 metri al disopra della pianura, avendo a mia destra il cimitero di Solferino, a sinistra il vecchio castello, la piazza e la chiesa…Dopo aver abbracciato rapidamente con lo sguardo il magico panorama, il paese, così calmo in questo momento, attorno al quale, pochi giorni prima, si agitavano tanti esseri umani, si distruggevano tante esistenze preziose, girai a destra per entrare nel cimitero…In questo luogo le tracce dei combattimenti non potevano lasciare dubbi sulla ferocia della lotta. Nonostante fossero passate tre settimane dal giorno della grande battaglia, la terra era ancora seminata di macerie e soprattutto di cartucce, prive di polvere da sparo, e di proiettili. Le case erano in gran parte prive di tetti, i camini erano caduti e i muri del cimitero letteralmente crivellati di colpi. Sono entrato nel cimitero: le tombe scavate, le croci divelte, rotte, il terreno battuto dai piedi degli uomini a tal punto che si distinguevano appena le sepolture, tutto indicava che lo scontro qui era stato terribile…”
Qui tutto, immagini e impressioni scritte, è raccontato a posteriori. Anche durante la Prima Guerra Mondiale notizie e immagini giungono all’opinione pubblica con qualche giorno di ritardo, ma la fotografia s’incarica di rendere più immediata l’informazione. L’operazione messa in campo da La guerre d’Italie con visioni d’insieme, immagini di generali riuniti in consiglio di guerra attorno a Napoleone Terzo, momenti di vita militare e soccorso ai feriti, singoli ritratti di generali, sarà reiterata tra il 1914 e il 1918, ma con una differenza: la fotografia mostrò, per quanto la censura lo permetteva, gli orrori veri della guerra, all'illustrazione fu riservato il compito di esaltare le virtù eroiche dei soldati che si lanciavano nella terra di nessuno contro cannoni e mitragliatrici.
Era però un’operazione culturale sulla quale vennero sollevati forti dubbi di autenticità e i primi a farlo furono gli stessi soldati al fronte.
Nei ritratti dei generali che avevano comandato l’esercito francese non vi è alcuna indicazione che si tratti di riproduzioni tratte da fotografie, ma l’influenza della nuova moda, l’uso della carte de visite, si avverte nella statica posa del soggetto ritratto a figura intera. Ad un organo di informazione destinato ad una larga diffusione, si affida il compito di far conoscere i protagonisti delle vittorie francesi e i militari che si sono distinti nei combattimenti. E’ un’operazione mediatica non nuova, ma nel nostro caso viene amplificata dalle numerose gravures pubblicate.

Il generale Cler

E’ sempre Gustave Doré a firmare l’immagine di Napoleone Terzo in un momento di pausa dalle fatiche della guerra, il ritratto dell’imperatore dei francesi è quello di un uomo che appare appesantito nell’uniforme ufficiale e siede accanto a un pezzo di artiglieria. E’ un ritratto ben diverso da quelli che lo mostrano in mezzo ai suoi soldati, ad esempio nel mese di agosto a Parigi mentre passa in rassegna le truppe che hanno partecipato alla campagna d’Italia.



 
Napoleone Terzo visto da Gustave Doré
Napoleone Terzo a Parigi passa in rassegna le truppe
che hanno combattuto in Italia
Su ciò che accade attorno ad una battaglia e sull’organizzazione di un esercito ottocentesco, l’inserto del Journal pour tous informa con alcune gravures che mostrano aspetti diversi.
Un omaggio è reso alle vivandiere che sono al seguito delle truppe e corrono i rischi del coinvolgimento nello scontro armato. In una gravure vediamo una vivandiera alla giuda di un carretto del 40° battaglione dell’armata d’Italia, la donna è visibilmente preoccupata: attorno a lei piovono proiettili d’artiglieria e un soldato l’aiuta a governare il cavallo. E’ un immagine che rimanda al personaggio tratteggiato da Stendhal all’inizio di La Certosa di Parma e che non troveremo nelle illustrazioni e fotografie della Prima Guerra Mondiale. Al posto delle vivandiere, vedremo le infermiere che assistono i feriti negli ospedali militari e le cerimonie di decorazione delle crocerossine che si sono particolarmente distinte. La guerra di trincea sarà un universo esclusivamente maschile.

                                                                           Vivandiea nel corso di una battaglia


Anche il rifornimento di cibo all’esercito è documentato con una gravure che mostra il lavoro dei soldati macellai alle prese con il taglio di enormi quarti di bue. Questa immagine tende ad accreditare un ottimo trattamento per i soldati inviati in Italia, sappiamo che la condizione del soldato non corrisponde all’immagine positiva che una gravure di questo tipo vorrebbe accreditare. Anche nel corso del primo conflitto mondiale verranno pubblicate immagini simili e saranno fotografie. Le riviste di tutte le nazioni in guerra, sullo stile di La guerre d’Italie, cercheranno di inviare messaggi rassicuranti non solo per dimostrare che i soldati al fronte combattono con la pancia piena, ma che la nazione ha riserve sufficienti per tenere duro sino alla vittoria.

                                                                              Approvigionamento delle truppe

Sul numero 22 di La guerre d’Italie, che anche l’ultimo della serie, la gravure di apertura merita una riflessione sulla differenza tra le guerre ottocentesche che si concludevano con una battaglia sanguinosa, ma definitiva per le sorti del conflitto (nel nostro caso quelle di Solferino e San Martino) e la guerra totale che finisce l’11 novembre 1918.




                                                                                            Après la guerre

In Après la guerre vediamo una strada di Parigi con la folla che attornia i prigionieri austroungarici. Due personaggi guidano un soldato austriaco e sembrano indicargli opposte direzioni, l’ambiguo civile vorrebbe trascinarlo in una bettola che potrebbe essere anche un bordello, lo zuavo, simbolo della mascolinità e del valore francese, indica la direzione opposta. Forse la signora che tiene per mano il bambino rappresenta il simbolo della famiglia che attende il soldato sconfitto in una pace ritrovata. Insomma lo zuavo ha ragione, la solidarietà fra i due combattenti prevale sul vizio e l’immoralità. Questa sorta di affratellamento maschile sarà del tutto assente nelle immagini che troveremo alla fine della Prima Guerra Mondiale e le fotografie tenderanno a sottolineare la sconfitta del nemico e la vittoria delle nazioni dell’Intesa. Con qualche inquietudine però: alcune fotografie mostreranno l’accoglienza riservata ai soldati tedeschi di ritorno dal fronte, in Germania la folla li tratta come vincitori. E’ il segno che la partita non si è conclusa.







sabato 2 ottobre 2010

Memoria familiare in alcune fotografie anonime della Grande Guerra-Terza e ultima parte

Interi archivi fotografici familiari e che riguardano la Prima Guerra Mondiale, giungono sino a noi anonimi. E’ l’estinzione delle famiglie e la loro dispersione che genera questo anonimato fotografico.
Si inviano fotografie come quella che abbiamo appena descritto per un bisogno di farsi vedere, ma anche perché c’è la richiesta di conoscere com’è fatto il nemico.


Cartolina francese con truppe tedesche che
occupano una città
 In una cartolina francese, inviata il 16 gennaio 1915, possiamo leggere:
“Mio caro piccolo Marcel, ecco l’ultima cartolina dei boches…Aspetterò che ritorni a Parigi per inviartene una più bella…Qui diluvi, tuoni, lampi, grandine, colpi di cannone, manca solo il terremoto, come in Italia…”
Gli anni che precedono la Prima Guerra Mondiale vedono un vero e proprio boom della fotografia; l’abbassamento dei costi rende possibile l’acquisto di macchine fotografiche più maneggevoli da parte della piccola e media borghesia.
Per questo motivo ufficiali, sottufficiali, ma anche semplici soldati che possiedono una macchina fotografica e se la portano al fronte, eseguono fotografie di gruppo con paesani e amici delle stesse compagnia e, più raramente, fotografano le trincee e momenti di guerra vera. L’opera di questi “reporter inconsapevoli”, sta uscendo dall’anonimato dopo quasi un secolo e su questo oblio ha influito anche il desiderio degli ex combattenti di dimenticare e tacere su ciò che avevano visto e vissuto.
Fotografare al fronte è un atto proibito ufficialmente, ma spesso tollerato dalle autorità militari.
Una testimonianza è riportata da Jaques-Henri Lefebvre, ha raccolto le memorie di chi combatté la Battaglia di Verdun. Un cappellano militare, l’abbé Bergey, nel corso di una delle fasi più acute dell’attacco scatenato dal generale Mangin nel tentativo di riconquistare il forte di Douamont, vagando tra i crateri allo scopo di confortare i feriti, prende in mano non un fucile, ma una macchina fotografica. L’episodio è raccontato da un altro combattente, l’aspirante Lasparre.
"A un certo momento lo vidi in piedi, con una macchina fotografica puntata sulla scena del bombardamento. Le esplosioni lo circondavano da ogni parte.
Dal mio buco gli chiedo:
-Cosa fate, Cappellano?-
-Lo vedi, faccio qualche foto, non c'è niente di banale e sarebbe un peccato lasciar perdere-."
L’anonimo autore di un gruppo di stereoscopie che raccontano momenti della guerra italiana, doveva essere un ufficiale dell'esercito che si era sposato alla vigilia della guerra.
Ci sono alcune fotografie del suo matrimonio, una di sua moglie in viaggio di nozze e un tranquillo interno borghese in cui la giovane donna è seduta al pianoforte con accanto la madre o la suocera.
Interno borghese di una famiglia torinese
Questo mondo che lo scrittore austriaco Stefan Zweig definirà “di ieri”, sarà cambiato dalla guerra.
Chi eseguì le stereoscopie doveva essere un ufficiale di carriera, e quindi portato a riprendere situazioni della vita militare nella Torino alla vigilia della Guerra. Quando viene inviato al fronte, l’ufficiale continua a fotografare.
Insieme alle fotografie dei suoi commilitoni, la sua attenzione si rivolge ad alcuni aspetti della guerra moderna. Dalle didascalie scritte a matita sul retro, apprendiamo che le stereoscopie sono eseguite nella Val Monastero e, molto probabilmente, nei pressi di Gorizia.
La morte della maggioranza degli uomini uccisi nel corso della Prima Guerra Mondiale, è provocata da armi come quelle fotografate dall’ufficiale italiano. 

Foto ricordo con cannone
Sono cannoni molto potenti che contribuiscono in modo determinate all'immobilità del fronte. L'immagine potrebbe essere definita “foto ricordo con cannone”: gli ufficiali sembrano posare compiaciuti accanto alla macchina che li sovrasta.
In un’altra stereoscopia, il Capitano Ceccarin appare come un elemento di contorno: il protagonista della fotografia è il cannone, con la sua struttura metallica e geometrica.

Il capitano Ceccarin
Arma nuova è l'aviazione. Nelle stereoscopie non ci sono aerei in volo o piloti pronti a compiere missioni di guerra, ma due relitti di aeroplani.



Resti di aeroplano sorvegliati da un carabiniere
La possibilità di poter fissare sulle lastre qualcosa di queste nuove macchine, stimola la curiosità del fotografo dilettante. I rottami sono sorvegliati da un carabiniere, forse per evitare che qualcuno scopra i segreti della nuova arma destinata a diventare una sorta di culto nazionale dopo il raid di Gabriele D'Annunzio su Vienna e le imprese di Francesco Baracca. La didascalie non specificano se i resti dell'aeroplano appartengano all'aviazione italiana o austriaca.
Cannoni potenti, macchine per volare ed uccidere che il caso fa ritrarre soltanto distrutte e automobili.
Un altro mito della modernità è l’esplorazione sottomarina. Ciò che si agita sotto la superficie dei mari, quella vita ancora sconosciuta è, alla vigilia della Grande Guerra, un mondo tutto da esplorare e la figura del palombaro è apparsa sulle riviste illustrate come quella di un uomo che sfida i misteri degli abissi in nome della scienza e per la salvezza di altre vite umane. La Grande Guerra non è combattuta sul mare: la battaglia dello Jutland nel 1916 ha un esito incerto e resta un episodio marginale.
La guerra vede l'impiego dell'arma marina per altri usi: il posizionamento delle mine per il blocco navale contro la Germania, la risposta tedesca con i sommergibili e l'affondamento indiscriminato di naviglio appartenente ai paesi neutrali, l'organizzazione dei convogli per la scorta alle navi americane che trasportano in Europa merci e soldati, rapide azioni di motosiluranti per seminare morte e terrore nell'avversario. La figura del palombaro rientra in questo tipo di guerra marina, assai più insidiosa delle grandi battaglie sul mare.
La stereoscopia del nostro ufficiale torinese non è di grande qualità, ma questa immagine, forse più delle altre, sembra esprimere la mitologia di cui si è nutrita la borghesia prima dello scoppio della guerra. Il possesso dell'Adriatico è diventato un mito e il palombaro è un uomo audace che sfida forze oscure e potenti. L'idea del coraggio e della forza verrà costruita attorno alla Beffa di Buccari, all’impresa di Premuda e agli uomini che vi parteciparono. Il palombaro e i significati simbolici che questa figura riassume, rientrano nella modernità che ha generato la guerra industriale.


Palombaro del Battaglione Mongiardini
 Un elemento di riflessione che questo fondo fotografico suggerisce è la presenza nello stesso gruppo di stereoscopie di immagini che riguardano il tempo di pace, il matrimonio, la famiglia ed il periodo della guerra. E’ come se i proprietari avessero voluto ricostituire un’unità che era stata messa in pericolo.
La borsetta che contiene la maschera antigas del soldato francese, i cannoni fotografati dall’ufficiale italiano, il disegno sul retro della fotografia con la bambina, sono i tanti segni di una crisi che in modo inconsapevole viene registrata all’interno di documenti familiari.
Due esempi provenienti da un album francese e da uno tedesco, aggiungono altri elementi
L’album francese è composto da fotografie tutte datate 1913, al suo interno però ci sono una decina di fotografie sfuse riguardanti la stessa famiglia.
Due di esse mostrano un giovane, presente anche nelle foto incollate sull’album: nella prima un gruppo di ragazzi appartenenti ad un’associazione patriottica, posano armati di lunghi fucili e forse hanno terminato un’esercitazione. Sul retro c’è solo una data: 1915. Quanti di essi torneranno vivi alle loro case?


1915-Giovani di un'associazione patriottica francese
 Uno dei ragazzi presente nel gruppo del 1915 è sopravvissuto alla guerra, nel 1919 invia una cartolina ad un amico e scrive questa frase: “au soviet des decorations”.


"au soviet des decorations"
 Cosa significa? Qualunque ipotesi sarebbe un azzardo, ma nessuno avrebbe mai impiegato la parola “soviet” nel 1915, anche solo per definire in modo ironico un gruppo di combattenti particolarmente decorato.
Molte cose sono avvenute in Europa e l’uso della parola “soviet” ne è il segno.
In un album di una famiglia tedesca, composto negli anni compresi tra il 1890 e la Grande Guerra, troviamo una fotografia in cui la guerra irrompe in modo drammatico nel tranquillo ordine borghese.


Germania 1914, nonna con nipote
 Una nonna o una zia, stringe la mano al soldatino che veste l’uniforme addobbata con i fiori e sembra dare un ultimo commiato a questo nipote.
Forse la fotografia venne eseguita nell’autunno del 1914 e il ragazzo ci guarda da una lontananza di quasi un secolo per dirci che anche lui è pronto a combattere. Negli anni seguenti, l’anziana signora forse si piegherà a piangere sulla tomba di questo adolescente dal volto angelico. Lui dalla tomba potrà rimproverare i suoi professori di non avergli insegnato ad accendere una sigaretta controvento: come dirà il protagonista di “Niente di nuovo sul Fronte Occidentale” quando ricorderà, prossimo alla morte, quella kultur conformista appresa su banchi di scuola e che indicava in un’uniforme perfetta il modello di ordine morale e di civiltà.
E’ andata veramente così? Non lo sapremo mai.

domenica 26 settembre 2010

Memoria famigliare in alcune fotografie anonime della Grande Guerra-Seconda parte

Le famiglie si fanno fotografare. Spose e madri mandano le immagini al fronte. Quando il marito, il figlio, il fratello vengono in licenza si va dal fotografo.
Farsi fotografare e conservare almeno una fotografia di quel tempo, è un avvenimento che riguarda milioni di famiglie, per questo una ricerca sistematica sulla fotografia famigliare e anonima della Grande Guerra è stata definita opera titanica. Molto spesso negli album troviamo fotografie eseguite nel corso della guerra, mischiate ad altre risalenti agli anni precedenti oppure successivi. Non si può che procedere per esempi e tentare di costruire un percorso.
Centrale in questo momento della storia della fotografia, è l’immagine dei bambini.

Una fotografia all'interno dell'album
della famiglia Mongiol
All’interno di un album famigliare francese, appartenuto alla famiglia del soldato Eugène Mongiol e costruito con cartoline e fotografie realizzate e inviate in momenti diversi, troviamo un documento sorprendente sull’effetto che il conflitto produce nell’infanzia.
Una cornicetta di cartone racchiude la fotografia di una bambina: è un regalo per il papà al fronte, il supporto che tiene insieme fotografia e cornice è stato incollato solo da una parte. Sollevando il cartoncino scopriamo un disegno, forse il ritaglio di un’illustrazione popolare, in cui c’è un soldato tedesco che ha la testa asportata da un proiettile d’artiglieria calibro 75. 


Disegno unito alla fotografia della figlia di
Eugène Mongiol
E’ un riferimento al famoso cannone a tiro rapido, vanto dell’esercito francese e di cui la propaganda fa un grande battage pubblicitario, ma anche un segno di quanto la violenza abbia ormai contagiato l’intera società europea.
Si inviano cartoline prodotte in serie e costruite con fotomontaggi in cui l’immagine della famiglia rimasta a casa si fonde con scene di soldati al fronte. 
Cartolina inviata dalla moglie di Eugène Mongiol
il 30 dicembre 1916.
Il fotomontaggio mostra una
famiglia in cui il padre è assente e i soldati al fronte che
combattono.

Ne troviamo una nell’album: la moglie scrive al marito dando voce ai suoi bambini e augura, è il 30 dicembre 1916, un buon 1917 e che la guerra finisca presto. Le parole dei bambini, accompagnate al fotomontaggio della cartolina, sono un segno di incoraggiamento: dietro di te che sei al fronte, c’è una famiglia unita che combatte la stessa lotta. Ma il 1917 passa e la pace non viene. Eugène che ora si trova nell’Italia meridionale, a Foggia, e forse fa parte dei servizi sanitari dell’esercito francese venuti in soccorso dell’Italia dopo Caporetto, invia una cartolina quasi simile a quella che ha ricevuto alla fine del 1916. 

Cartolina inviata da Eugène Mongiol da Foggia
E’ la fine dell’anno, Eugène si augura che nel 1918 la famiglia possa riunirsi per sempre.
Nell’ottobre del 1917, Eugène compare in una fotografia insieme ai suoi compagni di squadra. Uno di essi porta a tracolla una piccola borsetta. 

Fotocatolina con la squadra di Eugène Mongiol
Nel gruppo, scrive sul retro, uno dei suoi compagni si è fatto fotografare con l’equipaggiamento contro i gas asfissianti. E’ quello in prima fila.
Nel riquadro il soldato con la borsa per l'equipaggiamento antigas,
dietro di lui Eugène Mogiol
Queste fotografie offrono elementi di riflessione sulla modernità della Grande Guerra: la lunghezza del conflitto e la prolungata distanza dalla famiglia, l’intrusione della violenza della guerra totale nella vita quotidiana, la modernità delle armi, rappresentata dall’equipaggiamento contro i gas.